Paolo Ruggiero: mordere la vita per godere il nostro tempo

paolo-ruggieroUna storia di formazione che segna l’entrata nel momento della vita in cui i progetti iniziano a farsi cosa seria, segnata dagli ultimi mesi di vita universitaria a Bologna a un passo dalla tesi e dal salto nel mondo del lavoro, all’inizio nella stessa città felsinea, quindi a Parigi, prima di volare, causa un contratto non rinnovato, in un’isoletta delle Cicladi.

Livio, il protagonista, vive la realtà contemporanea con l’abbondante energia dell’età che gli è propria, accompagnato da una precisa voce che gli permette di farsi largo nella babilonia della modernità. E in questo suo bruciare il presente, trova modo e tempo per mettere mani e braccia nel vulnus che non lo ha mai abbandonato, la morte del padre tanti anni prima, a causa di un incidente aereo di cui fu vittima nonostante la grande perizia come pilota.

copertina-romanzo-libro-paolo-ruggiero-grande-stagione-castelvecchiLettore forte con predilezione per la letteratura contemporanea, giornalista pubblicista e fotografo attualmente di stanza a Parigi, dove lavora in una grande agenzia di comunicazione internazionale, Paolo Ruggiero ha da poco pubblicato La Grande Stagione, romanzo d’esordio pubblicato da Castelvecchi che si alimenta grazie a continui flash fotografici che l’occhio della mente di Livio scatta come a illuminare una strada, il cammino dentro il quale riuscire a stare in equilibrio e a procedere nella costruzione del suo tempo.

Livio ama la fotografia e ha l’abitudine di riguardare vecchie foto. È stato il padre a trasmettergli questa passione. Come se la vita raccontasse meglio il mistero che le è proprio attraverso un’immagine. Può essere così?

«Le fotografie, che si lasciano ingrandire e osservare senza limitazioni di tempo, permettono di scoprire o ritrovare dettagli che nella visione in presa diretta, vuoi per distrazione, vuoi per abitudine, spesso sfuggono. Quando accade regalano sorprese e possono togliere un velo al mistero dei luoghi e, almeno temporaneamente, a volte anche a quello delle persone. Oppure aggiungerlo, il che non è meno interessante.»

Il profilo del padre di Livio, aviatore morto in un incidente aereo, è stato cucito attingendo dalla sua più profonda storia personale. Immagino il desiderio, se non proprio la necessità, di farne un omaggio al suo. Qual è stato il pericolo più sottile che ha dovuto affrontare nel tradurre in narrazione un vulnus che di fiction non ha avuto nulla?

«La storia del padre pilota acrobatico che perde la vita in un incidente di volo attinge a una storia realmente accaduta, ma è stata ampiamente romanzata, compresa l’ipotesi della causa dell’incidente. Per esigenze narrative e creative, e anche per non perturbare la reale biografia di questo pilota.»

Di sovente ricorre la figura del gatto. Anche come semplice suggestione. Come mai la presenza costante di questo felino nelle pagine del suo scritto?

cats paris«Del gatto mi piace l’elasticità, l’ineffabilità, lo sguardo magnetico. L’ultima parte del libro è ambientata in un’isola greca, e chi conosce le Cicladi sa che non è raro imbattersi in vere e proprie colonie di gatti in certe isole, molto affamati e curiosi, soprattutto in bassa stagione.»

L’intero romanzo è attraversato da un più che corposo numero di scene di sesso. Senza alcun giudizio morale, ma per pura economia narrativa: non ha pensato che ormai l’erotismo nella letteratura contemporanea sia un artificio ormai stanco e bolso e che asciugare il testo da pratiche intime avrebbe fatto guadagnare all’intera storia un po’ più di sano respiro?

«Non credo esista un “ormai” nella letteratura contemporanea. C’è chi sostiene che tutto o quasi sia già stato detto, ma credo che tutto si possa e si debba ancora dire, anche tentando voci nuove. L’erotismo in questo libro quando appare è presentato senza boria, senza volgarità, anche se rappresentato in modo vivido. Le avventure che accadono al protagonista sono in realtà quasi dei regali inattesi che la notte o un incontro imprevisto con una ragazza gli porgono. Ne è consapevole, sono occasioni delle quali spesso si stupisce lui stesso. Ed è così che le vive, senza mai forzare. Fanno quindi parte integrante, direi in modo naturale, del suo vivere intensamente le opportunità che una grande città offre. Devo dire che su questi intermezzi ho avuto dei riscontri positivi proprio da alcune lettrici, che hanno visto in quei momenti spesso una forte, spontanea iniziativa da parte delle donne nei confronti del protagonista, che forse si trovava semplicemente al posto giusto al momento giusto, ma soprattutto, era andato incontro alla città, senza restare in casa a dormicchiare.»

centre pompidou1Un momento particolarmente ben costruito è il periodo che Livio passa a Parigi, assunto con contratto a tempo determinato da una giovane azienda nel ramo della comunicazione. Parigi città sospettosa, che limita al minimo la gestualità accettata e che per questo non ama la tipica socialità italica. Lei vive a Parigi. Da che cosa nasce questa diffidenza?

«Un impasto di gelosia e ammirazione dei francesi verso i cugini d’oltralpe esiste ed è noto. Ma ciò che mi interessa è piuttosto un modo di vivere alla parigina, un repertorio di codici urbani complesso ma anche interessante da decifrare, ed è quello che ho tentato di fare in alcune pagine del libro.»

In una bellissima mail a un amico, l’esposizione di Livio del rapporto tra parigini e il proprio passato storico: una monumentalizzazione degli eventi che oggi sa d’ingombrante. Ci vuol dire che i nostri cugini hanno iniziato a interrogarsi sulla loro grandeur?

«La città stessa, per il suo impianto urbanistico, le sue architetture e la presenza così diffusa di musei riaffaccia continuamente e un po’ ovunque sul presente i segni del suo passato. Al tempo stesso si tratta di una metropoli fortemente proiettata nel futuro, basti pensare al progetto di estensione dell’area urbana “Grand Paris”, sul quale si lavora da anni. Questa compresenza di passato e futuro è spesso molto stimolante per chi vive a Parigi. Viverci a fondo poi significa anche approfittare della girandola continua di situazioni ed eventi, che non si è mai arrestata, e in quanto a eventi culturali la città credo non abbia eguali al mondo.»61fd6ca012

Un mantra molto in voga dal secondo dopoguerra: i francesi sono un popolo di lettori. È ancora così?

«Di libri aperti sui mezzi pubblici a Parigi se ne vedono parecchi, ma nella metropoli appunto si concentra molta cultura, non saprei fare un paragone con la provincia francese. L’impressione comunque è che si legga in generale più che in Italia: la cultura in Francia è tenuta in grande considerazione.»

Quali sono le maggiori differenze tra il nostro modo di rapportarci con l’arte e la cultura e quello transalpino?

«I francesi sanno valorizzare molto meglio il proprio patrimonio artistico e presentare nel modo più convincente ogni evento legato all’arte. Non credo sia solo una questione di finanziamenti, è proprio banalmente una questione di marketing. Il patrimonio artistico italiano è di una ricchezza e bellezza infinite, dai francesi senz’altro potremmo imparare a presentarlo, a offrirlo meglio, come merita.»

Poi Livio parte per l’isoletta di K nelle Cicladi. Omaggio a Kafka?

«No, assolutamente. K è una lettera presente nel nome dell’isola in cui Livio approda alla fine del libro. Non ho voluto mettere il nome intero per non “regalarla” troppo facilmente, non sputtanarla, diciamo così. Poiché si tratta di un’isola che esiste davvero e lascio casomai alla volontà del lettore veramente incuriosito il gusto di scoprirla.»

hemingwayPadre, Figlio e Spirito Santo della sua personale Storia della letteratura mondiale.

«Domanda divertente e non facile, come sempre quando si tratta di estrarre qualche nome tra tanti giganti. Direi Papà Hemingway. Figlio Carver. Spirito Santo… Quello lasciamolo vacante.»

A proposito di titoli: quali i libri che più hanno agito sulla sua formazione?

«Anche qui è molto difficile fare una scelta. Se dovessi fare solo un nome direi quelli di Camus, un autore importante nella mia formazione.»

Nel romanzo entra ed esce anche tanta musica. Dalla classica al rock e al jazz. Suoni che Livio riceve semplicemente vivendo le strade di Bologna o della Ville Lumière o che invece ricerca per dare un preciso taglio alla propria giornata. Che ruolo ha la musica nella sua vita?

«Un ruolo importante sin dai tempi del liceo, con gusti molto eclettici. Ultimamente ascolto meno musica riprodotta ma più dal vivo, con una predilezione per il jazz-fusion e per i recital di pianoforte, dato che a Parigi passano e tornano volentieri i migliori interpreti al mondo.»

In un’epoca di compressione del linguaggio scritto imposto dai social, qual è il ruolo che ancora può rivestire la letteratura che si esprime nelle pagine di un libro?

«Da molti anni ormai anche tra addetti ai lavori e lettori si riflette su queste tematiche, vedendo come altre forme di narrazione e altri mezzi siano diventati così convincenti nel prendere posto nel tempo libero di ciascuno. Più spettacolari, “visuali”. Pensa alle gnxfgnserie, a YouTube. “La sera mi resta un’ora, dopo che ho lavorato, mangiato, fatto l’amore. Potrei passarla a leggere”, forse si dicono in molti, “Oppure la passo a guardare Netflix, a spensierarmi con tutto ciò che mi salta in mente su YouTube…”. Social, video, nuovi format sono riusciti a volte a rendere la lettura meno sexy, anche agli occhi dei lettori forti. Ma il potere immaginifico che fa planare altrove il lettore, che lo fa entrare in luoghi nuovi e spesso sorprendenti, dove si compenetrano il paesaggio narrato e il suo proprio mondo interiore, quell’incantesimo, assieme ad altri, è proprio della letteratura e della lettura e quella specificità la salverà sempre, secondo me, soprattutto se riesce in qualche modo a sintonizzarsi sul sound di questi tempi.»

Livio viaggia più per reazione che per scelta. Va verso i trent’anni. Nel mondo contemporaneo, è ancora un perenne giovane o un neo adulto?

«In fondo che importanza hanno queste etichette, sulla nostra pelle? Un giorno ci svegliamo e ci sentiamo esausti, scarichi, invecchiati, allora quel giorno magari si resta seduti. Un altro giorno, magari a braccia aperte sotto un sole mediterraneo, risentiamo nelle nostre stesse vene, sempre quelle, una carica identica a quella di vent’anni prima, anche a cinquanta! E a volte riusciamo a trattenerla, a proiettarci con quella scossa verso una nuova stagione con più vita e grinta della stagione precedente, anche se qualche altro mese o anno si è aggiunto al contatore.»

romanzo-esordio-2020-castelvecchi-paolo-ruggiero-grande-stagioneLo ha intitolato La Grande Stagione. Mi chiedo se si tratta di un titolo proiettato al futuro o se invece non racchiuda la sintesi dell’intervallo tra gli anni universitari e il primo periodo lavorativo dove i primi guadagni nascondono il vero profilo dell’ambiente di lavoro.

«La grande stagione non è legata a un periodo specifico della vita ma è qualcosa che sopraggiunge sempre e ancora dopo una bassa stagione. Direi che in sintesi è questo: un ritorno del sole sui propri giorni, della voglia di mordere la vita e di goderne appieno. Non un banale edonismo, ma una joie de vivre, una gioia dei sensi e del viaggio, cui è giusto ambire fino alla fine.»

 

 


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