Gwynplaine, l’uomo che ride sulle nostre coscienze

MISURE-NUOVO-SITO-45Victor Hugo era già riuscito (almeno) due volte a creare un personaggio letterario di così chiara imponenza da fare il giro del mondo e del tempo e da sopravvivergli finché il pianeta Terra se ne resterà a girare più o meno tranquillo nella sua orbita.

Quasimodo (Notre-Dame de Paris) e Jean Valjean (I miserabili) avevano attirato addosso a sé quel merito per il successo dei romanzi che poi gli anni a seguire avrebbero confermato, ma uno scrittore dalla penna e dalla personalità così torrenziali non poteva non puntare al numero perfetto. Et voilà signore e signori, il terzo venne servito a partire dal 1869.

978880467944HIGL’uomo che ride (L’Homme que rit, il titolo originale), scritto in terra britannica per via dell’esilio con cui la Francia aveva reagito alle sue opinioni politiche, fu la creta con cui dar vita alla gigantesca figura di Gwynplaine, dickensiano nome (che, nell’unione linguistica tra gallese e inglese, starebbe per “bianca pianura” ovverosia “animo puro”) per completare il trio di protagonisti impossibilitati a rimanere a girovagare soltanto nelle pagine dei rispettivi romanzi e capaci di far diventare la loro patria il mondo intero.

Nell’enciclopedica narrazione del suo autore, Gwynplaine risponde all’infamia del suo destino di venticinquenne raccogliendo da terra lo spirito di François le Champi di George Sand. Rapito da re Giacomo II e sfigurato da bambino con un’operazione chirurgica per poter dare buonumore alla corte, il ragazzo supera l’orrore di dover indossare un sorriso perenne che, a seconda dei casi, scatena risate o spaventi, aprendosi del tutto all’amore.

Eh sì perché L’uomo che ride è anche un romanzo d’amore, nell’accezione più universale del sentimento, quello vergato tutto in maiuscolo, lo stesso che porterà Alexandre Dumas figlio a scrivere La signora delle camelie. Gwynplaine si dedica all’amore dedicandosi anima e corpo a GettyImages-3331250-283e68ca7523486e97596b0b8622bcadDea (per il modo con cui l’ha conosciuta vi rimando al testo), ragazza cieca, unica donna che riesce veramente a vederlo, colei che a occhi spenti ne percepisce l’anima. Lui l’orrore e lei la grazia. Due fortune per Gwynplaine: la folla vede la sua faccia mentre Dea non può raffigurarsi quel grugno da bestia feroce. Il pubblico cade in preda a un’indescrivibile epilessia d’ilarità, lei ricambia il suo amore.

E quando il destino gli offre la possibilità di essere riscritto, il ragazzo ormai ha un suo mondo. Il nostro (ri)diventa nobile, Lord Fermain Clancharlie, uomo pieno di possedimenti e ricchezze, perché viene rivelata la sua vera natura aristocratica prima del rapimento e dell’oltraggio permanente su volto e anima ma, dando seguito alla fortuna, sarebbe costretto a vivere in un ambiente che gli farebbe mancare l’aria. Inaccettabili le sue idee per i suoi pari. 19432162_fa2Meglio tornare a essere Gwynplaine e, in quei panni cercare di ritrovare Dea e ridare luce al loro reciproco amore. Un amore ben tragico, degno delle più belle pagine che la letteratura universale abbia mai scritto sull’argomento.

Gwynplaine, con monsieur Valjean e quello scherzo della natura di nome Quasimodo, è il frutto sul ramo destinato a essere messo nella cesta degli scarti, il pulsare della nostra coscienza più profonda quando neghiamo un nostro atto di coraggio dipingendolo con lo scherno della metodica tranquillità che ci appartiene, la prova del valore pesante ma non definitivo dello sguardo degli altri, la chance offerta a tutti di vivere come hombre vertical e l’estremo sforzo per diventarlo.

Questo ragazzo dalla sproporzionata risata intagliata sulle sue guance è il pilota che procede l'homme qui ritspingendo al massimo il motore dell’amore, a costo di far parte dello schianto insieme al volto umano con cui il sentimento gli si è rivelato. Un personaggio fonte negli anni di una serie di ispirazioni letterarie, dal Joker in Batman alla Dalia Nera di James Ellroy passando per L’isola del dottor Moreau di H.G. Wells. Il capitolo per concludere la triade dell’esistenza come grottesco e crudele gioco scolpito fin nelle membra e nello spirito. E finalmente per consegnare al Parnaso quell’immenso scrittore passato nel suo viaggio terrestre col nome di Victor Hugo.


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