Nel cimitero di Thomas Gray la livella di Totò

Elegia-scritta-in-un-cimitero-campestre-una-riflessione-poetica-sulla-morteIl cimitero è il luogo delle ossa. La carne e il sangue si eclissano nel giro di qualche anno e rimangono loro, vale a dire noi senza l’abbellimento del vestito. Ma è anche un luogo dell’anima. Non quella di chi riposa sotto o sopra la terra, volata via con biglietto di sola andata per una delle tre destinazioni previste. L’anima di chi vi entra e, tra quelli che vi entrano, di chi è destinato a fare arte.

Come Thomas Gray. Delicato poeta e filologo riservato della prima metà del Settecento, studioso dei classici latini e italiani (Dante e Petrarca in prima fila) nonché dell’antica lirica celtica e scandinava. Quando lo si cita è perché si sta parlando della poesia sepolcrale e questo è il tuo destino se un’opera, tra le tante che hai scritto, si mangia per popolarità e collocazione storica tutte le tue altre.

Il suo titolo monstre è Elegia scritta in un cimitero campestre (Elegy Written in a Country Churchyard), lirica scritta nel 1750 per Richard West, morto otto anni prima, e dove il cimitero è presumibilmente quello di Stoke Poges, nel Buckinghamshire.

Blake-Illustrazione-Gray-1

Un’eredità illustre

Nel passaggio tra Neoclassicismo e Pre-Romanticismo, periodo quest’ultimo di rifiuto tanto della realtà fenomenica come unico approdo del vero, quanto della ragione come esclusivo strumento di lettura del reale, Hardy compone un testo che non s’impone solo per un linguaggio figurativo più vicino all’ode che all’elegia, data la natura di quest’ultima di cantare la morte di una persona cara, ma (per citare il caso più forte) per il potente influsso che ebbe sulla redazione di una delle opere cardine della storia della letteratura italiana.

Dei Sepolcri di Ugo Foscolo, carme composto una sessantina di anni dopo, deve all’elegia di Gray non solo un humus di gusto e sensibilità ma, come ha evidenziato Elisa Bolchi, qualcosa più di un’empatia lirica nell’incipit:

 All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/ confortate di pianto è forse il sonno/ della morte men duro? (Dei Sepolcri)

Possono un’urna istoriata o un busto che sembra vivo/ riportare il respiro sfuggente nel corpo?/ Può la voce dell’Onore ridare vita alla polvere silenziosa,/o la lusinga lenire l’orecchio gelido e sordo della Morte? (Elegia).

Elogio della gente comune

Nei viali del cimitero Gray domanda, non celebra. Guarda, senza raccogliere nello sguardo le tradizionali immagini della morte. Parola semplice perché il luogo dice che il pensiero deve essere semplice, pieno di sentimento e legato dalla malinconia.stoke_poges-e1537977854357

Ma Gray non è un antesignano di Foscolo. Piuttosto di Totò e la sua inimitabile ‘A livella. La tomba non è un mezzo per tenere avvinghiato in terra l’alto esempio del corpo che contiene. Non eterna un ricordo, né diventa un mezzo per dimostrare un affetto. Nel cimitero Gray elogia la gente comune, la cui privazione di potenza e fama non è stata che la privazione dell’illusorietà a cui la potenza e la fama conducono, funesti compagni di viaggio che non sopravvivono alla morte.

I suoi versi aprono al conforto, questo sì tangibile e non fallace, che si prova nel sapere che il Signore sa vedere unicità e senso nelle vite di chi non ha consegnato un nome alla Storia, di chi ha vissuto senza lasciare traccia alcuna e senza che qualcuno se ne sia accorto.

Un senso per tutti

Blake-Illustrazione-Gray-2Perché anche per la gente comune la morte ha un senso, il lutto è sempre qualcosa di universale. Solo che, quando arriva, ha meno da abbattere quando ha da prendersi gli umili. Ricchi e potenti perderanno la loro stessa unica ragione di essere (stati) e verranno abbassati al livello di chi è sempre stato in basso ( Il vanto araldico, il fasto del potere,/ e tutta quella bellezza, quella ricchezza che sempre diedero,/ attende pure l’ora fatale:/ i sentieri della gloria non conducono che alla tomba). Immagino che vedere svelata l’inutilità di avere avuto tanta roba (nell’accezione Verista del termine) e quindi del proprio arco esistenziale su questa terra, sia un po’ una doppia morte, no?

Siamo tutti uguali, la natura umana ha un finale unico, il concetto non ci vuole entrare in testa. Ma Gray dice di più: quanti morti ignoti, il cui corpo è conservato nel cimitero, sarebbero potuti diventare dei Signor Qualcuno, se solo fosse stata offerta loro la possibilità di studiare e accedere alla conoscenza invece di vivere in un ambiente povero (Ma il sapere ai loro occhi la sua ampia pagina/ ricca delle spoglie del tempo non ha mai dischiuso). Mica poco usuale, al tempo del poeta, lasciarsi a una riflessione del genere. Mentre vogliamo vedere nell’immagine del morto che chiede a chi è di passaggio di lasciare una lacrima o un sospiro a favore del suo destino una citazione dantesca (Purgatorio, canto VI) sul valore nell’aldilà (non infernale ovviamente) della preghiera nell’aldiqua per i defunti?

L’epitaffio del poetamaxresdefault

Un epitaffio conclude la poesia. Tre stanze in cui il viator medita sulla tomba del poeta. Un profeta? Un Vate? Un prescelto che ha avuto un rapporto panico con la Natura per far conoscere all’uomo comune quella verità che l’uomo comune non riuscirebbe a percepire coi suoi soli mezzi? Niente di tutto questo. Piuttosto, un giovane ignaro di fortuna e fama, di umili origini, consegnato alla malinconia, generoso e di animo sincero, a cui il cielo diede per amica proprio la morte. La ricompensa più inestimabile. E un consiglio al lettore: Non cercare più oltre di scoprire i suoi meriti, o trarre le sue debolezze dalla sua tremenda dimora, (là egualmente essi in tremebonda speranza riposano), l’affetto di suo padre e del suo Dio.Non mi sorprenderebbe se un giorno si scoprisse un finale inedito, un foglio autografo ad arricchire l’epitaffio. Qualcosa che, ricordandoci il memento mori, suonasse più o meno così:

ghmgh‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo
Trasenno stu canciello ha fatt’o punto
C’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme
Tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti, nun fa”o restivo
Suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!”[1]

 

[1] Chiusa della poesia ‘A livella del principe Antonio De Curtis, in arte Totò

Pubblicità

3 risposte a "Nel cimitero di Thomas Gray la livella di Totò"

  1. Una delle poesie che sapevo a mente fin dal liceo, mi ricordo ancora il verso: “Full many a flower is born to blush unseen, / and waste its sweetness on the desert air”.
    (un dubbio sul titolo del post: è Thomas Gray, non Hardy, giusto?)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...