Incontriamo un idiota e la cosa per noi può farsi delicata. Se è l’incrocio di un momento, al massimo butteremo via il momento, se invece diventa una frequentazione forzata i nostri giorni da lì a venire odoreranno di veleno.
Ne incontriamo due e, occhio, può essere che il capolavoro si voglia ripetere. Uno, per quanto incompiuto (ma con precise annotazioni dell’autore), lo conosciamo fin dal 1881, a firma di Gustave Flaubert. Ha per titolo Bouvard e Pecuchet e ancora oggi è il punto di riferimento per chi, non solo ama la lettura, ma ha avuto modo di far personale conoscenza di un idiota. Precisiamo, non in senso dostoevskijano, il principe Myškin è tutto fuorché il modello umano che connotiamo con l’attributo di queste righe, ma un tipo dalla stupidità sconcertante che, ahinoi, non sa di esserlo.
Facciamo del movimento
Nel delizioso romanzo di Flaubert i due vecchietti, ex copisti che in virtù di un favorevole giro del destino riescono a liberarsi dalla prigionia del lavoro, decidono di comprare casa e appezzamento in campagna producendosi in un’iniziativa fallimentare dietro l’altra. Diventano agricoltori ma fanno morire colture e animali, allora si trasformano in antiquari ma vengono buggerati da un gallerista dopo l’altro, ci provano con la letteratura, ma i libri non sono cosa loro e allora mettono le mani nella politica riuscendo a malapena a conservare gli arti. E allora c’è sempre la geologia, la chimica, la medicina, la ginnastica, lo spiritismo, la filosofia, la magia.
Le provano tutte. Ma mica per scherzo, intendiamoci. Ci credono, si buttano con la sincerità di un bambino. Sperimentano l’impossibile. Solo che non ne azzeccano una che fosse una. Peggio di un orologio rotto che, lo sappiamo, almeno due volte al giorno segna l’ora esatta. Roba che se soltanto avessero incontrato Don Chisciotte, l’umorismo sarebbe di fatto finito con quel terzetto (e il povero Sancho a riportare di notte le loro carcasse a letto).
La stupidità del genere umano
La loro storia è la stupidità del genere umano. Quella che scambia una minima conoscenza di base in un saggio sapere che, condito con uno sperimentalismo d’accatto, deve portare matematicamente a un forte benessere e alla gloria.
I due non sono cattivi individui, si applicano anche nell’entrare nei nuovi mondi della tecnica e della scienza, ma lo fanno con la convinzione che il sapere sia risultato diretto dell’impegno e il risultato finale automatica sponda del loro sapere. Cosa fa del mondo di Bouvard e Pecuchet? Li riporta al loro ruolo di copisti, impegnati ossessivamente a copiare, copiare, copiare, riempire una pagina di informazioni che non passano da un minimo vaglia critico. Copiano qualunque cosa, immersi nel piacere orgasmico del copiare, l’importante è riempire.
Vince la catena di montaggio
Cattivissimo nel suo umorismo, il romanzo viene visto anche quale testamento flaubertiano dell’incapacità della scrittura nel rivoluzionare il mondo. Un serio studioso di Flaubert, Julian Barnes, ritiene che Bouvard e Pecuchet sia un libro che parla proprio dell’eccesso di erudizione, o del dilettantismo ossessivo, o dell’erudizione inutile o dell’erudizione maldestra. In sostanza di una commedia avente al centro nientemeno che “i più patetici sforzi dell’umanità verso la conoscenza e l’illuminazione”.
Un addio ai Lumi e alla potenza dell’arte nel romanzo più intimo di colui che ci ha regalato Madame Bovary e un’educazione sentimentale, interprete del realismo in letteratura (le descrizioni nel libro della botanica e delle leggi della terra, ad esempio, sono un’eco pascoliano tanto rasentano il trattato di tecnica applicata) e ora arrivato al punto di vedere in uno scrittoio con carta, penna e calamaio la dimora di individui per i quali vive la legge della catena di montaggio, con nessuna conoscenza di ciò che si monta.
La polpetta avvelenata
Poi arriveranno gli inetti di Italo Svevo, arriverà Gregor Samsa a cui verrà tolto il corpo umano e arriveranno Vladimiro ed Estragone che, in attesa di Godot, non faranno neanche quello. Smetteranno di copiare e attenderanno il sol dell’avvenire. La parola si è sgonfiata, l’imbecillità umana non smetterà di gonfiare il petto.
A noi un regalo di cui vorremmo fare meno. La polpetta avvelenata di Flaubert che, dopo aver espresso davanti al magistrato che «Madame Bovary c’est moi» si è guardato bene dall’affermare che anche i due vecchietti sono carne della sua carne.
E allora sorge il dubbio, diabolico come il libro: e se Bouvard e Pecuchet fossimo invece noi?