La Commedia post umana di Vinicio Capossela

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Ha viaggiato per culture e strade. Ha mutato pelle alla sua musica e cambiato il fiato alle liriche come il demone del divenire impone a un artista. È passato da canzoni di un’età più educata a suoni di una matericità asciugata all’essenziale pur senza immergere il pentagramma nel mare elegante del minimalismo. È partito dall’incantesimo di sogni infranti (ma pur sempre sogni) e romantiche memorie per approdare progressivamente a un mondo di ombre che procedono lente in un aleph appena sorto dalle macerie del mondo conosciuto.

imagesL’ultima composizione di Vinicio Capossela s’intitola Ballate per Uomini e Bestie e si rivela un passaggio di profonda importanza nel libro della sua scrittura. Al di là di quella musicale, con la scelta della forma della ballata (di per sé non proprio la struttura più elementare e di primo impatto nel sentire contemporaneo) a forgiare la cornice di un disco “neo-medievale” (definizione dell’artista in una serata milanese di presentazione e al pubblico), la poeticità di Capossela si fissa sulla fase neoprimitiva dentro cui, sguardo dell’autore, oggi è caduto il genere umano.

Perché fino al mezzogiorno della sua scrittura nel suo teatro personale hanno girato sghembi o in tondo Zampanò, la vecchia di sostanza, Mr Pall e Mr Mall, la Ramona, Rosamunda, il Gigante e il Mago, Bardamù, la Medusa, l’uomo vivo, l’accolita dei rancorosi, il Maraja e Nutless, la Human Pignata, vale a dire archetipi di un’esistenza che, pur sempre in minore, è comunque definita da una luce millenaria. Anime popolari che, nella stessa strada urbana su cui ci capita di camminare e sostare, esprimono energia e sprecano desideri per confezionare una giornata che continui dare senso anche ai sensi. Un SoloShow, in stile circo Barnum, magari, ma pur sempre un’attrattiva colorata e rumorosa che ai rovesci della vita risponde con il sarcasmo delle proprie imperfezioni.

vinicio_capossella_foto_simone_cecchetti-k4ZH--1280x960@ProduzionePoi, nel corso del suo viaggio musicale e letterario i prototipi umani hanno cambiato pelle. La vita si è fatta troppo claudicante per prendersi in giro di continuo. Capossela ha preso a frequentare spettri per i quali resta combustibile la sola necessità di sopravvivenza, unico lido a cui possono tendere per esaurimento di desideri e fantasie i nuovi modelli fatti salire sul palco. Esseri imbruttiti nella sciagura di un tempo che li piroetta in aria come carne cruda, future repliche dei morti rapaci nella Los Angeles di quella bellezza post apocalittica che è Io sono leggenda a firma Richard Matheson.

Il Minotauro, il cane mannaro o Pumminale, la malabestia, Maddalena la castellana, l’impastora vacca, conoscevamo. Ora l’album si è perfezionato con l’immaginifica schiera di viventi che procede come ombra dentro Ballate per Uomini e Bestie. Sono gli stessi titoli a farne presentazione: Uro, il Povero Cristo sceso in terra, la Peste (a cui ci viene naturale applicare due gambe, due braccia, il collo e la testa), la Morte della Danza Macabra (forse la più dolente tra tutti) , il maiale che fa testamento, quell’uomo che l’uomo rese fantasma in un carcere e che continuammo a chiamare per brevità Oscar Wilde, il Sant’Antonio tentato di fare cose inenarrabili, i poveracci a quattro zampe fuggiaschi per la pellaccia che sono i Musicanti di Brema, Le Loup Garou, una lumaca, perfino una giraffa che si aggira a Imola.

Per un’analisi approfondita dell’universo del Nostro (con particolare attenzione alla dimensione testuale) rimando al magnifico Capossela. Il ballo di San Vinicio, di Massimo Padalino, qui preme dar conto di questa estremizzazione creativa che in un’epoca 230519071820vinicio-okjpgappiattita su tecnologia e innovation da trallallà sa tanto di sperimentalismo evocativo di cui si arma il trovatore (sempre l’autore medesimo) per dissimulare l’ineluttabilità della plague age. Una scrittura che a tratti si fa antica per sottolineare la casa di partenza, che intreccia voci lessicali di mondi diversi, versi da strada e letterari perché il passaggio continuo tra narratività e lirismo, parlare stravagante e parlare minimo è la storia stessa della forma della ballata.

 

Uro

UroIl Bos taurus primigenius. L’antico bovino estinto. La bestia, il primo soggetto disegnato sui muri delle caverne. Il primo oggetto dell’arte. Le Grotte di Lascaux come primigenio museo dell’essere umano. Rappresentazione di 17.047 anni fa e segno della fecondità della terra. Nostro passato e meta del nostro prossimo ricongiungimento. Uro, il seme che portiamo nelle vene a cielo aperto, il marchio del nostro essere sacri ed eterni. Voce spessa, versi corti e definitori per pitturare l’alba della nostra originaria presenza dentro corpi caldi.

 

Il Povero Cristo

Dove sono finiti i poeti? E i letterati? E le buone maniere? Non c’è più spazio per un ultimo orpello di estetica? No, da quando il Povero Cristo è sceso dalla croce e ha zdffgimmediatamente imparato che la sua finitudine non è tanto l’anticamera del senso più intimo dell’esistenza quanto la condizione atroce di servitù a cui il suo simile lo obbliga con superbia e arroganza. Meglio un Cristo morto che un Cristo vivo e felice, l’uomo lo ha capito fin dai tempi del supplizio sul Golgota con la mater dolorosa ai suoi piedi. L’intonazione sussurrata del narratore/cantante, appena più accennata nel brevissimo ritornello, spinge l’incedere delle strofe.

 

La Peste

Ciò che distrugge il precostituito. Mica c’è bisogno dell’atomo per la tabula rasa. La peste come disumana fine talmente familiare che possiamo vederla scorrere in mezzo a noi quale Signora Pestilenza mentre attinge a piene mani fake news, ordini contro la gentrificazione sociale, slogan per accettare il precariato perché ormai in flessibilità coniugato. L’untore che giudica e sentenzia, il soffio virale che col suo universalismo giovane e moderno tritura i confini, l’influencer da cui pendiamo per continuare a ritrovarci nella platea dei felici taggati contro gli “a sangue bannati”. E Dai, schermo in mano, via con l’inno dei nuovi crociati, let’s tweet again… Einzwein I like!

 

Danza Macabra

danza macabraOvvero Camille Saint-Saëns quasi centocinquant’anni dopo. Qui la trasfigurazione letteraria non chiede alla Morte di suonare il violino. Ritorna il racconto grottesco e popolare de La Marcia del Camposanto con la Signora che fa il gioco per cui è stata inventata imponendo una danza dentro cui spinge i senza pasqua perché ormai passati oltre. Oggi a me, domani a te. Se serve a irridere la paura si balli pure. E se non basta l’italiano l’autore ce lo canta anche col verso latino accelerato. Nel catino a girare in tondo pure papi e vescovi. E se ci volete vedere un inchino a Totò, per me avete pure ragione.

 

Il Testamento del Porco

La vera universalità donata alla vita. La generosità fatta animale e presa a parole che arrivano come sassate. Disprezzato, vilipeso, destinato ai nostri trionfi proteici senza che gli arrivi un grazie di sguincio, che cosa fa il porco? Decide a chi offrire le sue parti. Ma non pensiamo che la nostra accettazione succulenta sia senza prezzo. Il porco ci squadra, ci studia e ci definisce. Anche in ciò che ci dà. Il suo ultimo sacrificio fa crepe della nostra abbondanza. Canto sguaiato in un’escalation di tamburelli, contrabbassi, zampogne, timpani e cupe cupe per riaffermare che non siamo altro che quello che (del porco) mangiamo.

 

Ballata del Carcere di Reading

Trasformare l’uomo in topo. Per cantarlo ci vuole un’impostazione lenta, col piano che imagesthsrthdefinisce la cornice e gli archi a sfregiare la tela. Oscar Wilde divenne larva e il logorio lo condusse alla morte poco dopo l’uscita dalla prigione di Reading. Aveva commesso la sciocchezza di amare. Che poi è solo l’altra faccia del dare la morte. La storia dell’umanità come ripasso dei modi per l’annientamento. Con lo sfregio della croce che nella carne martoriata ma ancora viva di chi era appeso a due legni incrociati doveva significare liberazione, pietà e perdono. Non abbiamo più nome quando si muore. I versi più dolenti del disco.

 

Nuove Tentazioni di Sant’Antonio

Dopo il trittico di Hieronymus Bosch dedicato all’eremita e primo degli abati cristiani elevato dal superamento di durissime prove contro le tentazioni. L’atmosfera si sant'antonio boschsurriscalda come accade ne Il Ballo di San Vito, Brucia Troia e Moska Valza. Qui nuovi pensieri osceni danno il tormento al Santo: rubare il fuoco al demonio, impadronirsi dell’inferno e arderci chi si vuole, trasformare l’uomo in deserto, cancellare la morte, eliminare il sacro, sostituire il desiderio con la pornografia. Una nuova bella danza per rivoltare il mondo come un guanto e ridargli la ragione scomparsa dentro architetture mentali e spirituali che si sono sovrapposte come pesanti cassettoni sul nostro stesso cammino di poveri e imperfetti peccatori.

 

La Belle Dame Sans Merci

La bella dama che pietà non ha esce da John Keats e, nel rispettoso ossequio del romantico poeta, arriva di nuovo a noi con una dolce ballata per piano e coro. Si accavallano i secoli, ma l’incanto paralizzante della bellezza continua a far vittima del cuore umano. Perché la bellezza è la nostra lingua madre. C’inchioda e ci ferma il battito come in una crioconservazione che non richiede ibernazione. E a noi non resta che aspettare, aspettare e aspettare che chi non ritornerà invece ritorni.

 

Perfetta Letizia

perfetat letiziaDal fioretto di San Francesco d’Assisi che, sulla strada da Perugia a Santa Maria degli Angeli, risponde a frate Leone che gli chiede che cosa sia la perfetta letizia. Piano, liuto e calma in un canto leggermente cacofonico per accettare il freddo, la fame, il fango, il ghiaccio, le afflizioni, le ingiurie come doni unici che solo ai privilegiati possono essere offerti.

 

I Musicanti di Brema

L’asino doveva morire a colpi di bastone perché ormai vecchio e la pelle poteva dare al padrone ancora qualche guadagno. Il cane stracco doveva morire a colpi di pallettoni I_musicanti_di_Brema_statua_1953perché ormai inutile alla caccia. Il gatto anziano con vecchi denti incapaci di afferrare topi che fine poteva avere se non quella di essere annegato? E che dire del gallo che strilla di mattina ma non vedrà la sera perché prelibatezza della tavola? Meglio andare a Brema a suonare nella banda municipale. Tutto sommato quattro sono meglio di uno per fare una sinfonia. Chi ha servito può sempre continuare a farlo con la voce e uno strumento in mano. La fiaba dei fratelli Grimm vecchiaia non conosce. Gli esodati invece sì.

 

Le Loup Garou

le loup garouLa storia del mannaro malinconico. Il trasformismo per necessità più che per avere la vita comoda. L’urgenza di diventare altro. Il contrario di sé, il proprio doppio. Uscire dal reale ed entrare nel vero. Far crescere un nuovo pelo sotto quello che ci definisce nella società. Stirare per bene le pelli perché le pieghe non svelino che si tratti solo di uno squallido mascheramento. L’uomo in fin dei conti è lupo dell’uomo secondo quanto ci disse Thomas Hobbes. Ma qui è inutile filosofare, qui c’è bisogno di mozzare i piedi per ricomporre un brandello d’umanità. Se il lupo completa la corsa nel nostro intimo altro che licantropia. Intanto incominciamo a fortificare le tane.

 

La Giraffa di Imola

Una vicenda vera. Una giraffa scappata da un circo di stanza a Imola. Buffo animale? Piuttosto siamo noi a trasformarci in comici esseri quando una giraffa ci cammina a foto_giraffafianco. L’animale ci svela la nostra inidoneità a discapito dei Suv dentro cui ci muoviamo e delle villette dentro cui ci rifugiamo. Addormentata da un narcotico da cui non si volle risvegliare. Il suo collo che vacilla è il sole che cade sulla terra.

 

Di Città in Città (…e porta l’orso)

Il viandante che arrivò ma non poté fermarsi. L’inverno non correva ma, al posto suo, lui sì che si fermò. Il viandante aveva con sé un orso che si faceva buffone per far guadagnare la giornata al padrone. E strappare un sorriso a chi usciva di casa proprio perché in città era arrivato lo straniero con l’orso. E se c’è un amore da cogliere, l’amore non si coglie. Al massimo ci si può divertire nella festa per cui l’uomo con l’orso è arrivato in città. Di più non è possibile. Neanche un bis di presenza. Solo e straniero, ovunque forestiero, scrive l’autore. Non è dromomania. È vita bastarda. Capace al massimo di bruciare una lacrima invece di asciugarla.

 

La Lumaca

lumacaProprio sicuri che il Tempo esiste? Ditelo a una lumaca, che si muove col pianeta sulle spalle. La lumaca è l’affermarsi della consapevolezza che ciascuno è il meridiano di se stesso. Che siamo immanenti. Che non esistono rotte se non quelle che decidiamo di prendere. Che non esiste una partenza e un ritorno, ma solo un procedere infinitesimale verso. Che siamo la scia che lasciamo per terra. Che esistiamo fuori dall’utile. Che non siamo il lavoro che svolgiamo. Che esistiamo perché esistiamo. Che non potremo mai smettere di esistere. Che siamo lo sguardo di Dio.

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Se ritornerà, il trallallà, ancora nessuno lo può immaginare. E anche della Human Pignata ancora zero tracce. Si cerca di restare in piedi e trovare quel po’ di cibo che serve per farci arrivare a domani. No, non è tempo per il trallallà.

 


5 risposte a "La Commedia post umana di Vinicio Capossela"

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