Eravamo leggeri e trascinanti, facevamo brillare l’aria e la rendevamo piena di commozione e poesia. Eravamo la miniatura leggera dell’animo di chi si era accomodato ad ascoltare musica. Eravamo la fiamma che cambiava la vita o dava un diverso incrocio alla giornata, il momento che trasformava il veleno in profumo. Insomma, non facevamo che il nostro lavoro. Neanche tutti calibrati perfettamente, neanche tutti conservati come Dio comanda ma, insomma, si lavorava e bene.
Rilucevano le stelle e noi ci facevamo cadere chiunque fosse nei paraggi. Venivano risucchiati dal cielo e li spingevamo dentro la più luminosa luce. Inondavamo le strade con le note che filtravano attraverso i muri o camminavano con le loro gambette oltre le finestre aperte.
Da quanto tempo non entra più nessuno qua? Non si respira neanche più in questa fabbrica di polvere da sparo dove ci hanno buttato. Siamo malandati. A Lubecca. Siamo i malandati di Lubecca. Signora Blutner non mi guardi male, se ci ride su vedrà che la prenderà meglio anche lei. Mi presento: sono il vecchio Duysen, mi mancano un paio di testi più di lei a quanto pare.
A quanto pare fuori la guerra è finita e non è che si siano dimenticati di noi. Siamo accatastati sotto i problemi di rinascita che gli uomini devono risolvere prima di mettere parola al nostro destino. Siamo gli unici cani senza padroni, infreddoliti come stoccafissi maggiordomi. Non si muova signora Blutner che altrimenti nella polvere della sua cassa facile che esca qualche canzone che non ha ancora accettato che il suo fato è restare in silenzio qua.
No signora Blutner, non posso far niente per lei. Neanche per me, se è per questo. Non proteggerla. Niente è per sempre, qualche volta dovrà pure averlo suonato lei. Respiri senza bramare desiderio, non riusciremo più a guarire le nostre ferite. Se il popolo avrà un futuro, noi non lo vedremo, quello che è stato non tornerà.
Però posso dirle questo, se si avvicina un po’ glielo sussurro meglio. Signora Blutner, se ci hanno dati tutti all’incanto, ora all’incanto ceda il suo cuor. Se le caviglie sono allentate e quei notturni non suona più, sfiori i miei tasti, prenda i miei baci ed all’incanto ceda il suo cuor.
E anche voi. Tenete piedi e casse fermi che non ho molta voce. Se non abbiamo più valore e ci venderanno all’asta per chissà cosa nel piattino, se le nostre cordiere si sono allentate e il tempo non tiene più di una nota insieme, dimentichiamo il passato che è stato e facciamo scivolare questo presente. Mister Kaps, lei che era famoso per la “berceousa”, ce ne suoni subito una, principe Steinway attacchi poi lei con la balalaika russa dell’ussaro Petrov e che la spinetta cinguetti, perdio!
Signora Blutner, ma le pare che ci debbano spegnere così? Che ci debbano spegnere l’anima senza che noi non si inventi neanche un’illusione? E allora, anche se quel che è stato non tornerà, se il tempo ci ha sorpassato, dimentichiamoci anche noi di questa fabbrica che produce rumore. Se ci hanno dati tutti all’incanto ora all’incanto ceda il suo cuor. Io all’incanto cedo il mio.
Incominciamo, che così anche la morte morirà.