Spleen and Ideal: il suono perfetto dei Dead Can Dance

01.jpgErigere una cesura tra i Tempi. Portare alla luce nuove partiture che soffiano come sentiero sonoro che collega il sacro del passato e il profano della contemporaneità sancendo l’eternità della più impalpabile delle esperienze sensibili dell’essere umano. I Dead Can Dance di Lisa Gerrard e Brendan Perry.

02Un disco, in particolare, del loro magnifico repertorio. Spleen and Ideal, a.d. 1985. Il disagio esistenziale e dell’esistenza l’ideale condizione. Un’eco che non ci stupiremmo di scovare nascosta tra le fitte righe della Stele di Rosetta. Lo sguardo oltre la catastrofe, oltre il palazzo in rovina (quello scelto dal fotografo Colin Gray per la suggestiva copertina?) con cui superare o venire a patti con la nostra coscienza imperfetta. Oltre Charles Baudelaire e William Blake, chiare guide (tra le guide) dell’opera.

Composizioni, strumenti e voci (utilizzate in particolar modo per la loro duttilità a essere strumenti sonori tanto nei cori quanto nel canto solista) per raffigurare la perenne ascesi a cui la natura umana tende pur nel quotidiano nello slalom tra dolori, sofferenze, cadute, frastuoni dall’abisso.

Il suono dunque. Una strumentazione volutamente organizzata per amplificare il profilo orchestrale della scrittura musicale poliritmica che intrecci in nuovi quadri Medioevo religioso e Barocco, colori e abbellimenti arabizzanti in musica con tempi più allegri che si affacciano al jazz. Strumenti a corda e a percussione, ottoni, organi ed elettronica a supporto della voce di Lisa Gerrard, ipnotica, onirica, sacrale, un mesmerismo poetico che non conosce lemma di senso compiuto ma i cui vocalizzi tirati allo spasimo e caratterizzati da un’estensione sovrannaturale guidano il tono dell’opera, e di quella baritonale, calda, profonda, più “umana” (anche nell’espressione lessicale) di Brendan Perry. Musica solenne e mistica, biblica e decadente, gotica ed esotica, una liturgia che troverebbe perfetta esecuzione nel freddo degli spazi di una chiesa.03a

Si parte con i rintocchi del timpano di De Profundis (Out of the Depths of Sorrow), l’organo da messa funebre e il passaggio tra il canto aureo femminile e quello dolente della voce maschile, ci accolgono le trombe del giudizio di Ascension, forse la composizione più toccante, che fraseggiano col basso dei sintetizzatori e cori sovrumani da rendere l’aria più misteriosa e colma di timore, ci affacciamo agli spettri di Circumradiant Dawn evocati dalla voce tentatrice e maligna della solista e da un intreccio tra fisarmonica e chitarra che cuciono un suono grave e malinconico.

Dopo dieci minuti dalla partenza siamo già al centro del cuore di questo nostro viaggio musicale. Ce ne aspettano tre volte tanto per arpB9xPeTepLwwionare tutta la bellezza che siamo in grado di fare nostra. Come quella di The Cardinal Sin, con il suo refrain-mantra it’s an illusion of life, che apre le porte a un nuovo sublime portento, Mesmerism, grave nelle sue percussioni estratte dalle tenebre, appassionata per l’eco del synth di sottofondo e con i tagli vocali della Gerrard lanciati ogni oltre più ancestrale passato da risultare di per sé una messa fatta e finita. Enigma of the Absolute, un pezzo quasi cameristico che ci coglie per il contrasto tra la tonalità possente del movimento e la pacatezza del canto di Perry, Advent , claustrofobica nell’organo e nei lugubri cori della Gerrad che spezzano il canto aperto di Perry, Avatar ci espone al suo andamento ossessivo, che diventa addirittura fonte di suggestione grazie al lirismo del canto femminile e infine Indoctrination (A Design for Living), austero ed etereo come l’intero percorso fino a quel momento, un’arringa nella lirica che, attraverso una serie di interrogativi con cui confrontare la nostra umana dannazione moderna.

Lo scrissero in quasi un anno e mezzo, raccontò Brendan Perry. Ogni singola nota venne estratta dal magma della loro intuitiva ispirazione dopo continue sperimentazioni e 04documentazioni che guidassero in una forma omogenea il rituale liturgico e solenne che doveva uscire dall’ascolto dell’opera. Un’opera musicale che mise in campo il dualismo della scelta a cui siamo destinati: riusciremo a riscattarci solo se sapremo uscire dalla cecità (Spleen) che tanto ci ammalia e che tanto briga per plasmare e sostituirsi alla nostra natura libera (Ideal). Un’utopia a rifletterci. Disegnata da una musica che cercò e trovò la perfezione.

 

TRACKLIST

Testi e musiche: Dead Can Dance.

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  1. De Profundis (Out of the Depths of Sorrow) – 4:00
  2. Ascension – 3:05
  3. Circumradiant Dawn – 3:17
  4. The Cardinal Sin – 5:29
  5. Mesmerism – 3:53
  6. Enigma of the Absolute – 4:13
  7. Advent – 5:19
  8. Avatar – 4:35
  9. Indoctrination (A Design for Living) – 4:16

Durata totale: 38:07

 

MUSICISTI IN STUDIO

Lisa Gerrard, voce, tutti gli altri strumenti5752ee38499bbda1cc832d3fd707c973--dead-can-dance-lisa-gerrard

Brendan Perry: voce, tutti gli altri strumenti, direzione artistica

Gus Ferguson: violoncello

Martin McGarrick: violoncello

James Pinker: timpano

Tony Ayres: timpano

Richard Avison: trombone

Simon Hogg – trombone

Carolyn Costin: violino

 

NOTE TECNICHE

Etichetta: 4AD images

Produttore: Dead Cand Dance, John A. Rivers

Ingegnere del suono: Jonathan Dee, John A. Rivers

Registrazione: Settembre-Novembre 1985 ai Woodbine Studios, Warwickshire, Inghilterra


Una risposta a "Spleen and Ideal: il suono perfetto dei Dead Can Dance"

  1. Il vero primo capolavoro del duo. Ho verificato il loro stato di grazia 2 anni dopo, quando vennero in Italia nel tour che seguì il successivo e non meno bello Whitin the realm of the dying sun. Magici e oltremondani.

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