Quando D’Annunziò mandò la fantasia al potere

01Vergata a mano da Gabriele D’Annunzio nell’agosto 1920, ideata dallo stesso Comandante col fondamentale aiuto di Alceste De Ambris e promulgata l’8 settembre (sic!) di quello stesso anno. Il nuovo Stato si sarebbe chiamato Reggenza Italiana del Carnaro (niente Repubblica, meglio non urtare la Corona) e la Carta ne sarebbe stata la legge fondamentale. Un documento di 65 articoli per stringere l’impresa di Fiume e legarla all’Italia.

Nelle righe e nello spirito della Carta del Carnaro confluirono le più rivoluzionarie idee e i più futuribili valori che ne fecero da feconda ispirazione per la Parigi e la Berlino degli anni Venti, quando la vita assomigliava tanto a un’automobile marinettiana lanciata a bomba in un percorso pieno di curve a gomito.

Soltanto un visionario come il Vate poteva progettare e mettere in pratica un’impresa come quella fiumana e quindi farne carne viva in un documento col quale la legge avrebbe sposato la prosa. Anticipatore del fascismo, suo più alto esteta (il culto della bella morte, la retorica cameratesca dell’eja eja eja alalà) e quindi suo più grande dissidente (come lo definisce Marcello Veneziani); Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin, stravedeva per lui, battezzandolo come uno dei pochi rivoluzionari del tempo. Il vero poeta sovversivo dei costumi spicci del momento e l’autentico innovatore dell’ordine politico che la Storia ci ha consegnato. Anche se poi, nel corso del XX secolo, un altro Comandante lo avrebbe sostituito su poster e francobolli.

02La Carta del Carnaro, dunque. Dentro vi trovarono cittadinanza la Belle Époque, la guerra, la poesia, la bellezza, la morale, la politica, l’eroismo, la comunità sociale e quella umana, il culto superomistico e la pietas, l’arditismo e l’otium. Fu la casa dei più grandi sognatori della politica: dagli arditi sopravvissuti ai campi della Grande Guerra ai fascisti rivoluzionari, movimentisti, anticlericali e sansepolcristi, ci entrarono i figli del suo stesso fiumanesimo, i vitalisti mistici, i sindacalisti soreliani, gli anarchici, i dadaisti. Prefigurò un impianto costituzionale che fosse la sintesi di una pluralità di indirizzi rivoluzionari del tempo e creò un’estetica politica che affascinò Thomas Mann, Hugo von Hofmannsthal e Walter Benjamin.

Fu l’opera lirica del nostro Richard Wagner che, partendo dall’idea dell’uomo nuovo, non concedeva però terra ai germi che avrebbero generato la religione incarnata dal Dio teutonico di natali austriaci che gli avrebbe dato il voltastomaco (e di cui non avrebbe perduto occasione per dichiararne pubblicamente la distanza): Adolf Hitler e il nazionalsocialismo. La partitura fu un’ode costituzionale che tutt’oggi parla più a Tristan Tsara che a Che Guevara.003

La Carta del Carnaro fu una modernità ancor prima letteraria che politica, un testamento che, dentro al guscio progettuale della democrazia diretta, prevedeva valori sociali di convivenza universale con al centro il cittadino legato ai suoi doveri ma al tempo stesso garantito fino all’estremo contro ogni prevaricazione del potere costituito. Un testo che scolora ancor oggi la stragrande maggioranza degli impianti costituzionali del mondo occidentale.

In essa si legge che “il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo” e si afferma che “la Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione” e che “protegge difende preserva tutte le libertà e i diritti popolari; assicura l’ordine interno con la disciplina e la giustizia” e “costantemente si sforza di elevare la dignità e di accrescere la prosperità di tutti i cittadini”.

04Si sottolinea senza possibilità di interpretazione che “tutti i cittadini dello Stato, di ambedue i sessi, sono e si sentono uguali davanti alla nuova legge” e che “tutti i cittadini di ambedue i sessi hanno facoltà piena di scegliere e di esercitare industrie professioni arti e mestieri”. Tutela la libertà di pensiero, di stampa, riconosce la proprietà, non come dominio sulla cosa ma come la più utile delle funzioni sociali.

Elenca le categorie di cittadini che perdono i diritti politici: i condannati in pena d’infamia, i ribelli al servizio militare per la difesa del territorio, i morosi al pagamento delle tasse, i parassiti incorreggibili a carico della comunità, a meno che non versino in stato di malattia o “vecchiezza”. E al pensiero del suicida perdonismo odierno ci scende una lacrima.05

Definisce la cultura la “più luminosa delle armi lunghe”, la musica viene elevata a istituzione religiosa e sociale e afferma la laicità dello Stato dentro i cui confini verrà difesa la libertà di coscienza (“ciascuno può fare la sua preghiera tacita”).

Eccolo qui il sol dell’avvenire. Quello vero.

Poi, entrarono in scena i cannoni.


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