Natali sul Lago Maggiore a Verbania nel 1959. Per trent’anni di stanza a Milano e ora di nuovo nella casa in cui è nato e cresciuto. All’età di nove anni si sedette al pianoforte e da allora non si è più alzato. In mezzo, studi regolari e severi in lunghi corsi sotto la guida di maestri come Mario Demolli e Franco D’Andrea e successivo perfezionamento in arrangiamento, armonia e canto.
Affascinato dal jazz, si dichiarò a questa musica restandone avvinghiato. Alessandro Bianchi il pianista che crea un’atmosfera? Con ogni probabilità voci a denominazione d’origine controllata e protetta come Tiziana Ghiglioni e Rosalynn Robinson non avrebbero dubbi nel rispondere che, sì, certo che è così. Perché, al di là del suo curriculum gonfio di pregevoli collaborazioni ed esperienze live, Bianchi segna nel suo palmares pure un ruolo didattico tra CPM e ora Smart Academy di Balerna, Chiasso, terra Svizzera, quale insegnante di pianoforte, improvvisazione e armonia.
La sua ultima produzione (e scrittura) s’intitola Times Remembered, il magnifico disco di Rosalynn Robinson, la vocalist con la quale ha diviso il palco in oltre cinquecento concerti.
Questa la nostra chiacchierata.
Da più di un secolo si dibatte sul significato del termine. Oltre a riconoscere che originariamente veniva scritto jass il resto è materia che ancora divide filologi, linguistici e semplici appassionati. Nel grande libro delle ipotesi inseriamo la sua.
«Jass, Gism… come dice lei la materia è controversa. Io non ho un’ipotesi, per la verità non mi sono mai posto il problema. Quello che penso è che la parola “jazz”, per altro vagamente onomatopeica, suoni e descriva efficacemente la musica che rappresenta proprio perché non è un aggettivo sostantivato e non ha un significato palese…»
New Orleans, New York, Chicago, le città che nel nostro immaginario costituiscono i tre più grandi teatri del jazz. Tra di loro c’è solo una distanza geografica o incarnano diverse anime di questa musica?
«Penso che la distanza sia sempre stata solo geografica. Certo, alle origini fra New Orleans e Chicago la diversa qualità dei musicisti ha dato vita a stili in qualche misura diversi, ma l’anima e l’energia vitale sono state dovunque le stesse. Il jazz in qualche luogo è nato, più di uno sicuramente, in molti diversi luoghi è cresciuto e vive. ma credo non avrà mai “residenze” che lo caratterizzino stilisticamente.»
Come vede la scena italiana contemporanea?
«Bene, oltre ai grandi talenti riconosciuti da anni ci sono tanti musicisti giovani di livello internazionale. Sempre nuove rassegne, nuovi festival ed eventi più o meno importanti. Oggi anche per il jazz italiano non ci sono confini. Servono solo talento e preparazione.»
Che numeri ha in Italia, quanto a dischi venduti, eventi live, interesse popolare?
«Piccoli, come sempre, oggi relativamente più grandi visto l’andamento del mercato musicale. Il jazz, in termini di appassionati e di mercato, è sempre stato una nicchia ed è proprio questa, da sempre, la sua fortuna.»
Esiste una via italiana al jazz?
«Nella misura in cui potrebbe esistere una via francese o inglese o americana. Il jazz per sua natura, come ho già detto, non ha mai avuto una caratterizzazione geografica. Ad esempio, la pretesa di alcuni musicisti e musicologi statunitensi di considerarlo “la musica classica americana” non ha mai veramente avuto fondamento.»
Ed è ancora viva la differenza tra una via nera e una bianca a questa musica?
«A parer mio non è mai veramente esistita nemmeno quella. Senza l’incontro della cultura occidentale-europea con quella afro-americana il jazz non sarebbe mai potuto esistere. Fin dai suoi albori se ne parla ma nessuno è mai riuscito a dimostrare veramente l’esistenza di queste diverse vie, anche se per un certo periodo, fortunatamente superato, il jazz è stato considerato dai musicisti neri una bandiera razziale.»
L’iconografia popolare inserisce questa musica in piccoli locali, storicamente fumosi, una prospettiva decisamente intima. Il jazz però è stato anche le Big Band che con il loro suono rotondo evocavano un inno ai grandi spazi. Qual è il profilo che preferisce?
«Certamente i club più o meno grandi sono sempre stati luogo privilegiato del jazz. Alcuni sono diventati, e ancora sono, luoghi leggendari, alcuni sono diventati catene internazionali. A differenza e più di altre musiche però il jazz, che è nato e cresciuto per strada, ha vissuto e vive nei club più o meno grandi e rumorosi. Essendo una musica da ascoltare, richiederebbe esclusivamente spazi adatti. Questo per fortuna sta succedendo da un po’. Sempre più di frequente il jazz approda nei teatri e in spazi più grandi comunque dedicati esclusivamente alla musica. Certo, esiste poi il paradosso per cui proprio il jazz, in molte sue forme anche elevate è innegabilmente diventato muzak, musica di sottofondo negli aeroporti e negli hotel…»
A proposito, come è riuscito a reagire il jazz al divieto di fumo nei locali?
«Per quanto mi riguarda magnificamente, non avendo mai fumato ho finalmente smesso si soffrire…»
Sarà anche un luogo comune, ma per il grande pubblico quando si parla del jazz cantato si pensa immediatamente alle voci femminili. Il fatto che voci maschili come Chet Baker, Louis Armstrong e Nat King Cole, tanto per citarne qualcuno, abbia scritto la storia del jazz vocale passa in secondo piano. Lei poi ha un osservatorio privilegiato con Rosalynn Robinson e Tiziana Ghiglioni. Una questione di corde, di sensibilità, di mood più naturale? Che spiegazione dà?
«Personalmente sono sempre stato più affascinato dalle voci femminili che da quelle maschili, in qualsiasi tipo di musica. Le Sirene in fondo erano creature femminili… Nel jazz poi le voci femminili sono da sempre state, fosse anche solo per una questione di numeri, più rilevanti e rappresentative. A parte certo alcune eccezioni maschili alle quali aggiungerei Bobby Mcferrin, Jon Hendricks… Quanto a “corde” e sensibilità non ne farei una questione di genere, non credo sia possibile, almeno qui.»
Che racconto fanno i cinquecento concerti per il mondo con Rosalynn Robinson?
«Un bel racconto, non particolarmente straordinario, qualche volta avventuroso e comunque felice; tanti ricordi ottimi ma anche un po’ di malinconia per chi non c’è più come il mio amico Santino Carcano, per lungo tempo contrabbassista del Rosalynn Robinson Quartet.»
Un nuovo disco con la cantante di Philadelphia, Times Remembered. Un inno alla notte. Che gestazione è stata?
«Lunga nel senso che per molto io e Rosalynn ne abbiamo parlato, breve nel senso che abbiamo registrato dopo una prova soltanto. Credo comunque di poter dire che, grazie alla sensibilità dei musicisti e alla perizia di Stefano Pinzi, Sound Engineer dello studio, le cose abbiano funzionato piuttosto bene.»
Tre pezzi firmati in coppia. È esigente la signora in sede di composizione?
«Niente affatto, anzi ritengo di essere stato molto fortunato. Prima di tutto perché le musiche sono nate prima dei testi, veramente poetici e calzanti, e poi perché ho avuto fin dall’inizio da parte di Rosalynn la massima fiducia e libertà.»
Com’è che pur con la presenza di pezzi totem come In a sentimental mood o Skylark quando la tracklist arriva a un vostro pezzo, Once there was a time, ho sempre la sensazione che quello sia il vero pezzo dell’album?
«Grazie, è un grande complimento che fra l’altro corrisponde alla verità dei fatti. Il disco è stato pensato intorno ai brani originali dai quali è scaturito il mood, lo spirito sonoro, come dice lei, che lo riveste e direi lo anima. Il suono che cercavo e che assolutamente desideravo l’ho trovato poi nei magnifici musicisti che ci stanno accompagnando in questa avventura come Pepe Ragonese, Stefano Dall’Ora e Francesco D’Auria.»
In un’intervista a questo blog, Gaetano Santangelo, direttore del mensile Amadeus, ha affermato che il jazz ha contaminato la musica classica regalandoci ad esempio il Concerto per piano e orchestra di Maurice Ravel. Cambiamo prospettiva. Quanto e come la musica classica ha influenzato il jazz?
«Vero, è successo in Europa soprattutto nel periodo dell’impressionismo francese con Ravel, Debussy, forse un po’ meno Stravinsky, ma anche Satie e i suoi sodali, Milhoud, Poulenc, oltreoceano Gershwin e Bernstein, per citare i più noti che hanno attinto al jazz. Jazz che per altro, cambiando prospettiva, non sarebbe potuto esistere senza la musica classica occidentale. Le forme, la strumentazione, il materiale tonale, l’uso dell’armonia sono quelle della musica occidentale. Il blues stesso, da molti ritenuto – a torto o a ragione – uno dei più importanti se non il più importante fattore originario del jazz, è nato e tuttora si struttura sugli accordi della cadenza tonale classica: I, IV, V grado, ai quali a suo tempo vennero sovrapposte le scale pentatoniche, la concezione ritmica, la formazione del suono e del fraseggio africani.»
Tra i suoi ascolti c’è anche spazio per la classica?
«Certamente, in questo periodo della mia vita è la musica che più di tutte amo e, direi riesco ad ascoltare, dal Barocco al Novecento, Dodecafonia e derive elettroniche escluse.»
Il jazz ha nell’improvvisazione una componente importante, tanto che addirittura c’è chi lo considera la vera benzina di questa musica. Qual è il suo rapporto con la partitura, mezzo che riporta la musica a una sua forma definita e slegata dall’istinto e dal mood del momento di chi la esegue?
«L’improvvisazione è certamente una componente essenziale nella musica jazz. Non necessariamente però si tratta di improvvisazione del tutto estemporanea. Nella maggior parte dei casi, come avveniva nella musica barocca, i musicisti jazz improvvisano su una forma articolata in un certo numero di battute e una successione di accordi. Spesso si tratta della tipica forma canzone di 32 battute, forma che attiene alla maggior parte degli standard. Esiste comunque jazz più o meno arrangiato e quindi più o meno scritto. La variabile è questa. In ogni caso suonare jazz significa essere simultaneamente esecutore, compositore e arrangiatore ed è da questa condizione che scaturisce ogni volta il diverso rapporto tra la partitura, il mood e l’istinto di chi suona.»
Che rapporto ha con la musica pop?
«La musica pop è la colonna sonora della vita contemporanea. Normalmente la sento volentieri, anche se non sempre e non tutta. Ho detto sento e non ascolto. In essa sono presenti artisti e brani di assoluto valore. Certo, non mi capita da tanto di comprare dischi di musica pop, diciamo che l’ho ascoltata per un certo periodo della mia giovinezza. In fondo anche il jazz e la stessa musica classica, soprattutto prima dell’avvento della registrazione sonora, sono state in qualche misura musica pop.»
È vero che un jazzista non prova invidia verso una rockstar perché, pur non avendo la stessa celebrità e non disponendo dello stesso conto in banca, a dispetto di una rockstar un jazzista è un musicista?
«Non è affatto vero. Molti musicisti seri, non solo jazzisti, provano invidia o addirittura risentimento per colleghi che, a prescindere dal genere musicale, hanno maggior successo o riconoscimenti economici derivanti dal lavoro. Proprio da questi sentimenti nascono le sterili e fastidiose polemiche fra generi musicali e nei confronti di artisti crossover che non voglio citare. Ma in fondo è sempre successo. Personalmente sono convinto che anche le rockstar o le popstar siano a loro modo e nel loro ambito musicisti di valore e lo siano a maggior ragione rispetto a chi pensa di dovere essere ritenuto tale semplicemente perché ha studiato per un certo numero di anni il repertorio classico, passando magari il tempo a macellare capolavori. La musica, credo l’arte in generale, non è mai solo studio. Difficile poi che un qualche tipo di artista di successo sia privo di sostanza, anche quando questa sostanza apparentemente potrebbe non servire. Tralascerei l’ironia sull’uso di certe sostanze…»
Cosa le permette il pianoforte al punto da dedicargli un’intera vita?
«Più che altro bisognerebbe chiedersi che cosa mi ha permesso finora e anche oggi mi permette di dedicarmi al pianoforte. Sono stato fortunato, sono nato in una famiglia piuttosto benestante, famiglia in cui non ci sono mai stati musicisti, ma nella cui casa c’era un pianoforte. Non sono riuscito a dedicarvi l’intera vita purtroppo, non come avrei dovuto e voluto. Pazienza. Per il resto quello che può dare la musica può essere compreso solo da chi riesce a farla e vale tutti i sacrifici che costa. La musica poi è quasi sempre molto onesta e restituisce anche di più di quello che le si è dato.»
Mai avuto tentazioni commerciali?
«Non direi, per lo meno non intenzionalmente. Credo che si debba cercare di essere il più possibile se stessi. Se no le cose non funzionano. Altrettanto penso che sia una ingenuità negare che chiunque si metta a scrivere, suonare o prodursi in un lavoro artistico lo faccia senza la più o meno segreta speranza di poter raggiungere il numero più grande di persone possibile. Non ho mai creduto a chi dichiara di scrivere o suonare contro la gente. Non avrebbe alcun senso, probabilmente chi lo afferma fa di questo fatto, che è a tutti gli effetti un fallimento, una poco credibile bandiera. Ma è un discorso complesso che sto liquidando con leggerezza.»
Perché il jazz attrae così tanto le nuove generazioni?
«Non so se sia proprio così, certo una sorta di zoccolo duro anche fra i giovani esiste, resiste e forse cresce, anzi auguriamoci che continui a crescere. Oggi in effetti, vivendo in quella che è stata definita “infosfera” è molto più semplice raggiungere e diffondere qualsiasi tipo di espressione artistica e ciò è un innegabile vantaggio.»
Che idea si è fatto sulle contaminazioni di suoni urbani, spesso elettronici, col jazz?
«Non è certo una novità. Il jazz nasce come musica di contaminazione, la contaminazione è nella sua essenza profonda e ha prodotto ottimi risultati, cito Weather Report, Steps Ahead, Yellow Jackets.»
Che rapporto ha coi media di settore?
«Inesistente…»
Lei è anche insegnante di musica. Quali le qualità necessarie per divulgare la sua conoscenza?
«Sapere ascoltare, essere paziente, cercare e trovare quando c’è il potenziale negli allievi, confrontarsi con loro, incoraggiare, correggere, soprattutto non avere segreti nei loro confronti, tanto nessuno può inventare più niente, e comunque aiutarli. Cercare poi di far capire che tecnica e competenze sono fondamentali in musica come in qualsiasi altra disciplina, ma devono restare strumenti, un passo indietro rispetto alle peculiarità di chi faticosamente cerca di acquisirle.»
Com’è cambiata la platea degli studenti negli anni?
«Tutto è cambiato nella didattica musicale, parlo naturalmente dell’Italia. Quando ebbi il privilegio di cominciare a studiare al CPM a metà degli anni Ottanta con Franco D’Andrea, un vero maestro nel senso di quel che ho appena affermato, era tutto da inventare. Musicisti come Franco D’Andrea, Attilio Zanchi, Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Enrico Intra si sono inventati praticamente tutto. Ora le cose sono diverse. Ci sono le scuole civiche e i corsi nei Conservatori, innumerevoli laboratori, clinic, seminari. Di conseguenza anche gli studenti sono cambiati. Oggi sono davvero tanti i giovani aspiranti musicisti sempre più preparati e sempre più motivati.»
Vivere grazie alla musica è un privilegio. Che cosa dice ai suoi ragazzi quando legge nei loro occhi il desiderio, se non proprio l’urgenza, di arrivare a farsi conoscere?
«Che non sarà semplice per niente e non lo sarà per tutta la loro vita di musicisti, che non avranno mai assolutamente garanzie professionali. Che se davvero però quel desiderio esiste, ancor meglio se generato da una spiccata naturale attitudine, deve corrispondere a tanto lavoro e ad altrettanta perseveranza. Considerato comunque che oggi di garanzie professionali ce ne sono poche in tutti i campi, direi loro di non esitare a provare. Molto seriamente però.»
Dove sta andando il jazz? Intendo: quale la sua avanguardia oggi?
«Chi può dirlo? Non è mai stato semplice capirlo. Andando oltre ai periodi e agli stili passati, in verità mai davvero passati, il jazz continua ad avere tante facce e soprattutto è straordinariamente vivo e per questo si muove continuamente. Lo scopriremo solo vivendo.»
Quale musicista l’ha influenzata di più?
«Sono convinto che l’ascolto della musica finisca inevitabilmente con l’influenzare in qualche misura chi a sua volta la fa. Parlando di punti di riferimento consapevoli e limitandomi ai pianisti di altri lidi direi Bill Evans, Keith Jarrett, in qualche misura Herbie Hancock, amo il pianismo di Brad Mehldau, ma certo non solo loro…»
Potendo rubare uno standard della storia del jazz, su quale metterebbe le mani per tramandarlo come suo?
«Non è semplice scegliere, soprattutto sceglierne uno, ci proverò: amo molto le ballad e Never let me go resta una delle mie preferite…»
Batteria, piano, sassofono, tromba, chitarra e voce. La sua personale Best Jazz Band. Ha il diritto di sedersi al piano.
«Scelta niente affatto semplice nemmeno questa, nel jazz più che in altri generi ogni musicista ha e deve avere il suo suono e il suo modo di suonare, non necessariamente potrebbe crearsi l’alchimia giusta mettendo insieme diversi grandi talenti. Tra mille incertezze direi, considerando solo musicisti viventi e sempre di altri lidi, Jack De Johnette, Brad Mehldau, Wayne Shorter, Roy Hargrove e, infine, alla voce e al basso Esperanza Spalding; per la chitarra passo… Comunque in una simile circostanza preferirei mettermi in disparte ad ascoltare e a guardare.»
ALESSANDRO BIANCHI AND HIS NEVERENDING JOURNEY AMONG JAZZ, PIANO AND TEACHING
Born in Verbania, close to the Maggiore Lake, in 1959. For thirty years lived in Milan, now back to his hometown house. At nine he sat at the piano, a following long time spent on studies and finally the great encounter called jazz. Love at first sight.
Alessandro Bianchi’s resume is full of great collaborations, live concerts, studio sessions and records written and recorded. More than this, he plays another role, as teacher of piano, improvisation and harmony, once at CPM and now at Smart Academy di Balerna, Chiasso, Switzerland.
His latest gem is Times Remembered, the magnificent record of Rosalynn Robinson, the US vocalist with whom he shared the stage in more than five hundred concerts.
Following our conversation.
Let’s begin with the name of this music: jazz. The meaning is not sure yet. We only know that originally it was called jass, the rest divides philologists, scholars and fans. What’s your opinion?
«Jass, Gism… tha matter is debatable. I’ve no a theory about it. I think that the word jazz sounds and describes the music within just because it has no a clear meaning.»
New Orleans, New York, Chicago, the towns that in our experience are the historical stages of this music. Just a geographical distance among them or three different souls?
«I think that the distance is just on the map. Well, at the beginning the different skills of the musicians give birth to different styles, but the soul and the vital energy have been always the same. Jazz was born somewhere, in many places it grew up and still now lives, but I think it won’t ever have an address which typifies it stylistically.
How about the italian scene?
«Good, it’s represented by great names known all over the world and a lot of young musicians of international level. The are always new festivals and events, more or less important. Least of all today italian jazz has no boundaries. It’s necessary only talent and knowledge.»
And what about its numbers?
«Small ones. Jazz has always been a niche and this is its luck.»
Does an italian way to jazz exist?
«In so far as a French or Enlish or American way could exist. Jazz, I said it before, has no a geographical characterization. For example, in my opinion the claim brought on by US musicians and musicologists to consider jazz the “american classic music“ never had a strong foundation.»
Is still existing the difference between the black and the white way to this kind of music?
«In my opinion it never existed. The deepest nature of jazz is the result of the meeting of western and european culture with the afro-american one. Since from the beginning we talk about these differences with no final demonstration and luckily the period when black musicians used to consider jazz a racial flag passed.»
Small somoking clubs and great theatres: the stage of the gigs changes depending on the kind of jazz played. Which is your favourite one?
«Of course clubs have always been a privileged place. Some of them are still a legend. Even though jazz was born on the road it needs appropriate places to be listened. The paradox is that jazz, even in ist highest molds, has became muzak, backdrop sound at the airports or in the hotels.»
How jazz reacted after the smoke ban in the clubs?
«I stopped suffering.»
It’s a cliché but when we think of jazz vocalists we think of female voices forgetting that Chet Baker, Louis Armstrong, Johnny Hartman, Nat King Cole, just to say few names, were male singers. You have a special observatory called Rosalynn Robinson and Tiziana Ghiglioni: may you give your explanation?
«Personally I’ve always been fascinated by female voices. Not only as far as jazz is concerned. Mermaids were female creatures…»
What about playing five hundred concerts with Rosalynn Robinson?
«A beautiful tale, sometime an adventure. Among lots of happy memories the bitterness and melancholy for a friend of mine that passed away, Santino Carcano, for a long time double bass player of the Rosalynn Robinson Quartet.»
A new record with the Philadelphia singer, Times Remembered. A hymn to the night. What about its gestation?
«Very long as far as the time Rosalynn and me talked about it, very short as for the recording: just one rehearsal. I have to say that thanks to the sensitivity of the musicians and the expertise of Stefano Pinzi, Sound Engineer of the studio, thinks worked quite well.»
Three tracks written by you two. Is the lady demanding about the composition?
«Not at all, I’ve been very lucky. First of all because these musics were born before lyrics, so poetic and and well-fitting, then because she gave me the maximum trust and freedom.»
Why, in spite of the the presence of standards like In a sentimental mood or Skylark the track I feel that the real engine of the album is Once there was a time written by you and lady Robinson?
«Thanks it’s a great compliment. The record was designed around the original tracks. Our songs stressed the particular mood we wanted to put on it. I found the sound I was looking for in the huge musicians that are going with us in this adventure, I mean Pepe Ragonese, Stefano Dall’Ora e Francesco D’Auria.»
Gaetano Santangelo, Amadeus monthly magazine editor, asserts that jazz contaminated classic music and this fact gave us the Concert for piano and orchestra by Ravel. Let’s change the perspective: how classic music influenced jazz?
«Jazz couldn’t exist without western classic music. The structures, the instrumentation, the tonal language, the use of harmony are the same of western music. Blues itself, considered by many people the most important originating cause of jazz, was born structured on the chords of classic rhythmic cadence.»
Do you listen to classic music?
«Of course, now it’s the most importan kind of music in my life. I listen from Baroque to the 1900s, except Dodecaphony and electronic drifts.»
Have any relationship with pop music?
«Pop is the soundtrack of our contemporary life. I usually hear it without listening to it and with no effort. Certainly not everything. I think there’s a lot of good stuff. It was part of a perid of my youth. All considered, also jazz and classic music were to some extent pop music.»
Is it true that a jazz musician doesn’t feel envy towards a rockstar because, even less famous and rich, a jazzman is a real musician?
«Absolutely not. Envy is something real present and current among musicians. Celebrity and money move our feelings. For example letting vain and bothersome polemics among musical genres and crossover artists. The same old song. No, I think that it’s possible to find real musicians also among popstars or rockstars. Even compared to those who, after a lot of years spent studying classic repertoire, passed their time slaughtering masterpieces on masterpieces.»
Never got any commercial temptation?
«No, at least not intentionally. I believe you have to look for yourself as long as possible. If you don’t behave this way things don’t work.»
Why jazz is so attractive for new generations?
«I don’t know if it’s true. Of course jazz has it’s strong corner of fans among youth. I hope it can increase.»
What’s your opinion on urban sound contamination of jazz?
«It’s not a news, contamination is the real spirit of jazz. It gave great results such as Weather Report, Steps Ahead, Yellow Jackets. Let’s not forget that jazz is dynamic and antihistoric by nature, it has many faces.»
You also teach music to young people. Which is the best quality a teacher must possess to spread his knowledge?
«A teacher must be able to listen, must be patient, must look for and find the potencial resources a student keeps inside. He must relate with them, support them, correct them and above all he must not have secrets towards them because now nobody can invent nothing more. And anyway help them.»
Where is jazz heading to?
«Who can say it? Never been easy to understand it. We just can stress that jazz lives with many faces and it is still extraordinarily alive. We’ll discover by living it.»
Which is the musician who influenced you more?
«I’d say Bill Evans, Keith Jarrett and to some extent Herbie Hancock. I love Brad Mehldau’s piano music but there are a lot of names on the list.»
A standard you’d like to have written.
«It’s not simple. I try: Never let me go is one of my favourite.»
Your personal Best Jazz Band. You can choose to sit at the piano.
«Considering only the living musician: Jack De Johnette, Brad Mehldau, Wayne Shorter, Roy Hargrove, voice and bass Esperanza Spalding. I can stay apart listening and watching.»