Camarella & Facchini: lo swing che non ha età

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Ma chi l’ha detto che il tempo passa? Meglio: chi ha la prova che il tempo abbia solo un movimento lineare volto a dar presente al futuro? L’album dell’illusione temporale, così ricco in letteratura con i testi di Pirandello e Borges, s’impreziosisce con un neanche tanto piccolo contributo musicale di sponda italiana.

L’Anita Camarella & Davide Facchini Duo ripercorre con grazia, gusto e una forte dose d’originalità gli anni Trenta e Quaranta, quando la musica popolare si chiamava essenzialmente swing. Ritmi americani e melodie italiane (e testi molto meno elementari di quello che a primo ascolto apparivano) ci accolgono in un viaggio che non può semplicemente dirsi a ritroso nel tempo. L’alta e limpida voce della vocalist, le armonie arricchite da Facchini alla chitarra nonché gli abbellimenti del duo ci regalano un quanto mai affascinante e poetico quadro sonoro di fresca forza contemporanea. Perché quando l’autenticità è il matrimonio di un talento accentrico con una precisa conoscenza storica allora siamo davanti a un progetto artistico nuovo, alternativo al conformismo del presente e distaccato dalle radici da cui ha preso vita.

02E poiché nemo propheta in patria, anche per la coppia (nella vita così come nella professione musicale) l’estero si è finora dimostrato più generoso nel tributare il meritato successo. Negli Stati Uniti non è raro che le stazioni radio trasmettano un pezzo del duo, grandi musicisti hanno diviso con loro il palco in storiche location e, tanto per gradire, qualche anno fa il loro disco La famiglia canterina venne premiato con il “LadyLake Music Indie Awards”.

Questa la nostra conversazione.

Quando è nato il vostro sodalizio musicale?

Anita Camarella: «Nell’ottobre 2000 abbiamo suonato per la prima volta insieme aprendo un concerto di Tommy Emmanuel, Thom Bresh e Buster B. Jones. Tre giorni e tre notti con grandi musicisti che hanno cambiato la nostra vita musicale. Davide ha iniziato ad approfondire il fingerpicking ed è ufficialmente nato il Duo».

La scelta di dedicarvi allo swing degli anni ’30 e ’40 da cosa deriva?

Davide Facchini: «Nel 2001 siamo stati invitati a esibirci a un festival a New York. Suonavamo assieme da pochissimo ed entrambi arrivavamo da esperienze musicali diversissime. Volevamo trovare qualcosa che ci accomunasse e che, 03contemporaneamente, potesse testimoniare la nostra italianità all’estero. La ricerca ci ha portati fino allo swing italiano, che all’epoca non era affatto diffuso come ora e ci ha quindi richiesto parecchio tempo perché i brani non si trovavano su cd ma solo su 78 giri o su spartiti che ci arrivavano da musicisti che avevano suonato in prima persona questo repertorio. È stata un’esperienza che ci ha arricchito molto, soprattutto a livello umano e credo che questo traspaia nella passione che entrambi abbiamo per questo genere musicale».

Anita nasce vocalist di musica antica. Quali gli ostacoli da superare nel passare a una sonorità che ha negli abbellimenti vocali e nella coloritura fantasiosa della propria timbrica gli elementi portanti?

AC: «In realtà sono sempre stata appassionata di vari generi musicali che ho avuto la fortuna di iniziare a cantare quasi contemporaneamente: polifonia sacra rinascimentale e moderna, jazz e musica profana e popolare del XV secolo. Questo mi permesso di essere sempre molto malleabile a livello vocale rimanendo sempre aperta mentalmente a tante culture e tipologie musicali molto differenti fra loro».

Quando si accorse di avere una voce non proprio convenzionale?

04AC: «Credo che l’esperienza in ambito jazzistico mi abbia dato la possibilità di sperimentare molto, ma anche la musica profana e popolare del XV secolo richiede molta elasticità tecnica. Però è vero quando si dice che la mia sia poco convenzionale. Ho iniziato a esibirmi davanti a un pubblico quando avevo 13 anni e da allora mi sono sempre sentita dire che la mia voce non era adatta al jazz, né al blues, né al pop, né al rock o a tutti gli altri generi musicali moderni. Ma alla fine proprio questo mi ha dato l’impulso per potermi affermare per ciò che ero: soltanto e unicamente me stessa. La mia voce o la si ama o la si odia, proprio come accade a tutto ciò che è un po’ fuori dagli schemi».

Quale la sua voce di riferimento?

AC: «Non ho una specifica voce di riferimento. Sono talmente appassionata di così tante culture musicali che mi è difficile immaginare che vi sia un solo modo “bello” o 05“corretto” di cantare. Posso dire che a seconda del genere ho alcuni interpreti vocali preferiti che possono andare da Bobby McFerrin a Joni Mitchell, da Billie Holiday ad Andreas Scholl, ma potrei continuare all’infinito».

Anche lei, Davide, ha un percorso originale. Viene da un universo musicale che parte dal blues per toccare lidi strumentali per talenti dello strumento chitarristico, espressioni sonore non proprio apparentate con i tre minuti della “canzonetta saltellante”. Come si trova dentro questo genere così diverso?

DF: «Sono un grande ascoltatore e appassionato di musica prima di essere un musicista. Ascolto veramente di tutto e il mio ideale sarebbe poter suonare di tutto, ma non è possibile. I miei ascolti variegati hanno comunque influenzato il mio modo di approcciarmi alla chitarra. Le bellissime “canzoni saltellanti” si prestano perfettamente al mio modo di suonare e al fingerpicking e come mi diceva sempre il mio amico Raf Montrasio: “Non esagerare, tre minuti e poco più…”. In tre minuti si possono raccontare tante cose in una canzone».

È un virtuoso del fingerstyle. Cosa le permette questo modo di suonare la chitarra?

06DF: «Mi sono sempre piaciuti i pianisti: la chitarra è un piccolo pianoforte portatile e il fingerstyle mi ha permesso di avvicinarmi maggiormente all’aspetto polifonico dello strumento dandomi la possibilità di suonare da solo o in duo con arrangiamenti completi. Non mi considero un virtuoso, preferisco pensarmi come a un bravo e appassionato artigiano. Quando faccio swing il basso alternato suonato dal pollice della mano destra tipico dello stile di Merle Travis e Chet Atkins rappresenta la mia band e soprattutto la sezione ritmica, e quando tutto gira e il pubblico batte il piede io ho raggiunto il mio scopo».

La vostra scelta di autori da rileggere è piuttosto composita. Spaziate da chi aveva un orecchio tipicamente jazz come Gorni Kramer al compositore di musica tradizionale napoletana come Cesare Andrea Bixio o a quello che univa i due mondi come Renato Carosone; passate da un poeta-editore come Bixio Cherubini al cantore della milanesità popolare come Giovanni D’Anzi. Presi nel loro insieme, che mondo raccontavano?

AC: «Raccontavano un’Italia che abbiamo riscoperto in questi anni e che cerchiamo di raccontare a nostra volta durante i nostri spettacoli. È l’Italia dei nostri nonni ai quali abbiamo dedicato il nostro primo album Quei motivetti che ci piaccion tanto! La musica è davvero lo specchio della società. Nel dopoguerra lo swing esprimeva la voglia di 08ricostruire e la felicità nel farlo tutti insieme. Anche le Big Band, simbolo indiscusso di questa musica, rappresentano una piccola comunità gioiosa che a pieno ritmo e con la preziosa collaborazione di ogni singola parte portano avanti un progetto».

Non sempre si trattava di canzoni dalla lettura elementare e innocua. Un pezzo come Pippo non lo sa procurò più di un problema al duo Kramer-Panzeri per il sospetto che mettesse in burla Achille Starace e lo stesso accadde con Crapapelada che, a quanto è giunto fino a noi, mirò addirittura più in alto. Questo per chiedervi: cosa ne pensate delle acrobazie liriche degli autori che, dietro ad esempio alla descrizione di una pacifica scena di campagna, incoraggiavano una lettura più profonda?

AC: «Esattamente. Spesso lo swing italiano viene trattato a mo’ di macchietta, invece dietro a queste bellissime melodie c’è ben altro: quasi sempre si ignora la grande storia che questa musica racchiude e racconta. Un mondo dove non era semplice fare una cosa per noi normale come suonare, cantare e dire la nostra attraverso la musica. Acrobazie liriche e spericolate che potevano diventare davvero pericolose per gli autori a causa dei messaggi, a volte nemmeno tanto celati, che si possono ascoltare fra le parole di alcuni brani, anche fra i più famosi. Nel 2003 abbiamo viaggiato in Tunisia esibendoci nelle università e abbiamo visto le difficoltà e i problemi del vivere sotto dittatura. I giovani insegnanti universitari di quel bellissimo paese ci hanno sorpreso, così come gli studenti con tutti i problemi che dovevano affrontare anche solo per poter assistere al nostro concerto. Il jazz era una musica vietata in Italia durante il fascismo e forse si sono immedesimati nella musica che suonavamo».

Cosa vi guida nel disegnare gli arrangiamenti dei pezzi che decidete di prendere in mano?

DF: «Prima di tutto facciamo una ricerca storica sul brano, sul testo, sugli autori e questo primo approccio ci aiuta a entrare nella canzone. Decidiamo la tonalità e anche questa scelta ha il suo peso sia per la voce di Anita sia per la chitarra. Poi ci sediamo e cominciamo a suonare lasciando aperta ogni strada. È un lavoro che può richiedere un pomeriggio ma anche mesi perché le idee arrivano suonando la canzone. Un esempio è La famiglia canterina: l’abbiamo suonata per mesi e non ci ha mai convinto. Da un giorno all’altro abbiamo stravolto l’arrangiamento trovando la combinazione ideale tanto che questo stesso brano si è poi rivelato anche un titolo perfetto per uno dei nostri album».

09Quanto allo swing americano, quali i criteri con cui procedete alla scelta dei pezzi da rivestire con il vostro stile?

DF: «Spesso ci accostiamo a un brano grazie alla sua storia e questo vale sia per i brani di swing italiano sia quelli americani. Ci sono ancora molti brani meno popolari che ci piacerebbe proporre in concerto, una lista lunghissima».

Quale la distanza più evidente tra lo swing italiano e quello americano?

AC: «In realtà non c’è grande distanza perché da un punto di vista musicale il secondo deriva dal primo e testualmente entrambi raccontano scorci della vita quotidiana di allora. Probabilmente la particolarità più interessante presente nello swing italiano è il tipo di melodia: è identificativa della nostra storia musicale e dei nostri gusti, ma anche l’adattamento della lingua italiana a un ritmo tipicamente americano è una caratteristica che colpisce e conquista molto il pubblico straniero».

Non vi limitate a reinterpretare, i vostri dischi ospitano spesso pezzi firmati da voi. In qualità di compositori, qual è la difficoltà di scrivere un pezzo swing oggi credibile?

AC: «Ne La famiglia canterina abbiamo inserito Lezione di Swing, un brano dedicato a nostra figlia. Credo che scrivere un brano credibile in ogni genere musicale necessiti innanzitutto di una profonda conoscenza di quel genere. Abbiamo molto materiale 10inedito anche strumentale e non solo di swing. Speriamo presto di registrare un album di musica nostra».

Nel vostri spettacoli ricreate questo piccolo mondo antico. Cosa veramente si è perduto del modo di essere e di vivere dell’italiano medio di quel periodo?

DF: «Il mondo è cambiato tantissimo e le persone sono ora distratte da mille cose. Forse una volta si correva meno e ci si godeva di più il momento. La nostra speranza è quella di regalare, con il nostro concerto, un viaggio nel tempo e nei ricordi distante dalla vita frenetica di oggi. Nei nostri spettacoli ci piace avere il pubblico vicino e creare un’atmosfera molto intima, coinvolgente ed elegante. Capita in alcuni momenti di suonare musica acustica per meglio catturare l’attenzione del pubblico e questo crea maggior concentrazione e curiosità».

11Possibile affermare che musicalmente la vostra non è un’operazione retrò quanto di avanguardia?

AC: «Il nostro mondo musicale si è delineato in quindici anni di lavoro, esperienza, tanti chilometri ed è sempre in evoluzione. Siamo cambiati molto. Ci piace molto rileggere il passato dal nostro punto di vista “duale” e trasmettere una rilettura senza essere necessariamente filologici. Senz’altro il nostro sguardo a 360° sulla musica aumenta questa svolta “all’avanguardia” da parte del “nostro” swing e suonare con una formazione minimale rende tutto molto particolare. Ci siamo resi conto che questa è una musica che arriva davvero a tutte le generazioni. E forse proprio perché il nostro modo di proporla è volgendo sempre lo sguardo in avanti nella musica, alla fine sono soprattutto i più giovani che si stupiscono nell’apprezzare enormemente il nostro mood, i nostri arrangiamenti, gli approfondimenti storici, l’atmosfera che cerchiamo di creare durante i nostri spettacoli».

Qualche anno fa registraste un disco acustico con una tracklist diversa rispetto all’eredità da cui tradizionalmente pescate. In Acoustic rileggete canzoni di Joni Mitchell, Paul McCartney, Antonio Carlos Jobim più pezzi tradizionali irlandesi o del lontano XIV secolo. Un semplice divertissement, una sfida, un progetto che annuncia il vostro prossimo futuro…12

DF: «Acoustic è uscito nel 2015 per festeggiare i nostri quindici anni di attività. Abbiamo raccolto materiale registrato negli anni che era rimasto nel cassetto e che svela in qualche modo le nostre radici musicali. Abbiamo coinvolto anche Paolo Ercoli, che con il suo magico dobro ha arricchito e abbellito molti brani. In particolare in Hotel Tunisi, che ho scritto in Tunisia durante il nostro tour. È un album che voleva anche essere un anticipazione dei progetti futuri. Anita si sta rivelando un’ottima songwriter e speriamo presto di registrare un nuovo disco con tutti brani inediti. Recentemente il trio con Ercoli è diventato un quartetto con l’aggiunta di Rino Garzia al contrabbasso. Blue4Green è il nome del nuovo quartetto con il quale abbiamo iniziato a suonare anche le composizioni di Anita. È inoltre uscito da poco un nuovo album strumentale con un diverso quartetto: Alberto Marsico all‘organo, Gio Rossi alla batteria, Marco Bianchi al vibrafono. Il cd è intitolato MyTown ed è dedicato alla Motown. È suonato interamente con la Telecaster, una chitarra al quale sono molto legato».

Il vostro disco La famiglia canterina è stato premiato negli States quale miglior album del 2013 con il “LadyLake Music Indie Awards”. Non è raro ascoltare i vostri pezzi nelle radio americane e in venue come Nashville avete tenuto concerti con grandi musicisti salutati da un’entusiasta risposta di pubblico. Siate sinceri: quando siete di ritorno in Italia vi prende la depressione di dover rientrare nello sgabuzzino dell’impero.

13AC: «Il “LadyLake Music Indie Awards” è stato un riconoscimento importante da tutti i punti di vista perché La famiglia canterina è un album ricco di significati per noi. Gli Stati Uniti hanno sempre accolto la nostra musica con entusiasmo: sia il pubblico sia gli stessi musicisti con cui abbiamo avuto il piacere di collaborare hanno apprezzato e riconosciuto il grande lavoro che essa racchiude. Amiamo molto l’Italia ed è davvero un paese incredibile e ricchissimo di potenzialità. Abbiamo suonato in posti meravigliosi e contesti importanti anche in Italia. Purtroppo è difficile però avere continuità e lavorare in maniera serena. A Nashville abbiamo suonato al Ryman Auditorium all’All Star Guitar Night condividendo il palco con musicisti del calibro di Larry Carlton, James Burton, Victor Wooten, Rick Vito e molti altri. Serata indimenticabile! ».15

Un totem come Paul Franklin rimase impressionato dalla vostra versione rallentata e intima di Volare. Cosa gli piacque particolarmente?

DF: «Siamo felici di questa domanda perché suonare con Paul Franklin è stato un momento magico che è nato pochi minuti prima di salire sul palco. Era un venerdì sera alla Little Walter Tube Amps Endorsee Jam in uno dei locali più importanti di Nashville. Appena abbiamo iniziato a suonare il pubblico si è ammutolito. Quando siamo scesi dal palco con il pubblico ancora entusiasta Paul era impressionato e ci ha invitato a esibirci con lui e i Time Jumpers nello stesso locale il lunedì successivo. Durante quell’incredibile serata ci siamo ritrovati con un gruppo stellare, io seduto al posto di Vince Gill che mi ha lasciato il suo amplificatore sdraiandosi dietro di noi assorto ad ascoltare. Paul ci ha 14chiesto di suonare nuovamente Volare che ha catturato di nuovo l’attenzione di tutti e All of me con tutta la band al completo. Insomma, dopo il Ryman eccoci sul palco con i mitici Time Jumpers e tutto questo sempre a Nashville. Nashville è davvero una seconda casa per noi e un posto assolutamente straordinario».

Dividete la vostra carriera con altri impegni quali la didattica musicale e, come accade per Anita, i progetti dedicati all’infanzia. Com’è la platea dei giovani dell’età digitale?

AC: «Noi siamo molto analogici, siamo convinti che le cose si debba toccarle con mano. Il digitale è stata una rivoluzione, ma i giovani “nati digitali” hanno assolutamente bisogno di essere coinvolti. Per la maggior parte di loro la musica è un’icona all’interno di un telefonino. Suonare uno strumento, cantare, necessitano di un’apertura verso gli altri e voglia di partecipare e condividere. Ecco perché per noi l’insegnamento ha sempre significato prima di tutto condivisione, confronto e la creazione di relazioni umane che nascono spontaneamente attraverso la comune passione per la musica. Lavorare con i bambini è sempre molto gratificante perché in loro non sono ancora presenti certi pregiudizi e si riesce a spaziare senza alcuna difficoltà da Schönberg a James Brown ricevendo sempre risposte interessanti e positive. Nei miei progetti pensati per l’infanzia cerco soprattutto di lasciare aperta la mente dei più piccoli a tutte le possibilità sonore e creative che al giorno d’oggi possono essere infinite, nella speranza di piantare un piccolo seme che magari nel futuro possa far nascere un fiorellino multicolore e multiforme, menti per le quali esiste la Musica con la “M” maiuscola, valida e interessante in tutte le sue forme».

A proposito di giovani. Nella seconda metà del Novecento la Rai si impegnava in produzione di trasmissioni che divulgavano almeno due dei grandi generi musicali, classica e pop, rispettando il pubblico, la sua intelligenza e i suoi gusti. Oggi siamo invasi dai talent e i suoi derivati. Possibile uscire da questo buco nero?16

DF: «Non siamo molto aggiornati su quello che succede in televisione proprio perché purtroppo oggi la televisione non è più un veicolo che permette di scoprire o approfondire la cultura, ma semplicemente una vetrina dentro la quale la gente sgomita per potervi entrare. Credo e spero che il pubblico sia molto più intelligente e curioso dell’attuale proposta musicale televisiva e radiofonica. Oggi sentiamo parlare solo di talent e grandi eventi ma poi cosa troviamo nel quotidiano? La musica dovrebbe tornare a far parte del quotidiano delle persone, dall’ascolto consapevole al piacere di potersi dilettare con uno strumento. È difficile portare le persone ai concerti perché c’è sempre meno abitudine all’ascolto dal vivo, ma ogni volta notiamo che quando assistono in prima persona a uno spettacolo ne rimangono colpiti e affascinati. Abbiamo suonato spesso nelle scuole e i bambini/ragazzi sono sempre incredibilmente interessati e curiosi: la loro risposta è ogni volta travolgente e immediata. C’è davvero tanta bellissima musica da ascoltare, che sia registrata o, meglio ancora, eseguita dal vivo».

18Oggi la musica cosiddetta leggera subisce il diktat delle radio che impongono addirittura la struttura che deve avere un pezzo per poterlo trasmettere. Durata non superiore ai tre minuti, ritornello dopo tot, stacco strumentale dopo un altro tot. Se così non è non si trasmette. È l’ufficio marketing a decidere quali canzoni saranno mandate in onda in quale trasmissione. Ma è possibile che la popular music debba avere un profilo così meramente mercantile?

AC: «Così come accade in televisione, anche nelle radio italiane la musica ha perduto quasi del tutto la sua vera essenza a causa di addetti ai lavori che ci hanno convinto che l’unico fine della musica sia la sua commerciabilità e mai l’arricchimento e l’accrescimento personale. Per apprezzare, scoprire o approfondire la propria passione per la musica le persone devono allontanarsi dalle proposte sempre più insipide e standardizzate che ci vengono propinate dai media».

Voi credete ancora che contino le idee?17

DF: «Dobbiamo assolutamente crederci. Siamo musicisti e la musica si nutre di idee…».

Sbaglio o avete iniziato a fare le prove generali perché il duo diventi un trio?

AC: Nostra figlia viaggia con noi da quando è nata. Conosce e canta tutto il nostro repertorio ed è una grande ascoltatrice di musica. Ha la sua discografia in cd da quando ha imparato a schiacciare il tasto play del lettore. Spazia da Eric Satie, alla musica 11406733_10203759811910285_3456016556933517822_oirlandese ai Foo Fighters. È una grande appassionata dei film di Gene Kelly, Fred Astaire e dei bellissimi film musicali come Tutti insieme appassionatamente o Il mago di Oz. Prima di uscire di casa “perde” dieci minuti per decidere quale cd portare in macchina da ascoltare. La musica ha suscitato da sempre in lei molta curiosità. L’abbiamo coinvolta nelle registrazioni di alcuni nostri cd e da qualche tempo ormai ha un paio di canzoni tutte sue da cantare sempre durante i nostri concerti: la sua new entry è My favourite things. Speriamo di averle trasmesso la passione per la musica e per l’arte in generale perché indipendentemente da ciò che deciderà di fare da grande la musica e la cultura le permetteranno di mantenere una mente aperta, di conoscere e comprendere meglio il mondo e di potersi confrontare con tante altre culture».


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