“Laura fu l’ultima a partire, una mattina dell’estate dell’altr’anno. Fu l’ultima a partire e attraversò boschi e risalì sentieri, prima di raggiungere gli altri. Poi, finalmente, furono tutti nuovamente assieme e seppero che non mancava nessuno. Nessuno era rimasto indietro a ricordare. Così quella loro gita poteva essere dimenticata per sempre.”
Il finale più devastante e senz’appello che il cinema abbia mai avuto la capacità di esprimere. E pure il più gonfio di verità a cesura di questo dannato gioco, a cui nessuno di noi mai chiese in principio di giocare, che si chiama vita. Parole che ci ricordano che l’essere umano lascia un’impronta che prova la sua esistenza al massimo finché qualche suo simile è in grado di ricordare la presenza. Di persone, cose ed eventi. Altrimenti si annulla la differenza tra ciò che fu e ciò che mai fu. Senza più memoria il primo si trasforma nel secondo.
Il film è Una gita scolastica, il suo regista, Pupi Avati, un lirico del mezzo cinematografico. Racconta appunto di una gita che, chiuso l’anno scolastico 1914, con la Prima guerra mondiale alle porte, una terza liceo fece attraversando l’Appennino a piedi. L’evento viene riportato alla luce da una delle studentesse del gruppo, Laura, ora arrivata a ottant’anni, che nel dormiveglia su una poltrona di casa rivive l’emozione di quel momento. È l’ultima rimasta Laura, i suoi compagni, il professor Balla e la professoressa Stanzani che li accompagnò, hanno già terminato il loro cammino.
Siamo trasportati all’interno del vissuto emotivo dell’anziana donna. La gita si svela ai nostri occhi fino all’epilogo. Verso l’alba, come ci informa una ferma voce fuoricampo, Laura viene colta da uno strano torpore. Ha paura di addormentarsi. Sente che sarebbe il preludio della morte. Ha un compito Laura. Restare viva per continuare a ricordare quella gita affinché essa esista. In un passato sempre più remoto, non importa. È lei l’unico grembo rimasto perché quel momento continui a essere rimesso in scena, insieme a tutti gli eventi che fanno il teatro. Non può morire Laura. Non sarebbe giusto. Non importa quanto sia ordinario l’evento. Anche una sola foglia che cade dal ramo in autunno produce un rumore assordante, non è così?
Invece accade che alla fine della storia un suo compagno di classe faccia capolino con la testa in casa sua e la chiami: Dai forza che è tardi, sei sempre l’ultima, ci sono gli altri che ci aspettano. A questo punto la giovane Laura non può che dire, Eccomi, Enzo. Arrivo.
Non dovremmo stupirci. Siamo di passaggio. Lo sappiamo e ce lo ricordiamo. E per lo più lo accettiamo, visto che non ci paralizza la consapevolezza di dovercene andare. Ci angoscia più il morire che la morte, il modo in cui essa ci prenderà, ma questa è un’altra canzone. O un altro film.
Ci affligge invero accendere la mente su una verità altrettanto svelata ma che meno ci riveliamo. Dopo la nostra carcassa umana, sfumeranno pure le nostre opere. Quelle incognite al mondo, ben inteso, ma pur sempre frutto del nostro agire, personale o collettivo. Le opere costituiscono l’album della nostra vita, sono la prova della nostra esistenza ben più del sangue, delle ginocchia o dei muscoli che ci sostengono e quando anche loro si confonderanno con l’aria non rimarrà definitivamente più niente di noi. Nel modo più assoluto.
Se non rimarrà più niente di noi allora significa che non saremo mai esistiti. Quando mancherà l’ultimo testimone di un evento che ci ha visto attori vorrà dire che su questa terra non ci saremo mai stati. E di una gita scolastica, in cui non successe nulla di più di quanto abitualmente succede in una gita scolastica, non rimane certo impronta nei libri per essere (ri)conosciuta un giorno nei secoli a venire. È cosa che non accadde mai. Il suo destino è che mai essa fu.
Hanno un pass temporaneo anche le nostre azioni. Per chi cammina con lo sguardo sollevato da terra si tratta di una ferita. L’oblio delle cose e dei gesti che abbiamo contribuito a creare è un taglio nella nostra carne. La dissoluzione della presenza comporta ben più di una semplice identità perduta.
Perché anche se tutto scolora, anche se voci e volti diventano progressivamente ombre negli anni, è vero che finché ci sarà una donna o un uomo che aprirà le porte all’ombra vorrà dire che sarà ancora conservato l’atomo primo da cui ripartire per ridare luce e forma. Quanta desolazione e solitudine in meno se solo potessimo mettere testa e cuore alle cose e ai fatti perduti prima del nostro arrivo.
Non vale riflettere che quel fatto mai più raccontabile sarà stato a suo modo comunque eterno perché foriero di effetti e conseguenze che non sarebbero accaduti se esso non fosse avvenuto. Quindi quel momento continuerà imperituro a “essere mondo”. Vero, ogni gesto per sua natura disegna e modifica il nostro e l’altrui destino producendo cambiamenti in noi e negli altri, contribuendo così a scrivere la storia del pianeta Terra. Ma quegli effetti verranno a noi solo come cause sconosciute, semplici entità genitrici di altro vissuto che a sua volta modificherà scenari successivi i quali a loro volta daranno il via a situazioni e realtà nuove le quali poi…
Ma i nostri nomi e i nostri cognomi, il profilo del nostro volto, il timbro della nostra voce, la fattezza delle nostre mani torneranno a essere nulla. Si accomoderanno nel buio insieme alle azioni che hanno segnato il nostro esistere.
Non abbiamo fatto nulla che la società abbia reputato degno di essere tramandato. Non abbiamo scritto un libro memorabile, non abbiamo scoperto un nuovo vaccino, né dato una nuova via a una corrente di pensiero. Non abbiamo guidato popoli verso l’avvenire e non c’è una ricetta di cucina che porti il nostro nome. Non abbiamo neanche il record mondiale degli esseri umani ammazzati.
Abbiamo semplicemente vissuto dentro lo scorrere del tempo, senza mai certificarne una pausa di passaggio per imprimergli il nostro marchio. Abbiamo partecipato a una festa di laurea, fatto parte del pubblico di un concerto che ci è rimasto nella memoria, una vacanza in treno con amici per le strade d’Europa. Abbiamo imboccato nostro padre nella stanza di un hospice, ci siamo preparati un giorno intero su come affrontare alla meglio il primo appuntamento con la persona amata. Insomma, abbiamo colto l’attimo, ma non siamo mai riusciti a iscriverci nel club dell’eterno. Poi arriva il giorno in cui l’attimo si spegne. E tutta quella ricchezza che ha portato con sé diventa niente.
Non abbiamo via di scampo? Il futuro (altro che Joe Strummer) è più che scritto, è inciso con la Excalibur nella roccia? Quaggiù è certo, ma forse non è così in assoluto. Ma ci vuole un atto di fede o di coraggio. Oppure un arduo giro di logica del pensiero per evitare una morte irreversibile. Quest’altra strada ci dice che se non siamo solo biologia, se significhiamo più dell’energia che azioniamo col nostro semplice respiro, allora nel buco per l’altra parte potrebbe passarci pure il frutto dell’oblio. E continuare, con che forma non ci è dato sapere, a essere storia eterna.
THUS, THEIR LIFE COULD BE FORGOTTEN FOR EVER AND EVER
“Laura was the last one to leave, a summer morning of some years ago. The last one to leave passing through woods and climbing streams before joining the other ones. Then, at last, they were all together again realizing none was missing. Nobody had fallen behind to remember. Thus, their school trip could be forgotten for ever and ever.”
The most crushing end ever written for a movie. A bleeding caress of truth. Words meaning that we leave a track proving our existence only until someone can remember the presence. Of people, things and events. On the contrary there’s no difference between what was and what wasn’t.
The movie is Una gita scolastica (A school trip), written and directed by Pupi Avati, a lyrist of filmmaking. It deals with a school trip during 1914, a little bit before the I World War, done by a high school classroom all along the Appennino. The event comes to light thanks to Laura, a student of the group, who now has turned 80. Half-sleeping in a armchair at home, she relives the emotion of that moment. She’s the last one who can remember. Classmates and teachers already passed away.
Through her we watch the trip until its epilogue. Laura has a task: going on living also to go on remembering that trip not to allow that its existence die.
On the contray it happens that a classmate of her peeps out: C’mon, it’s late, you’re always tha last of the group, the others are waiting for you! At this point Laura can’t help saying: Here I’m, Enzo, I arrive.
We shouldn’t be astonished. We’re transient. We know it and accept this truth. It doesn’t paralyse us. The way death will catch us frightens but this is another song. Or another movie.
Another kind of truth strikes us deeper. After the body, our feats will fade too. The ones never opened to the world, obviously. The private ones alright, but in any case fruit of our personal acting. When it happens nothing of us will have survived. This means we’ll have never existed.
Just like us, our actions have a temporary pass. The oblivion of things and gestures is a kind of cut in our flesh. The dissolution is something worse than the loss of identity. If everything fades away into shadow, it always needs a woman or a man to open the door to let the shadow topping up the mother atom from which starting again to have the light and the shape on our names and surnames, the profile of our face, the sound of our voice, the peculiarity of our hands.
We never did anything the world considers deserving to be preserved. We didn’t write a memorable book, neither discovered a new vaccine nor given to light to a new line of thought. We didn’t drive mass of people to prosperous future and there isn’t a food recipe which can be called with our name. We haven’t either the world record of human beings killed.
We just lived inside the floating of Time without stopping it for a while to impress our mark. We joined a graduation party or a concert that impressed us so much, a vacation travelling Europe by train with our friend. We fed our dad in a hospice, prepared all day long for the very first date with the person we loved. We seized the moment, never signing up for the club of eternity. One day the hour that turnes off the moment will come. And the whole richness of it will turn into nothing.
No escape for us? Is the future written with Excalibur in the rock? Down here for sure, maybe not in absolute way. It needs a leap of faith or courage. Or a logical thought to avoid an irreversible death. This road tells us that if we are not only biology and the energy we use just breathing therefore the fruit of oblivion can pass through the other side. And going on, unkown the shape, to be eternal histo
Bell’analisi!
Grazie cara!