Neal Cassady ovvero la versione di Dianella

Spostare di un passo la fine del proprio cammino perché anche l’ultima minima distanza può rivelare una nuova visione dell’esistente e di se stessi. Il mantra della Beat 01Generation, movimento letterario di cui Dianella Bardelli si innamorò giovanissima, trasformando la sua passione in un’autentica benzina dello spirito.

Ex insegnante di Lettere, scrittrice e saggista, animatrice di corsi di scrittura creativa secondo il metodo della poesia e prosa spontanea, qualche anno fa pubblicò un bellissimo testo per Vololibero, un romanzo ispirato alla vita e alla morte di Neal Cassady, una fonte d’ispirazione potente per molti dei titoli che diedero celebrità al movimento.

Il bardo Psichedelico di Neal è in primo luogo una dichiarazione d’amore della sua autrice verso quest’uomo, randagio y final. Poi è un romanzo che soddisfa quella necessità intima di parola stampata e dialogo narrativo che ogni lettore accende quando il suo mondo diventa il libro che ha aperto davanti. Giocoforza chiedere a questa profonda conoscente del movimento la disponibilità per una chiacchierata sul suo testo e su cosa fu la Beat Generation.

Cosa ti ha portato a scegliere un uomo/personaggio come Neal Cassady che fu più una fonte d’ispirazione che un artista nel senso comune del termine?

«Senza Neal Cassady la Beat Generation, come noi la conosciamo dagli scritti di Kerouac e Ginsberg, non sarebbe mai nata. Lui non fu semplicemente la loro fonte di ispirazione letteraria, ma la fonte di un modo di intendere la vita e di un vero amore che li racchiuse in un triangolo di amicizia passionale, al di là dei risvolti sessuali che riguardarono Ginsberg. In Visione di Cody Kerouac scrive: Cody (Neal, nda) “è l’arbitro di quello che io penso”. E in Facile come respirare Ginsberg dice di lui: “Aveva un bellissimo animo aperto, molto 02americano-whitmaniano… Era l’immagine ideale dell’Adamo americano…del Billy Budd che aveva proposto Melville, del grande cittadino magnanimo che Whitman aveva proposto come inevitabile. Era la restaurazione della tenerezza nell’immagine maschile ideale e decisamente macho del duro ragazzo dell’Ovest”. Come sappiamo, l’invenzione della scrittura spontanea di Kerouac nacque dopo aver letto la famosa The Joan Letter che Neal Cassady gli aveva mandato, un unico lunghissimo paragrafo in cui lui parlava della sua vita. Neal è l’inizio di tutto. Se abbiamo Sulla strada lo dobbiamo a questa lunghissima lettera, fece sì che Kerouac trovasse in essa lo stile in cui scrivere. »

In uno dei momenti finali, Kerouac gli confessa che il loro tempo insieme, accanto a Ginsberg e Burroughs, ”è stata la nostra epoca dei miracoli”. Perché hai scelto proprio il termine ‘miracolo’?

«Per quello che si dice prima e dopo nel libro, cioè che nella vita si è sempre soli, ma può succedere un “miracolo”, che si trovi cioè la vera connessione con qualcuno, che ci si specchi l’uno nell’altro, che ci si riconosca, come quando ci si innamora. Tra Ginsberg, Kerouac e Cassady ci fu un innamoramento vero e proprio e questo è un miracolo, in quanto cosa rara se non addirittura impossibile. Io comunque ammetto di avere una visione idealizzata di queste tre persone, che nella mia mente sono autentici personaggi mitologici.»

Il romanzo vive di un respiro psichedelico cogliendo il protagonista in quel particolare momento di frontiera in cui non è proprio morto ma non si può dire sia ancora vivo. Un espediente onirico che ti ha permesso di presentare il “fantasma di Neal” più che “l’uomo Cassady”?

«Mi sono documentata molto sull’ultima parte della vita di Cassady, quando il sodalizio con Kerouac e Ginsberg era finito e ognuno aveva preso una strada diversa. Mi sono immaginata che, dopo l’epopea della vita sulla strada, sia Kerouac sia Ginsberg avessero una casa a cui tornare; l’unico a non averla era Neal, non perché questa casa non esistesse, c’era con moglie e figli, ma non poteva essere la sua, perché Neal non era sulla strada, lui 04era la strada; per questo si accodò all’autobus psichedelico di Ken Kesey e ai Merry Pranksters. Poi anche quella stagione finì e pure i Merry Pranksters “tornarono a casa”. Neal naufragò in Messico a San Miguel de Allende. Oltre non c’era nulla, solo la morte. Mentre scrivevo, il “fantasma di Neal” e l’“uomo Neal” erano la stessa cosa. Perché lui ha avuto una vita che era reale e letteraria allo stesso tempo. Se la letteratura è il fantasma della realtà, il mio Neal Cassady è come io me lo sono immaginato fantasticandoci sopra, arenato in un deserto bianco e senza benzina, cosa per lui, che amava guidare per giorni interi, inammissibile. Solo dopo aver scritto questo inizio mi è venuto in mente che questa potesse essere la sua morte, anzi il suo bardo, quella fase di passaggio tra la morte e la futura rinascita di cui parla il buddismo tibetano.»

Per quanto centro di un movimento che fece del comunitarismo, dell’amicizia sfrenata, della solidarietà e della compassione reciproca i punti cardinali del suo stesso esistere, dalle tue righe esce il ritratto di una persona estremamente sola e solitaria. Fu veramente questo Cassady?

«Mentre ero impegnata col romanzo guardavo i filmati e le fotografie di Neal buttavo giù quel che mi trasmettevano a livello epidermico, vere improvvisazioni di scrittura. Lui mi ha sempre comunicato la sua solitudine di uomo talmente fuori della norma da vivere su un piano diverso da chiunque altro. Non era uomo solitario, anzi cercava sempre la compagnia di chiunque. 05Ma rimaneva sempre solo. Lui era solo perché era l’unico nel gruppo beat a sentire il tempo passare, sentiva fisicamente il passare del tempo e lo combatteva con la velocità, sperava di “sorpassarlo”. Gli altri il tempo semplicemente lo vivevano. Neal era come un Re amato da tutti ma che alla fine rimane solo. Perché scappa sempre. Scappare, correre, vincere il tempo, ecco cos’è stata la vita di Neal, per come me la sono immaginata io.»

Spesso la critica ha accusato gli autori beat di rappresentare solo le loro esistenze e non oltrepassare mai il confine del loro vissuto più intimo. Ritieni che le loro vite siano state delle opere d’arte?

«La loro è stata la migliore letteratura del ‘900. Kerouac per la prosa, Ginsberg per la poesia. Questo se, come nel mio caso, diamo la priorità allo stile, anzi all’invenzione di uno stile. La prosa e la poesia spontanea sono state un’invenzione stilistica diventando poi un canone, basta leggere i loro testi teorici su questo argomento, come Scrivere Bop e Un mondo battuto dal vento, che è poi il diario della stesura di Sulla strada, di Kerouac e Facile come respirare di Ginsberg , per citare solo i testi in italiano. 06Non credo che nelle loro opere Kerouac e Ginsberg abbiano rappresentato solo se stessi, le loro opere hanno un valore universale, trattano temi esistenziali che riguardano ognuno di noi, la ricerca di se stessi, di Dio o di un sentiero spirituale. I viaggi, gli incontri erano il loro modo di cercare un senso alla loro esistenza, il modo in cui ne parlano nei loro testi mi riguarda personalmente, io sento come sentivano loro mentre vivevano e scrivevano, anche se non ho fatto mai la vita che hanno fatto loro. A questo proposito consiglio la lettura dell’introduzione di Howard Cunnell alla versione originale di Sulla strada – Il rotolo del 1951. Scrivevano di quello che vivevano, ma non in maniera intimista, ripiegati su se stessi. La massima di Kerouac sulla sua scrittura ”confessare tutto a tutti”, è un manifesto letterario, perché significa mostrare anche il peggio di sé, quello che noi giudichiamo riprovevole.»

Mi sembra che da questa critica debba essere escluso per lo meno Allen Ginsberg. Ritieni anche tu che, dal punto di vista della scrittura letteraria, fosse il più dotato e visionario del gruppo.

«In varie occasioni Ginsberg ha espresso il suo debito nei confronti di Kerouac per quanto riguarda il suo stile poetico. A proposito della sua capacità di visione, è proprio l’improvvisazione di scrittura che ti porta in territori inesplorati della mente, questo ha fatto sì che scrivesse capolavori come Urlo e Kaddish. 4188218832_72f755d506Se poi fosse il più dotato e visionario, ricordo che lui ammirava di più il Kerouac poeta, Sulla strada non gli era piaciuto tanto, non quanto almeno l’opera poetica del suo amico, Mexico City Blues, che lui definiva un grande classico. Per me è difficile paragonare il Kerouac romanziere con il Ginsberg poeta, posso paragonarli rispetto alle loro poesie e preferisco quest’ultimo.»

Scrittura veloce e d’istinto, respiro nervoso delle frasi, punteggiatura più vicino all’ultimo James Joyce che a un buon abbecedario di lingua, sfrenata libertà dei pensieri in fase di composizione. Nel corso del tempo, cosa è restato dell’esempio, se non della lezione, di questi autori?

«Per quanto mi riguarda è rimasto tutto. In Italia Kerouac e Ginsberg non sono sufficientemente conosciuti e apprezzati, soprattutto ora che non c’è più Fernanda Pivano a parlarcene e a difenderla. La tradizione letteraria italiana non prevede che si possa improvvisare. In teatro sì, nella scrittura no. Inoltre molti sono influenzati da quello che di loro si è detto, che siano stati cioè paladini della controcultura e della trasgressione. La gente prende in mano Sulla strada e si aspetta di leggere solo di sesso e droga, senza capire che il viaggio di Sal e Dean è apparentemente un viaggio fisico, ma in realtà è solo lo strumento del loro passaggio interiore. Sia Kerouac sia Ginsberg rifiutavano l’etichetta di trasgressori. Kerouac ne fece una specie di malattia, la gente andava a buttargli sassolini dalla finestra della casa dove viveva con sua madre e lui non lo sopportava. 07Ginsberg in questo era psicologicamente più forte, non si chiuse mai in se stesso come fece negli ultimi tempi della sua vita Kerouac, prese parte a centinaia di reading, divenne paladino dei diritti civili, non ebbe più paura della sua omosessualità. Divenne molto famoso, Dylan lo adorava. L’Italia fa fatica ad apprezzare la loro scrittura, ci affidiamo ancora alla nostra tradizione secolare, non l’abbiamo mai davvero superata.»

A distanza di decenni, possiamo dare un giudizio storico sul movimento beat. Quale il tuo?

«Il movimento beat era il seguito che avevano scrittori e musicisti jazz negli anni ’40 e ’50 in America, erano giovani che si riunivano in locali a sentire il jazz o reading di poesie. Non sapevano di assistere alla futura storia della cultura americana del ‘900, vivevano e basta. Fu un’epoca culturalmente meravigliosa, senza barriere tra chi era famoso e no. Tutti andavano negli stessi locali, alle feste nelle stesse case, a questa epoca succedette quella hippy, anche su questa c’è tantissimo fraintendimento. 08-bisNon so cosa sia rimasto in America di quel movimento, l’ultimo poeta beat e che ho avuto l’onore di conoscere è James Koller, morto nel 2014; ma aveva un modo tutto suo di esserlo, era più legato alla vita nei boschi che a quella cittadina, e dei boschi lui scriveva. Come il poeta Gary Snyder, il protagonista de I vagabondi del dharma. In Italia con la morte della Pivano dei beat e di quello che hanno rappresentato che io sappia non è rimasto niente, ma non sono sufficientemente informata in proposito.»

L’ultimo della banda rimasto è Bob Dylan, anche se solo con qualche forzatura possiamo definirlo un autore della Beat Generation. Perché ne consigli l’ascolto di Going, going, gone durante la lettura del tuo libro?

«Per le emozioni che mi suscitava mentre scrivevo di Neal, le parole di questa canzone sono un riassunto della vita di Neal Cassady: “Sto andando, sto andando, sono andato”. 09Il suo andare è stata la sua vita e nel suo bardo psichedelico non lo può più dire, deve dire andato, che può voler dire sono finito, oppure ho smesso di andare, che per lui erano la stessa cosa.»

Esiste un nome che per talento narrativo o spinta ideale avrebbe potuto far parte di quel gruppo?

«Premesso che la spinta ideale che c’era nella beat generation è irripetibile, ho da poco scoperto lo scrittore francese Patrick Modiano, il suo Nel caffè della gioventù perduta è bellissimo, molto ardito nella scrittura, mi ricorda l’ardire di Kerouac. anche per la voluta inconsistenza di una trama vera e propria. 10E poi ci sono i libri di Patti Smith. L’ultimo, M. Train, è il romanzo della vita che sta vivendo in questi anni di maturità, è scritto bene, non riguarda solo lei, ci si può facilmente identificare, e lei la spinta ideale penso ce l’abbia integra.»

Il tuo autore e il tuo romanzo di questa scuola della letteratura mondiale. «Naturalmente Kerouac, e tra i suoi romanzi rileggo, oltre a Sulla strada, Visione di Cody, che è davvero un esplicito omaggio a Neal Cassady, una vera e propria dichiarazione d’amore.»


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