La materia ha un termine preciso. Si chiama biblioterapia e tratta niente meno che di una medicina. Non riconosciuta dalle farmacie o dallo Stato, avversata dai dittatori e tenuta con attenzione fuori casa dalla più parte del genere umano (con i nostri connazionali indomabili liberi docenti del genere).
La guarigione dell’anima e del corpo che arriva grazie alla lettura di un libro. Roba da galera per la scienza tradizionale e per la tradizione da bar, ma così è anche se non vi pare. Un libro migliora l’umore, ma questa è solo la prima fase. Poi si mettono a posto i muscoli, i nervi vanno a nanna, i denti non lanciano più spilli al cervello, la schiena rifiorisce e pure i gomiti si lasciano appoggiare al tavolo e le ginocchia piegare senza fare scherzi. L’animo riprende vigore e torniamo a guardare alla vita come a un’esperienza che d’accordo prima o poi finirà, ma che intanto ci riempie di sé.
Kurt Vonnegut scrisse più di una medicina, ma questa qua, credetemi, è un antidolorifico che non ha eguali. Si intitola Quando siete felici, fateci caso e racchiude la particolarità di essere un libro diventato tale solo dopo aver acchiappato tutte le parole che il suo autore pronunciò a voce e quindi trasformate in pensieri su carta. Mi spiego. Un libro che non nacque originariamente per esserlo. Discorsi tenuti negli anni dal padre di Mattatoio n. 5 davanti a varie platee di neolaureati in America e che, dopo la sua morte, qualche anno fa presero la forma di questo esile volume che ci inumidisce gli occhi tanto arriva a mettere pace e gioia tra noi e la nostra esistenza.
Un fine umanista e un profondo umorista che scuote chi si è appena conquistato il diritto della corona di alloro sul capo. Parole concrete su come fare il grano e trovare l’amore partendo da un assunto preciso: «Non ammazzate nessuno – anche se nello stato di New York non è in vigore la pena di morte». Decisamente un buon punto d’avvio, non trovate? E neanche tanto male il prosieguo della lettura del discorso, con cui quella idea per cui l’esperimento di fare a meno dell’odio per cementare della propria fatica la comunità in cui si vive ci può portare ovunque.
Parole che mettono alla berlina i luoghi comuni, come quando, racconta, di aver detto a una cerimonia commemorativa per Asimov: «Adesso Isaac è lassù in cielo». Era la battuta più esilarante che potessi fare di fronte a una platea di umanisti. Li ho visti rotolare fra le poltrone tra le risate. Ci sono voluti parecchi minuti per riportarli all’ordine. E poi giù col coltello su politica, religione, militarismo, scienza («chi crede nella telecinesi, mi faccia alzare la mano»), sui rapporti dentro l’involucro della famiglia, sull’ipocrisa del Potere.
Autentiche perle sui porci. A costo di osservare i volti dei neolaureati diventare pietra. Consigli su come evitare la spocchia: «Regola numero uno: non usate il punto e virgola. È un ermafrodito travestito che non rappresenta assolutamente nulla. Dimostra soltanto che avete fatto l’università».
Per Vonnegut i giovani sono gli interlocutori più svegli. Non li blandisce. Non li coccola, né mitiga davanti a loro la sua visione dell’esistenza come camminata in cui si attende che una pietra prima o poi ci centri in mezzo agli occhi («Quando le cose vanno bene per diversi giorni di fila, è un incidente esilarante»).
Ma li incita. «Praticare un’arte, non importa a quale livello di consapevolezza tecnica, è un modo per far crescere la propria anima, accidenti. Cantate sotto la doccia. Ballate ascoltando la radio. Raccontate storie» dice, e immagino il grado di stupore di una platea che sentiva ormai di aver superato la fase dei dolci moniti della nonna. Ma quest’uomo, dai baffi che impediscono all’interlocutore di prenderlo subito seriamente, non si ferma: «Uno degli scopi della vita umana, chiunque sia a controllarla, è amare tutti coloro che siano a portata di amore». Come dire: per i risvolti tecnici, i contatti, i numeri d’agenda e le dritte sul mondo del lavoro rivolgetevi altrove.
Ma soprattutto l’insegnamento pubblico. Questo il suo mantra. La forza, il motore centrale della scuola come bene della collettività, organizzata e fatta crescere dalle istituzioni pubbliche, la scuola che dà il benvenuto a tutti e che si accolla l’immane compito di prendersi cura di ogni, ma proprio ogni, giovane rappresentante della razza umana con la più assoluta indifferenza verso il conto in banca dei genitori. Gli insegnanti come veri eroi di un tempo di cui l’osceno ossimoro scuola/azienda vorrebbe disfarsi come polvere dagli occhi. Alla fine di un discorso chiede: «Alzate le mani, per favore. Quanti di voi hanno avuto un insegnante, in qualunque fase del percorso di studi che vi ha resi più felici di essere al mondo, più fieri di essere al mondo, di quanto credevate possibile fino a quel momento? Bene! Adesso abbassatele e dite il nome di quell’insegnante a un vostro vicino e spiegategli che cosa ha fatto per voi. Ci siamo? Grazie, e tornando a casa guidate con prudenza, e che Dio vi benedica».
Cosa c’è di più bello di questo?
A MEDICINE CALLED KURT VONNEGUT
The subject has a precise name. It’s called bibliotherapy and it means no less than a medicine. Not recognized by pharmacies or by the State, fighted by dictators and snubbed by the most part of people.
The healing of the soul and the body due to the reading of a book. Something founded repulsive by the traditional science and the habits of ordinary men at work. A book improves the human mood, but this is only the first phase. Then it’s the turn of muscles, nerves, teeth, back, elbows, knees. The soul gets energy and we return to watch our life as an experience that fills us up.
Kurt Vonnegut wrote more than a medicine, but this one, believe me, is an uncomparable painkiller. It’s titled If this isn’t nice, what is? and it’s a collection of speeches held in front of audiences of american young people newly graduated. An exile volume that gets our eyes damp and gives peace and joy to our existence.
A refined humanist and deep humorist which shakes girls and boys with concrete words about making money and finding love. Words that define the importance of avoiding hatred and working hard for the community in which they live. Words that put sarcasm on cliches about politics, religion, science, militarism, family and the hypocrisy of the Power.
In Vonnegut’s opinion young people are the smartest interlocutors. He neither wheedle nor snuggle them. Neither he appeases in front of them his personal point of view of life as a stroll during which sooner or later a stone can rain down in the middle of our head. He incites them to exercise an art, no matter how fine, to sing under the shower, to dance listening to the radio, to love everyone can be loved. As if to say; as far as contacts, numbers to write in a planner or PDA and advices good for work are concerned, turn to elsewhere.
And above all, the education in public school. This is his real mantra. The central engine of the school for an entire community and the teachers seen as heroes of our society.
If this isn’t nice, what is?