Un mio racconto inedito. Parte di una raccolta, altrettanto ancora inedita. Non so se un editore le farà trovare luce, ma intanto voglio offrire ai lettori del blog questo scritto.
Porco! Porco che non sei altro, lurido porco, sei nato porco e porco morirai anzi peggio del porco, il porco non ha la colpa di essere porco, tu sì.
Oddio no, non incomincerete anche oggi! Basta, abbiate pietà, smettetela con ’sto rumore, ma cos’avete ancora da trapanare, è una settimana che andate avanti, mi state spaccando la testa. Ma cosa state cercando?, è un martellamento senza fine! Mi scoppia il cervello, non posso neanche più aprire le finestre che mi entra la polvere in stanza e qui si soffoca. Mille aghi piantati nella testa, toglietemeli, vi supplico. Porco maledetto, neanche l’aria condizionata vuoi venire a mettermi a posto e poi maledetto… maledetto, te la sei portata via.
Sempre qua. Lo odio il letto. Letto bagno bagno letto frigo sottiletta fettina bottiglia e poi letto e poi bagno e poi letto, porco maledetto senzapatria che dio ti stramaledica e ti strafulmini all’istante, ti mangerei il cuore. Perché perché perché capito sempre qua. Qua la abbiamo fatta, Annamaria. Io me la ricordo quella chiavata, che credi, brucerei tutto anzi non è detto che un giorno non lo faccia. Puuum! Pum pum! Faccio esplodere tutto l’appartamento e così viene giù anche il palazzo, schifoso che non sei altro, stattene pure nella tua bella villetta vicino a mammà, che caldo, ho sete, cazzo ho sete, mi arde la gola, dove sei dove sei brutta troia, dove ti sei ficcata, sei mezza piena non scherzare con me, eccoti stronza.
Troppo dolce. Ma certo, tu i miei vizi non ci hai pensato due volte a ributtarmeli contro per togliermela e sentirti libero, io invece non ho potuto dire niente contro di te, il tuo biliardo e il tuo calcetto con gli sfigati dei tuoi amici, quella troia di giudice mi ha da subito guardato con disprezzo come si fa con gli alcolizzati. Faccia da bocchinara, non mi stupirei se mi dicessi che vi eravate messi d’accordo.
Olga fatti un interesse anche tu, Olga fatti una passione, Olga qua Olga là, quante volte mi hai ripetuto ’ste solfe. Io dopo l’ufficio non avevo passioni, neanche il sabato e la domenica. Mi bastavate voi, mi bastavate. Non erano belle le nostre camminate al Castello Sforzesco? Mi piaceva andare da Peck a comprarti la bottarga e la crema al parmigiano col tartufo e il crudo, mi piaceva pure quando facevi la parte di quello che mi rimproverava perché avevo speso troppo, al supermercato avrei speso meno e non c’era bisogno di andare da Peck che era caro, ma io volevo andare da Peck in via Spadari perché ti amavo e tu questo lo capivi, ci arrivavi e allora i tuoi occhi diventavano bellissimi.
Il mio interesse era questo. Ne vuoi un altro? Andare con Annamaria in edicola, comprare le figurine dei Cucciolotti, tornare a casa e attaccarle con lei sull’album, questo era il mio interesse. Non sai le risate che ci siamo fatte. E ho pure imparato un sacco di animali. Ti ha mai chiesto di sfogliare insieme l’album? No, stronzo, non l’ha mai fatto invece con me lo faceva.
Fatti un’amica, mi consigliavi. Non ho mai avuto amiche. Com’è che mi dicevi? Esci con la Cacciavillani, non so, andate a fare compere, andate al cinema, è simpatica, conosce un sacco di gente. La Cacciavillani non è mia amica, non so niente della Cacciavillani e non mi piace neanche come parla. Sbiascica le parole, te ne sei mai accorto? Tu sei bravo a farti le amiche, eh? Con te è meglio pensare male perché solo pensando male si pensa bene. Non dirmi che non guardavi la moglie di Arcadio, ti ho visto che trattenevi la bava quando accavallava le gambe e le guardavi la gonna. La gonna, sì certo, diciamo che preferivi quello che c’era sotto la gonna, siamo più precisi, eh? Ci ho fatto caso tante volte, ma da stupida ho sempre lasciato perdere perché tanto poi a casa di gambe prendevi le mie. Stupida.
Perché se tu sei un porco io sono una stupida. La più stupida delle stupide se per questo. La più stupida delle mogli. Una moglie di polso attacca al muro il marito quando lo vede uscire con gente che gli chiede: «Allora, quante ne hai castigate questa settimana?». Su, dillo anche me dai, quante ne avevi castigate quella settimana, eh? Un amico dovevo farmi, altro che amica. Ma a te una stupida come me andava di gran lusso.
Mi stanno diventando brutti i piedi. Almeno quelli non si erano ancora deteriorati. Uh, guarda che pelle da vecchia. E sono anche gonfi mi sa. Il sinistro, fino a ieri era solo il destro. Le vene sulle caviglie, che bruttura. Che dita da schifo, una volta le unghie le controllavo. Ti piacevano i miei piedi quando mi venivi dietro, eh? Cosa non ti piaceva di me. Se ti chiedevo di ciucciarmi le dita dei piedi ti inginocchiavi e te le mettevi in bocca una per una. Fammi felice anche ora, crepa.
Cazzo, deve essere una bella giornata fuori, che luce filtra dopo che tiro su la tapparella. Deve fare anche già un bel caldo fuori. Che ore sono? Oh madonna. Chissà se siamo ancora a giugno? Mi fanno male le ginocchia. In pomeriggio esco a comprarmi qualcosa. Ecco cosa devo fare. Devo trovare qualcuno che ti faccia sapere che non aspetto più una tua chiamata. Non mi fai più male, maiale, i tuoi silenzi non mi sfiorano, scendono da qua a qua e via giù, giù, giù, fin dentro al water. Vorrei solo esserci quando un Tir ti tirerà sotto.
Credi di avere tutto in man, pezzo di coglione, invece non sai neanche che la bidella me la fa vedere Annamaria e che io le parlo come e quando voglio. E so che lei non ti dice niente quando la vai a prendere perché altrimenti non continuerei a poterla vedere. L’ho anche abbracciata lunedì, se lo vuoi sapere. Quando sarà più grande non avrà più bisogno di te e allora partirà la mia vendetta, porco d’un maiale. La vai a prendere tu, vero? Un giorno lo devo scoprire. O mandi qualcuna delle tue dipendenti? O come diavolo le chiami. Com’è che le chiami, maiale d’un maiale? Ah ecco! Collaboratrici del tuo staff perché lo so che ti hanno dato uno staff, quello che mi dicevi io lo ascoltavo e mi restava in questa testa, chissà se tu ti ricordi che per andare al lavoro io dovevo prendere un bus e due linee della metropolitana. Perché io ho un fior di lavoro, ma a te non ne è mai fregato niente. Ero apprezzata per la mia precisione, mai un problema coi colleghi né coi capi. Non ho fatto carriera perché non c’è da far carriera, una segretaria resta segretaria. Quando ritorno vedrai se non mi rimetto in riga. Collaboratrici dello staff certo, non me lo deve dire nessuno che non lo tieni al suo posto neanche con loro.
Mi viene la nausea. No, tu non c’entri, non ti sentire così onnipotente, mi sale da sola. Mi viene anche da vomitare ma poi abbraccio la tazza e mi esce solo saliva. Saliva e bile. Potevi non attaccarti alla mia ultima cazzata però! Com’è che diresti tu che parli bene? Soprassedere. Ecco, potevi soprassedere alla mia scenata, uomodimmerda. Magari non ho avuto classe ad aggredire quella nana col tacco trampolo ma tu potevi anche perdonarmi se per questo. No, non potevi. Era tutto un tuo disegno. Io però ho perdonato te tante volte. Altro che andartene, chiedere il divorzio e farmi stare a distanza da nostra figlia. Nostra figlia, hai capito? Non tua, nostra! Bella vaccata mi hai combinato, guarda come mi hai ridotta. In camicia da notte. Sudata. Capelli di stoppa. Unghie spezzate e nere. Dita sporche. Alito pesante. Occhi liquidi. Emano odore di chiuso. Non mi guardo i denti. Mi si porta via con cinque euro l’ora tutto compreso.
Se torni indietro giuro che mi metto a posto e ci vado in riabilitazione. Poi esco e ricominciamo. Torna dai. Fammi una chiamata per sapere come sto. Mettimi alla prova. Ci vado, ti ho detto che ci vado, mantengo le promesse. Posso ancora chiamarti amore, sai? Guardami e ascoltami bene. Amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore amore.
Che ci faccio in questa posizione? Ciao lampadario, ciao soffitto. Mi devo tirare su. Ti ricordi quando mi parlavi del Trono di Spade? A te piaceva Daenerys Targaryen. Che bel faccino Daenerys. Però anche la regina Cersei, eh? Dì la verità, anche lei, dì la verità dai, non ti posso biasimare questa volta. Così regale, fredda, perfetta, imponente. Faceva paura a un chilometro di distanza. Te lo scuoteva, eh? Piaceva anche a me e sai che quasi quasi, ah ah ah, sì voglio dire, quasi quasi, ma sì dai, un colpettino anche io con lei, eh? Però a me piaceva il fratello. Jaime. Jaime Lannister, pezzo d’uomo da brividi. Con due mani e anche con una mano sola. Le mani non servono. O meglio, una basta e avanza. Con una si può far tutto. Prendimi Jaime, prendimi almeno tu, non sono il massimo dell’appetibilità in questo momento ma posso fare meglio. E guarda che il mio meglio non è niente male. Ho sete, dove sei?
Puah che dolce, lo fanno con troppa arancia. Però non è male essere la padrona del letto. Guarda come mi stiro bene. Oh hanno smesso di bucare, senti che pace! Cos’è, pausa pranzo? Cosa mangiano gli operai a pranzo? Un giorno mi chiedesti dove preferivo andare ad agosto, se in California e poi farci New York o passare l’intero mese in Florida. Ti risposi di scegliere tu, questo me lo ricordo. Mi andava bene tutto. Ma perché non andammo negli Stati Uniti? No, sul serio. Non te ne faccio una colpa. Non andammo quella volta né un’altra ma non ricordo il motivo. Non ci andammo mai. I soldi c’erano, Annamaria non era ancora arrivata, le ferie estive coincidevano quell’anno. Fu la volta che deviammo per Cesenatico? Se è così la dice tutta. Cesenatico. Come dire che quest’anno non vai in India perché pensavi di andare a Spotorno. Due settimana a mezza pensione o anche intera. Io sono quella di Spotorno. Sono stata quella che nei momenti di fortuna è andata a Spotorno.
E tu ora dove sei, amore mio? Guardami, sono sempre la tua bambina pallida solo un po’ più gonfia. Distenditi qui con me, guarda quanto posto che c’è. Ci portiamo il pranzo a letto se vuoi, faccio un’omelette per tutti e due? Lo sai che ieri ho sognato di morire? Cadevo da un terrazzo, tu ti buttavi per prendermi ma ero tutta impregnata di un gel e scivolavo giù. Ma guarda ’sta stronza, mi ha beccato. Due! Due becconi! Mi sto scorticando il tallone. Dove sei?, fatti vedere. Mi salveresti amore mio, mi salveresti ancora? Ti getteresti più per me? C’è qualcuna che ti chiama ancora Baffotto? Mi ha detto Annamaria che non ti piaceva tanto Baffotto. È vero che non è vero? Mi sembravi contento. Io Musina tu Baffotto. I nomignoli saranno anche stupidi ma non servono finché servono.
Te lo devo dire. Il fondo non lo toccai quando gliele diedi a quella nana che senza tacchi ti arriva all’uccello. Ti sbagliasti, non fu una cazzata. Per te fu quella che fece traboccare il vaso ma ti sbagliasti. Okay, era il ricevimento del tuo amministratore delegato, ammetto non fosse proprio il momento più opportuno ma gliele diedi di santa ragione e feci bene. Non riesco ancora a capire cosa ci trovavi. Se mi fai le corna e me le fai con una così io ho il diritto di rovinare te e lei. No, prima intendo. Nel buco nero ero già entrata prima. Mi vergogno ancora oggi e dimmi tu il tempo che è passato.
Tu al momento non c’eri. Eri andato a prendere tua sorella Flavia e tuo nipote e non eravate ancora arrivati. Sì sì sì sì proprio quello, quello lì, bravo. Il compleanno di mio zio Aroldo. Prima della torta, prima che arrivaste tutti. Si chiacchierava in piedi, si girava per la casa. Eravamo più o meno tutti in sala e d’improvviso ruttai. Avevo il calice in mano, ruttai di brutto e poi tracannai l’aperitivo come se niente fosse. Vidi mio padre abbassare la testa, mia madre non so chi la tenne al suo posto ma le bruciava la faccia. La zia si girò, lo zio rimase impiantato. Ti potrei ripetere le reazioni di tutti. Quasi tutti. No Annamaria no, ora che ci penso. La piccola Silvia si mise a ridere. Solo lei ma Annamaria no, proprio non mi ricordo. Mi ricordo che strabuzzai gli occhi e svuotai il calice. Penso che non ci fu uno che non percepì il mio rutto. Credimi, una roba veramente potente. Uno squarcio nell’atmosfera. Immagino te lo raccontarono, ma a casa non mi dicesti niente. Non l’hai mai tirato fuori quell’episodio, non so se essertene grata. Comunque me ne vergogno ancora quando mi viene da pensarci, più di quando ti lanciai un’oliva in non so quale occasione, forse l’inaugurazione di quel locale svizzero in piazza Cavour? No, no, molto di più, allora tu fosti l’unico a non sorridere almeno. Me ne vergogno tanto ancora oggi di quel rutto micidiale, ci puoi anche non credere, che sete.
Mi feci schifo, così schifo che non ti chiesi neanche aiuto. Okay, tu non eri stato testimone, ma ci scommetto sarà stata la terza se non la seconda cosa che ti avranno raccontato quando sei arrivato con tua sorella e Federico. Il perché te lo sei mai chiesto? Non avevo bisogno di te. Semplice. Sentivo che avevo passato un limite che… da cui… dal quale… che… bla bla bla… che bocca impastata che mi è venuta, mi s’attacca perfino la lingua. Abbi pazienza, un attimo che ora lo dico giusto. Sentivo di aver superato un limite che non mi permetteva di essere salvata. Non lo meritavo. Non potevi farci niente. Non avresti potuto fare niente per me.
Toccai il fondo. Da quel giorno, senza dirti niente, ho raccolto insieme i pensieri e ho cercato di risalire. A vedermi così non ho fatto tanti scalini, lo so che lo pensi. Lo so che lo stai pensando, dillo, sii per una volta onesto, una volta sola, giuro che non ti uccido. Ti conosco bene, in te il sarcasmo non viene neanche scalfito dalla compassione figuriamoci dalla pietà. Ma è più facile giudicare una vita che viverla e comunque non scordare che a me basta una doccia per uscire pulita. Non scordarlo mai e poi mai.
Non ti chiesi aiuto. Sai perché? Avevo scoperto la magia nera delle tue parole quando mi accorsi dei morsi che mi lasciavano addosso. Mi giudicavi dicendo che non lo stavi facendo. Mi stavi scaricando prendendoti tutto il tempo dicendo che non lo stavi facendo. Mi stavi portando via Annamaria e continuavi a dirle che «la mamma non ha niente, si comporta come sempre». Avevo preso a bere di nascosto. Il fatto che tu avessi incominciato a non accorgerti più di me mi dava il via libera. Incominciai con una puntata al bar prima di venire a casa o quando andavo a prendere Annamaria. Poi anche un bicchiere prima di incominciare la cena quando non eri nei paraggi. Bevevo per essere più libera di reagire. Non hai mai dovuto raccogliermi da terra.
Mi vendicavo dei tuoi tradimenti. E continuai quando vidi che ti eri accorto dei miei bicchieri, ma era quello che volevi. Volevi avere la prova da offrire al mondo che ero un rottame senza ritorno. Un rottame in piedi leggermente barcollante. Perché fermarmi prima se era quello il tuo disegno? Stavo facendo tutto io e lo facevo con metodo. Tu dovevi solo avere un po’ di pazienza. Iniziasti a sperimentare qualche assenza più prolungata e ti accorgesti che potevi portare anche la piccola. Lei al sicuro con te, da usare un giorno non molto nel futuro come ulteriore prova, io senza distrazioni a scendere sempre un po’ più giù all’inferno. Poi tornavate a casa e lo spettro che trovavate in qualche stanza quando vi riconosceva si ricordava a stento i vostri nomi. Ti ho creato problemi non facendomi mai trovare in compagnia di un uomo?
Non ti ho fatto aspettare poi molto, di questo dovresti essere orgoglioso di me. Sono stata una brava moglie, vedi? Negli ultimi tempi ci si scambiava una parola il martedì, qualcuna il giovedì e il venerdì. Oh quelle del venerdì me le ricordo molto bene. Tu con Annamaria a fianco già pronti per uscire: «Noi ce ne andiamo dalla nonna per il weekend, sicuro che non vuoi venire?». Non ti avrei mai risposto. Solo per questo me lo chiedevi.
Ero innocente o forse solo una gran tonta, per questo non capii la tua insistenza quella volta nel volermi con te a tutti i costi a quella cena col tuo capoccia e colleghi vari. Le tavolate all’aperto, i piatti in piedi, la torta, la piscina, tutti molto felici. Sapevi che ero cotta a puntino e avevi già visto tutto il film in anteprima, vero? Un sacco di donne, alcune proprio messe giù da fischio. Eri sicuro che me la sarei presa con qualcuna di loro e se avessi tardato me ne avresti fornito l’occasione. Non ce ne fu bisogno. Di nuovo non sbagliai la parte e ti consegnai le chiavi della libertà. Davanti a un mucchio di persone. Quello che chiedevi. Nel tragitto verso casa cominciasti col dire che avevo passato il limite e che ormai eravamo troppo distanti. In ufficio ti affrettasti a far sapere che avevi immediatamente preso la decisione migliore per tua figlia e il tuo lavoro. E tanta decisione fu ben premiata, mi hanno riferito. Te ne andasti di casa, ti portasti via la piccola e chiedesti il divorzio. Il tribunale ci mise il timbro. And the winner is… Lui!!! Ti voglio far sapere solo una cosa: l’abbandono e il divorzio non cancellano la distanza.
Me la devo proprio fare una doccia. Mi puzzano anche i polsi. I seni. Bleah. Però! Lo vedi anche tu che le gemelle non sono del tutto cadute? Si difendono ancora bene. E queste qui? La coscia rigata, ma guarda quante righe. Quat… no cinque c’è anche questa piccolina qua. Eh sì sono proprio righe. Anche di qua. Tre. Questa è nuova. E non vanno via. Oh madonna pure questa. Dopo mi sa che cerco su Google cosa sono. Righe sulle cosce. Da qualche parte ho messo il cellulare. Cosa ci fa questo biscotto qui? Intero. Non c’è più. Buono. Dove li ho presi?
La lista della spesa. Ecco cosa devo fare. Ora vado al supermercato. Che sonno. Non ho voglia. E poi non ho la macchina. Non mi piace l’autobus. In autobus con le borse piene del supermercato proprio no. A piedi non arrivo più a casa. Ci arrivo morta. Dove ho messo il cellulare? Madre mia non trovo più niente, da quando sono diventata così disordinata? Il market accanto al bar sotto i portici. Ecco la soluzione. Devo chiamare il market, devo avere il numero in agenda, l’ho già ordinata la spesa, sì sì è vero, l’ho già fatta ne sono sicura, il signore che venne a portarmi su la roba aveva una fame di me dipinta in faccia. Forse perché lo accolsi in sottoveste. Ma dove diavolo si è ficcato il cellulare? Aspetta, qua no, qua no, neanche, il cuscino vediamo no, ecco dov’eri, basta guardarsi indietro qualche volta. Vediamo, e accenditi porca… vediamo, Annalisa, Beatrice, Cucchiaroni, giù giù, Galletta, Lorenzi, Ludovica, market. Ecco market Giuseppe. Ah sì Giuseppe, l’affamato. Provo.
«Pronto, market? Signor Giuseppe? Sì, sì, sono la signora Olga. Fate sempre le consegne a domicilio, vero? Mi pare che già… ah sì è vero settimana scorsa, bene allora. Sì, avrei bisogno di qualcosa, posso dire a lei? Bene bene, sì tutto bene, anche lei vero? Bene, allora guardi, direi un po’ di prosciutto cotto tagliato fresco, un etto va bene, una confezione di sottilette poi vediamo, una pasta ma corta però, anzi una e una, tre mele, un po’ di clementine ma non troppe, Aperol, poi carta igienica quella a quattro veli, poi facciamo quattro hamburger e una salsiccia, una zucchina, una patata e una carota, no no anche un cavolo ma piccolo, no lasci stare il cavolo non lo voglio, ci metto troppo a cucinarlo, e poi lo avete quel liquore arancione che sa di arancia un po’ dolce?, un po’ troppo direi ma va bene perché mi tiene compagnia. Come ha detto? Sì sì, proprio quello. Basta, mi pare di avere detto tutto, no ecco anche dei biscotti semplici e una confezione grande di tè. Basta così. In pomeriggio? Va bene, per quell’ora sono in casa, grazie Giuseppe, sa dove citofonare, vero? Grazie grazie buone cose anche a lei e alla sua famiglia.»
Uffa che fatica! Non si era dimenticato il nome a cui citofonare. Che fatica parlare con la gente. Dovremmo parlare solo io e te, amore mio. Io, te e Annamaria il resto non conta, non abbiamo bisogno di nessuno. Che mani da vecchia, guarda, guarda tu che rughe sul dorso. Anche a te accade? Vedi? Tengo sempre la fede al dito, tu la indossi ancora? Amori miei tornate, ho bisogno della mia vita indietro, da sola sbando e cado e allora non mi muovo. Tornate vi prego, ricominciamo. Amore, se siamo tutti e due onesti ce la facciamo, riprendiamo e torniamo a essere felici perché noi siamo stati felici, vero che è così? Niente e nessuno ci può fermare. Inizio io a essere onesta poi tocca a te. E allora ti devo confessare una cosa. Non importa se ti arrabbi ma non ti arrabbierai perché dopo non mi arrabbierò io quando parlerai tu, te lo prometto.
Allora, stai fermo con le mani che ti devo dire una cosa. Anche io ti ho fatto un cornino. Ma non come i tuoi, il mio fu proprio ino ino. Due volte con lo stesso uomo. Il padre di una compagna di scuola di Annamaria, una volta nella sua macchina e l’altra a casa sua mentre lei e la sua compagna facevano la merenda e giocavano in camera. Mi pare fosse la prima elementare. No, forse la seconda o la terza. Due volte giuro non di più, poi mi sono stufata, sappi che sono stata io a dire di no.
Rapporto completo ma non più di due volte. Per vendetta mica perché mi piaceva. Lo feci per legittima difesa. E, credimi, non fu facile. La mia prima volta. Non ne potevo più dei tuoi tradimenti, perché tu me ne hai fatte, vero? Si è divertito lui, io certo no se è questo che ti preme. Non solo non mi ricordo il nome, non lo vedo neanche visivamente, niente. Ricordo solo che gli veniva subito il respiro pesante come se due bacetti bastassero per essere sul punto di venire, mi disgusta ’sta cosa, tu stavi attento a non farti uscire i monsoni da narici e bocca se non all’ultimo, giusto al momento di esplodere, sappi che l’ho sempre apprezzato da parte tua. Ecco te l’ho detto. Confessione completa, non credo ti serva altro per avere un quadro preciso della situazione.
I can’t get no satisfaction! I can’t get no satisfaction! Tatatàn, tatatàn I can’t get no situation! Lo faccio apposta perché so che a te piacevano invece i Beatles. All’inizio mi riprendevi perché dicevo i The Beatles, la cosa ti faceva molto ridere. Io se devo dir la verità preferivo i Rolling Stones con quel cantante Mick Jagger che era così sfrontato, tu invece sei stato sempre bellino, curato, preciso, in ordine come i Beatles. Esistono ancora i Rolling Stones? Annamaria saprà mai chi furono i Rolling Stones?
Tu però ora me li devi raccontare tutti i tuoi tradimenti caro maritino mio anche se sono duemilacinquecento. Eccoli qua. Maledetti. Sembra che godano a farsi sentire. Quei due di sotto e chi se no? Senti come va giù la piscia. Ma si può dover sentire il vicino mentre piscia? Ma come le hanno costruite ’ste case qua. Signore e signori ho il piacere di annunciarvi a tra pochissimo il getto dello sciacquone, eccolo, godetevelo giù per almeno un minuto, ’sti idioti che non sono altro, e chiudilo il tuo sciacquone del cazzo non sprecare tutta l’acqua!!! Ma come si fa dico io, l’acqua non è infinita. Pisciate come l’uomo di Neanderthal e sciupate via un mare d’acqua, che gente di merda. Com’è vero che più i soldi ti escono dal buco del culo più ti si rimpicciolisce il buco nella testa. Un giorno o l’altro io scendo e glielo devo suonare sul muso quel campanello da chiesa che hanno messo su.
Dov’eravamo rimasti? Boh. Mi sa che ti avevo chiesto qualcosa, vero? E tu non me lo dici. Devo fare sempre tutto io. In un modo o in un altro tu c’entri sempre qualcosa, hai notato? Hai sempre voluto c’entrare quando qualcosa riguardava me, vero? Non ti è mai bastata la tua vita, troppo bello occuparsi di rovinare giorno per giorno quella di tua moglie un pezzettino alla volta, mica troppo per non esaurire subito il giochino. Sei nato bastardo. Sei un chirurgo della bastardia. Un microchirurgo. Maxillo bastardico. Per farti dare il premio Nobel dovresti solo convincerli a guardarmi. Eccomi. Ammiratemi. Sono tutta qua. Aspettate che mi alzo in piedi e distendo le braccia. Ecco. Mi sembra di svenire. Eccomi qua, mi metto al centro al punto giusto. Ammiratemi. Se volete vedere le rughe e altri segni avvicinatevi pure. Le gambe? Aspettate che tiro su. Eccole qua in tutta la loro decrepita bellezza. Un’occhiatina alle tette? Apprezzate almeno le ginocchia vi prego, dieci anni più vecchie di tutto quanto il resto. Dateglielo il premio che con l’assegno va a farsi una bella vacanza al Borneo con Miss Piccinapicciò.
Devo sedermi. Che stanchezza. Bella opera hai completato, sei un artista, ma ti sei dimenticato di mettermi la cornice, maledette zanzare da qualche parte ho il liquido. In sgabuzzino. Dopo lo attacco. E una donna senza cornice è una donna libera mio caro Re degli stronzi maledetti che bruceranno all’inferno con tutta la loro carne putrida. Perché a te non brucerà solo l’anima mio Signore no tu urlerai per i muscoli e le vene in fiamme. Fatti vedere, abbi il coraggio di passare da queste parti e farti vedere una buona volta. Cosa hai, paura? Non reggi il mio sguardo, eh? Non provare ad avvicinarti. Lo so bene che appena mi vedi ti prende la voglia e fai bene perché io sono bella, sono la bellissima delle belle ma guai a te se ti avvicini stammi alla larga, lurido porco che non sei altro, giuro che ti uccido.
So come fare. So come fare. So come fare, cosa credi? Ci ho già pensato. Ti uccido e mi porto via la cucciola. E scappiamo a Buenos Aires e nessuno ci prende più. So come fare. Ho più di un piano. È un mese che ci penso. Non sei inattaccabile, saresti un grande sciocco se lo pensassi. Non vuoi ammetterlo, ma vivi guardandoti le spalle, lo so bene, te la riconosco un minimo di intelligenza. Vuoi che te li dica? Cosa cosa? I modi, razza di idiota! I modi con cui ti posso uccidere. Uno sarà sufficiente. Purtroppo ne userò solo uno perché farò centro al primo colpo e tu soffrirai una volta sola.
Siediti lontano da me e stammi ad ascoltare. Se fai il bravo ti farò scegliere quello che preferisci, a me interessa solo che tu crepi. Apri le tue belle orecchie insaponate perché non te lo ripeterò un’altra volta. Ho fretta, devo andare a prendere Annamaria, presentarci al gate di Malpensa e prendere l’aereo, sì ho già fatto tutto, biglietti, trolley e hotel a Buenos Aires.
Zitto porco! Parlo io. Uno. Entro in casa tua e ti accoppo con una coltellata poi butto tutto all’aria così la polizia pensa che sei stato accoppato da un rapinatore. Come entro? Non ti preoccupare. Annamaria. È un problema. Non deve svegliarsi. Aspetta, aspetta, zitto cazzo aspetta sta zitto no che devo risolvere il problema di Annamaria!!! Due. Entro in casa tua aspetto che lei si addormenti e ti metto il veleno nel cicchetto che ci scommetto continui a farti prima di andare a dormire. Eri insopportabile quando mi elencavi le tue conoscenze alcoliche. Non sapevi un cazzo e ti spacciavi per un esperto. Comunque il due è perfetto devi ammetterlo. So già dove nascondermi in attesa di entrare in azione. Prendo Annamaria e usciamo. E buon viaggio. A noi mica a te, il tuo non sarà un buon viaggio. Tre. Assoldo un sicario che fa tutto per me. Chi? Mi sottovaluti caro. Ne vuoi uno a caso? Quel Giuseppe con cui ho parlato prima al telefono e che sarà qua in pomeriggio ti cancellerebbe dalla faccia della terra per un mese continuo di cosine con me. Vuoi che glielo chieda quando mi porta su la spesa? L’ho già chiamato, vero? Vediamo. Sì sì l’ho chiamato, ecco la telefonata sul cellulare. Quattro. Quattro, aspetta cos’era il quattro… qua… arrivavo a cinque… ah sì quattro. Quattro! Ti centro con la macchina. Fregatene se non ho la macchina, la trovo. Mentre stai camminando pum, ti asfalto. Anche in retro. Due volte con la retro poi via, non mi ha visto e non mi becca nessuno, Annamaria andiamo che dobbiamo prendere l’aereo. Le ho già parlato di Buenos Aires, lo sai?
Non mi chiedi perché Buenos Aires, vero? E io non te lo dico. Puoi anche pregarmi in cinese ma non te lo dico. Le cose si fanno solo se sono sentite, troppo comodo. Troppo comodo imboccare sempre. Ti ho imboccato per una vita. A testate avrei dovuto prenderti, pezzo di porco, altro che il dolce. Ho sete. È una vita che ho sete. Non passa mai il tempo. O passa troppo in fretta. Dove sono arrivata? Non lo ricordo. Cos’è tutto questo fiatone. Oddio devo smetterla. Mi conviene fare un sonno e poi una doccia. Mi sa che mi farò una doccia. Mi piace stare sotto la doccia. Immobile. Perché niente viene attratto da me e niente mi resta attaccato addosso. Tutto scivola e va via.
Ma quanto ha la gente da parlare? Ma cos’ha da dirsi in continuazione? Passano e parlano passano e parlano e parlano e parlano e parlano. E mica controllano la voce. No, ci sono soltanto loro. E tutto il mondo che deve ascoltare le loro perle. Ma che prima andassero da un maestro di quarta elementare. Ne abbiamo tanti in pensione e sono i migliori. Sentili, pazzesco. E tacete un attimo, porca di quella troia!!! Non potete ammorbare l’aria, non potete, non potete. Tacete. Ho bisogno di silenzio se no non riesco più a capirmi. Restami accanto. Un po’ più addosso, dai. Così. Sì, così.
Dai Galimberti quella sera di maggio ti mettesti a far roteare un sombrero con due dita. Ti girava rapidamente attorno all’indice e al medio. Una trottola che non si fermava più. Ridevi. E ridevi verso me. Io contraccambiai la risata. Continuasti a sorridermi. Io ora mi metto a dormire un po’. Cinque minuti. Resta. Poi mi farò una doccia. Poi mi vestirò, aspetterò la spesa e la metterò a posto. Poi farò qualcosa di bello. Di bello. Qualcosa. Resta. Un po’ più vicino. Così.