Ultima lista. I quadri della mia vita. Una formazione d’élite di pitture che rappresenta il mio personale Empireo. Come sempre, un solo pittore per quadro. E il mio endorsment: l’opera (e conseguentemente il pittore) con cui apro l’articolo. Davanti a Mattina a Cape Cod ho come una sindrome di Stendhal, come quando ascolto il Requiem di W.A. Mozart. E l’intera opera pittorica di Hopper mi rapisce nel suo insieme più di ogni altra espressione su tela.
Edward Hopper – Mattina a Cape Cod
Che cosa sta vedendo questa donna? Il fulcro dell’azione (del quadro, della vita) è fuori dalla portata dei confini del visibile. E quindi del vivibile. La donna sembra essersi bloccata nel bovindo, uscita di corsa. Lo suggeriscono le braccia e la postura del viso. Qualcosa di forte deve essere successo o per lo meno di inaspettato. Ma, e si ritorna al quesito centrale, che cosa? Che cosa vale quello che vediamo noi osservatori se al tutto manca la parte più importante? Che cosa capiamo della nostra stessa vita se non vediamo che cosa succede o se, vedendo, siamo lontani, incapaci di afferrarla. Parafrasando Anthony De Mello, la vita è quella cosa che succede sempre quando noi siamo sempre da tutt’altra parte. Il quadro delle domande. Il dipinto del mistero. Lo ripeto, il quadro che amo più di ogni altro.
Salvador Dalì – Cristo in croce
Cristo crocifisso osservato dall’alto. Da suo Padre. E da noi. Una prospettiva del tutto nuova. Al di là della sublime bellezza del tratto (che disegnatore era Salvador Dalì!), aldilà della luce che irradia il corpo divino. Sotto, lontana anni luce, Port Ligat, dove viveva il pittore (ma sarebbe potuta essere Bombay o Adelaide), Gesù più che inchiodato è sospeso sopra gli esseri umani, in plastica posa a emanare un messaggio di placida pace verso i vivi e di inarrivabile grandezza. Colui che mostra la via dopo la sofferenza grazie al quale l’intero genere umano è stato salvato. Il cielo è nero, ma può diventare lucente, a seconda delle scelte che in virtù del libero arbitrio, sapremo fare.
Hieronymus Bosch – Il trittico delle delizie
La delizia della vista. L’esaltazione dei piaceri carnali e/o la condanna della lussuria con una composizione che segna il godimento del nostro sguardo. L’enorme grandezza, la presenza di creature orribili, l’ubriacatura dei colori, la scena della Creazione, l’inferno, la realizzazione del piacere, la lettura dei singoli innumerevoli personaggi, delle loro posizioni e delle scene che la moltitudine compone conducono ad analisi interessanti ma sopra a tutto ci sta l’esplosione del colore, l’uragano di illuminazione quasi fosse un antesignano impressionista, un’onda di piacere visivo che immobilizza chi vi si pone davanti. La satira pittorica dei peccati dell’uomo può essere evidenziata attraverso una serie di intrecci e rimandi, ma prima consiglio di farsi travolgere dalla bomba estetica di questa tripla tela.
Diego Velázquez – Las meninas
La scena sembra semplice, di ordinaria quotidianità. Velazquez è intento a disegnare il ritratto dei reali di Spagna (Filippo IV e Marianna d’Austria) che appaiono di riflesso in uno specchio lontano dal centro della scena, occupato dalla figlia dei sovrani, l’infanta Margherita. Accanto alla piccola le damigelle d’onore (las meninas appunto), alcuni nani, un cane e dei funzionari di corte. Sul fondo appare José Nieto Velasquez, maresciallo e forse parente del pittore. Punto 1: i reali esistono ma solo di riflesso, sono fuori dalla tela. Che significa nella visione del pittore? Punto 2: i reali sono dove si pone l’osservatore. Significa che noi tutti, il popolo, siamo al loro livello? Punto 3: perché intitolarlo alle damigelle? Punto 4: perché dare il centro all’infanta? Punto 5: dov’è il quadro? Punto 6: Non è che sotto sotto si cela un’autocelebrazione del pittore o per lo meno una sua presa di distanza dal sistema sociale suo contemporaneo?
La tela degli sguardi e delle domande. Una serie di capovolgimenti del punto di vista che mi spingono a pensare a quanto questo magnifico quadro sia addirittura rivoluzionario.
Andrea Mantegna – Cristo morto
Il dipinto che si fa scultura. Il momento successivo a quello immortalato da Dalì. Il Cristo deposto dalla croce, sdraiato sulla pietra dell’unzione e mezzo coperto dal sudario che offre a Maria, Maria Maddalena e San Giovanni piangenti, ma a tutti noi, la sua carne martoriata, le sue ferite profonde. L’osservatore ha davanti innanzitutto i suoi piedi bucati dai chiodi e poco più in alto le mani. Siamo scioccati dal rigor mortis l’elemento che per primo conferisce quel carattere scultoreo che ci accende il pathos. C’è chi vede la testa e il collo come staccato dal resto del corpo, come a simboleggiare la doppia natura di Gesù e quindi il (prossimo) valore redentivo del fatto. Una delle più alte unioni tra misticismo e umanesimo.
Caspar David Friederich – Viandante sul mare di nebbia
Quando Eleonora Garofolo, l’illustratrice che ha disegnato le copertine della mia quadrilogia Mod – Nel nome della morte mi comunicò che per il quarto volume si sarebbe ispirata a questo quadro ne fui felice. Ancor più dopo aver visto il risultato del suo lavoro. Questo dipinto per me simboleggia l’infinito leopardiano. Le rocce, la posa del viandante, il cielo, le nuvole, la nebbia che il viandante stesso sembra dominare come un Dio mancato dicendola alla Sartre compongono un’evocazione unica. Il dominus che si erge sopra il tutto e il niente, padrone di ogni grandezza e possessore soltanto della sua elegante figura. Viaggiatore umano nella solitudine del Creato o moderno Mosè in attesa di altre Tavole della Legge?
Théophile Alexandre Steinlen – Apothéose des chats
Un murales impressionante a vederlo dal vivo a Losanna. Immenso per fattura e realizzazione. Un’assemblea di gatti in attesa che parli Re Micio, l’ombra che si erge su tutti sullo sfondo illuminato dalla palla del sole (o luna?). Una chiamata alle armi o più semplicemente all’unità per difendere gli umani nella notte che sta cadendo o nel nuovo giorno che sta salendo. C’è chi guarda attento, chi soffia, tutti sembrano già pronti all’azione, baffettati di tutti i colori e razze che occupano tetti e un’intera collina. Il dipinto più affascinante del pittore che meglio e più di ogni altro dedicò la sua arte a questo nobilissimo felino.
René Magritte – L’impero delle luci
La domanda è quella che si pongono tutti. Com’è possibile questo dipinto? Com’è possibile che il cielo così limpido emani la sua chiarissima luce solo a se stesso e non arrivi sulla terra, ancora immersa in un oscuro notturno e illuminata solo da un lampione solitario e da una fonte elettrica che accende alcune finestre? Magritte è un campione nell’interrogarci se quello che ci appare è la realtà e quindi se ciò che vediamo è veramente quello che vediamo? Vi ricordate la pipa che non è una pipa, no? Chiunque nella dicotomia può vederci quello che vuole. Per una volta io mi godo l’estetica e il motto che, partendo da essa, mi raggiunge: occhio, per ogni cosa, occhio, all’altra faccia della medaglia. Ma potrebbe anche essere: occhio, che c’è sempre una via d’uscita. Oppure: può essere e può non essere. Insomma, watch out!
Amedeo Modigliani – Ritratto di una donna con cravatta nera
Ecco dove nacque la Patti Smith di Easter. Al di là delle battute, a me sembra che con questo quadro nasca il punk in pittura. Lo sguardo mancante come le antiche statue, le labbra rosso fuoco, la pettinatura vaporosa e compatta che sulla fronte disegna un arabesco anarchico, la camicia bianca ben più ampia del corpo che deve contenere con una sbrindellata cravatta nera a scendere come una pista incurvata di Formula 1. La modella posa placida e malinconica e sembra essere presente solo con le sue forme fisiche come appunto la più celebre punk rocker. Un’intima assenza più che una snobistica non presenza. Lo trovo delizioso.
Giorgio De Chirico – L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio
La luce resiste in mezzo ai due grandi fasci di ombre come a indicarci di tenere gli occhi bene aperti perché gli attacchi ci possono arrivare sempre da qualunque lato. E la figura umana? Anche lei porta con sé la sua ombra. Ma non sembra che se ne stia staccando? Che l’ombra cioè sia immobile mentre la persona dentro la tunica rossa prosegua allontanandosi dalla sua parte scura? Come uno strappo. Ma forse l’ombra non è un’ombra. Potrebbe essere un’altra presenza umana che si è fermata, con la testa reclinata dà l’idea di essere sofferente. La figura con la tunica le ha detto di non muoversi, di non volerla più tra i piedi e la sta abbandonando.
Ecco la pittura metafisica, l’arte che intreccia la stratificazione di ambiti emotivi, filosofici, intellettuali ed estetici. Il pittore che va oltre l’apparenza senza fornire risposte ma limitandosi a offrire interrogativi se non enigmi. Lo spirituale resta dentro le cose fisiche, non oltre.
Tamara De Lempicka – Autoritratto sulla Bugatti verde
Amo la plasticità di questo quadro. Quasi una fotografia, una ventata in stile post Belle Époque. Una donna poi al volante nel 1929, la carica ultramoderna per non dire rivoluzionaria è già espressa nell’accostamento tra la modella, la pittrice stessa, e il mezzo utilizzato nel dipinto a olio. Eva che parifica Adamo, almeno nella richiesta sociale. La “Venere moderna” è distaccata, altezzosa, elegante, seducente nella sua lontananza. Sotto il suo caschetto e nei suoi guanti lunghi coniuga forza e delicatezza. L’emancipazione di una donna glaciale, nuovo modello per la donna che non usa solo la bellezza per catturare lo sguardo, ma è quasi prepotente nell’imporre la sua presenza. Fuori da ogni canone tradizionale ma dentro una nuova visione delle cose attraverso una gamma cromatica che, con l’uso di una manciata di colori principali e il sapiente uso delle ombre, ci offre un dipinto quasi simbolista se non addirittura metafisico. Lo sguardo aristocratico poi cattura quel poco che ancora non riesce ad afferrare l’estetica complessiva di tutto il resto.
Tutte opere stupende. Tra le mie preferite, c’è Guernica, di Picasso. E molte opere degli impressionisti.
Guernica è una sinfonia mahaleriana. Tra gli impressionisti amo Pissarro.
Io ho nel cuore Monet….