Quando Sartre spiegò al mondo l’esistenzialismo

9788842557401_0_536_0_75Nel terzo volume della sua opera biografica, La forza delle cose, Simone de Beauvoir dice a riguardo dei motivi che la spinsero a scrivere Per una morale dell’ambiguità: “Allora l’esistenzialismo veniva considerato come una filosofia nichilista, miserabilista, frivola, libertina, disperata, ignobile: bisognava pur difenderlo”.

Un paio di anni prima, anche Jean-Paul Sartre, suo compagno ed esponente massimo del versante francese della corrente esistenzialista, aveva sentito la medesima esigenza, consapevole che la sua opera monstre L’essere e il nulla era vittima di una continua incomprensione e non solo per l’oggettiva complessità della sua lettura. Il pensiero esistenzialista, da Sören Kierkegaard in poi (ma forse dovremmo retrodatare la radice prima a Pico della Mirandola), incontrava l’ovvia resistenza dei filosofi che non uscivano dalle millenarie categorie, la prevedibile condanna delle autorità religiose cattoliche e, per Sartre il vulnus che davvero lo toccava, il disorientamento di chi filosofo e religioso non era.

Così, conscio della necessità di una salutare volgarizzazione del suo pensiero, il 29 ottobre 1945, al club Maintenant di Parigi, tenne una conferenza dal titolo L’esistenzialismo è un umanismo (un umanesimo diremmo oggi), il cui resoconto stenografico, sul quale il premio Nobel 1964 non fece che qualche ritocco, divenne l’anno successivo una pubblicazione che con tutti i crismi entrò a far parte della bibliografia sartriana.

 

La libertà come voce umana

Intanto il tema della libertà, intimamente connesso con quelli dell’angoscia e della responsabilità che coglie ogni essere umano al momento di una scelta (qualunque essa sia, anche la più ordinaria). La libertà come opportunità per scrivere la propria storia all’interno di una situazione storica data, grimaldello per la propria realizzazione personale e strumento inalienabile tanto per la conoscenza di se stessi quanto di condizionamento verso gli altri e di costruzione individuale della comunità umana.

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Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir

La volontà di Sartre è di chiarire che la filosofia esistenzialista non ha nulla a che fare con il pessimismo con il quale viene tacciata da una pubblicistica disattenta o in malafede. Sostenere che la realtà umana (non la “natura umana”, che non esiste se non come millenaria falsità etica e filosofica) è intersoggettiva e libera e che “l’uomo decide di ciò che è e di ciò che sono gli altri” è definire l’esistenza in primis come un bene, delicato e tragico, ma di certo né nichilistico né tantomeno catastrofico.

 

L’individuo concreto non il suo principio astratto

Nell’incontro pubblico da cui il documento che possiamo leggere, Sartre è chiaro nel denunciare come falsa la presenza nel mondo fenomenico in cui è inserito il singolo di principi statici dalla notte dei tempi, immuni da ogni influenza recepita dal luogo in cui egli vive, dalle condizioni famigliari/sociali e dai cambiamenti culturali. L’essere umano “dipende dall’epoca e non dalla natura” dice, concetto quest’ultimo a cui bisogna rinunciare sostituendolo con quello di “condizione umana” e, compiendo questa operazione, si smette di pensare all’uomo come pura pensabilità e portarlo finalmente nella sua realtà concreta, fatta di emozioni, pensieri, scelte, errori, ripensamenti, coraggio e vigliaccheria, sensibilità, azioni, sofferenze e felicità. Il signor Tale e la signora Tali devono essere al centro della speculazione filosofica non un’idea astratta di Essere.

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Un ordigno all’interno di uno slogan

Ecco il significato della frase che deflagrò il mondo filosofico e che gli anni poi raccolsero come motto al punto da farne slogan mediatico che arrivò a essere esibito anche nel mondo pop: l’esistenza precede l’essenza. Concetto che Sartre volle precisare: L’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel mondo e si definisce dopo (…) all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito e sarà quale si sarà fatto”.

D’accordo, sempre nell’ambito di una società e di una realtà che ne limita l’azione, ma è chiara la sua portata esplosiva nel mondo? A partire dall’emancipazione femminile. Una volta appurata ad esempio l’inesistenza di un “eterno femminino” (la secolare “natura della donna” che ha bloccato la donna a una condizione di perenne subalternità nei confronti dell’uomo), ogni singola donna sarà quello che essa si farà nel mondo con le sue forze, con libertà e responsabilità pari e mai diverse da quelle di ogni singolo uomo.

 

Il peso della scelta

Poi Sartre passa a delineare il ruolo della scelta, altro cavallo di battaglia del pensiero esistenzialista. Poste le premesse che precedono, ogni scelta umana non potrà che essere personale e naturalmente arbitraria. E, poiché ogni essere umano non vive da solo e isolato, essa planerà sull’intera comunità dei suoi simili. Se scelgo di essere questo tipo di persona, dice Sartre, scelgo anche un’idea di umanità, le do un valore e al contempo ne escludo un’altra. Ogni mia scelta “coinvolge l’umanità intera”.maxresdefault

Come non vedere, sembra chiedersi il filosofo, come l’esistenzialismo sia “la dottrina che rende possibile la vita umana”? Poi, se si resta ingarbugliati in quell’altro principio assurto alla notorietà e cioè l’uomo è condannato a essere libero, facendo leva sul predicato utilizzato è giocoforza illudersi di aver trovato la via del pessimismo cosmico di questa filosofia, ma la condanna altro non significa che ogni essere umano non può non darsi continuamente una forma, cambiare di continuo non essendo né una pietra, né una sedia, né un tagliacarte.

L’essere umano si oltrepassa di continuo, trascende la sua stessa realtà contingente, il suo stesso essere del momento appunto attraverso le sue scelte. E perfino la sua libertà di non scegliere, facendo scegliere gli altri o la situazione in cui si trova. Che poi è pure quella una scelta.

 

Morale e responsabilità

existentialismeL’umanismo o umanesimo di Sartre è la pretesa di separare le singole esistenze che popolano il pianeta Terra “dalle strutture che lo innervano e rivendica la capacità del soggetto di prendere liberamente e consapevolmente posizione rispetto all’esistenza per poterla orientare nella direzione di una sua maggiore responsabilità e autenticità”, come scrive Moreno Montanari nella sua bella introduzione al testo nell’edizione pubblicata da Mursia.

Da qui, un altro punto su cui Sartre, volle cancellare ogni dubbio, l’esistenzialismo come pensiero morale. Ogni azione che facciamo, ogni inerzia che preferiamo all’azione, si traduce sempre in una nostra risposta morale di cui siamo e saremo in ogni luogo e tempo del nostro cammino chiamati a rispondere. Siamo condizionati, ma al contempo condizioniamo, non ci possiamo nascondere.

Qui l’ulteriore carica rivoluzionaria del pensiero sartriano, sostenuto pur contro il pericolo di rimanere isolato dalle tradizionali culture egemoni di quel tempo. No al materialismo storico marxista che scagiona l’individuo perché annullato da strutture e sovrastrutture della società, no al cattolicesimo con il suo rimandare tutto alla provvidenza divina, no al determinismo che lega in senso assoluto il singolo alle pulsioni che la sua personalità deve subire da tutto ciò che è esterno a esso.brbbt34vtergver

La malafede

Dice Sartre: chiunque dica che “le circostanze sono state contro di me, io volevo molto di più di quello che sono stato; è vero, io non ho avuto grandi amori, grandi amicizie, ma questo è avvenuto perché non ho incontrato un uomo o una donna che ne fossero degni; non ho scritto ottimi libri perché me ne è mancato l’agio” è in malafede. Siamo responsabili della vita che abbiamo condotto e di ciò che siamo, non raccontiamoci fandonie.

È vero, non siamo gli unici artefici perché esistono le leggi, le consuetudini, i rapporti di forza che ci limitano. E ci sono gli altri individui liberi come noi (“l’inferno” nella dialettica sartriana), che si progettano come noi e che entrano nelle nostre vite, ma il modo in cui noi scegliamo di pensare e agire da noi parte e a noi ritorna. Negare questa responsabilità, disse Sartre, è essere “vili” o “sporcaccioni” in quanto si gioca sporco non ammettere che le regole del gioco non valgano sempre.

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E Dio?

Sartre parlò di “posizione atea coerente” dell’esistenzialismo. O meglio, della sua declinazione di questo pensiero, dato che non mancano pensatori esistenzialisti credenti. Ma anche su questo tema, così facile da essere utilizzato per, perdonate l’espressione, buttare tutto in vacca e alienare ogni simpatia da parte di chi si sente vivere dentro un afflato religioso.

Il punto di Sartre è rigoroso. Tanto non si creda in Dio, quanto invece lo si creda, il tema della responsabilità non sposta le conclusioni. Anche per chi ha fede, Dio non è su questa terra. Conta solo quello che si è stati, quello che abbiamo fatto, non aver proclamato un credo e dire di aver vissuto nel suo segno. Essere atei o non esserlo non è la vera questione.

Fu chiaro Sartre: “L’esistenzialismo non vuole essere ateo in modo tale da esaurirsi nel dimostrare che Dio non esiste; ma preferisce affermare: anche se Dio esistesse, ciò non cambierebbe nulla. (…) Bisogna che l’uomo ritrovi se stesso e si persuada che niente può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell’esistenza di Dio”. Il filosofo sostenne sempre il suo ateismo, ma più come posizione personale, nessun apriorismo su Dio se non quello del “Dio tappabuchi” citando il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer.

 

Un pensiero ad ampio respiro

Una corrente quindi della libertà e dell’impegno quella di cui Sartre divenne il faro nel Novecento insieme a Martin Heidegger (con tutte le evidenti e sinistre differenze), che non condanna l’essere umano ad alcun buco nero, almeno che egli non lo voglia. Che non afferma la rassegnazione se non come una delle plurime vie che il singolo essere umano può scegliere. C’è molto più ottimismo che il suo contrario.560x315_000_arp2621783

Una filosofia solare, di ampio respiro, che, proprio ne L’esistenzialismo è un umanismo, prevede, come sostiene Montanari, almeno tre spunti per ribadire la centralità dell’individuo pur inserito in una società le cui dinamiche di forza gli giocano contro: 1) l’esistenza non è mai del tutto definita dal contesto sociale e politico in cui è inserita e non c’è situazione che possa annullare del tutto la libertà individuale, la responsabilità del singolo e la sua azione sul reale; 2) ogni scelta di ritirarsi in una condizione isolata, privata, intima fallisce perché l’essere umano è un insieme di relazioni sociali e ogni vicenda personale non è che il modo con cui noi siamo calati in esse; 3) la frustrazione per i fallimenti a cui andiamo incontro è figlia della nostra illusione di sentirci Dio o (e chiudiamo il cerchio delle frasi con cui si è voluto fare de L’essere e il nulla un bignami), per dirla a la Sartre, “un Dio mancato”.

 

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L’incontro di cui il libro raccolse la trascrizione si tenne a neanche sei mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale, ben prima che l’esistenzialismo venisse elevato a icona pop, abito con cui vestire una nuova generazione e sperimentazione per un’espressione culturale e artistica che si trasformò in autentica moda, coi suoi luoghi di ritrovo, il suo outfit per dirla alla contemporanea, le sue pose e quant’altro. Poi l’attenzione si spostò su altro e oggi è una cartolina.

Scevro del movimento che ne fece bandiera è rimasto il pensiero, pietra miliare del cammino filosofico. Con il testo in osservazione sempre a portata di mano per le donne e gli uomini di buona volontà.

 

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