Nick Drake, il suo cielo e il suo inferno in terra

500x500Nick Drake se ne andò, per volontà sua o per errore suo, il 25 novembre 1974. Il prossimo anno dunque sono 50 anni d’assenza. Dotato di un lirismo raro, volò ben poco e quando lo fece gli sembrò di essere più insetto che aquila. I posteri hanno dichiarato che l’ardua sentenza deve essere di totale riconoscimento di una creatività poetico-musicale in grado di abbattere il cancello dei tempi, a indiretta condanna dei suoi contemporanei che non conobbero questa gemma o non se ne accorsero perché altrove affaccendati.

Cosa buona e giusta dunque che, di tanto in tanto, chi può ritorni su Drake. Io lo faccio chiamando in causa Massimo Padalino, che i lettori di questo spazio conoscono bene e gli amanti della musica (seria) e della lettura (seria) ancor meglio.

Nick Drake mi fa tornare alla mente l’immagine a cui Marco Travaglio ricorse ricordando Franco Battiato: era come quei fiori che appena li tocchi si disfano. Poeticità eccessiva la mia o Drake ricorda questa fragilità in natura?

Poeticità eccessiva, la sua: quella di Nick. All’inizio del Diario di un seduttore di Kierkegaard si legge una bella definizione di “anima poetica” e di “poeticità di un individuo”, quando l’autore dice che quello che fa la differenza tra la realtà delle cose e la realtà delle cose viste poeticamente è quel quid immaginativo che viene aggiunto dall’individuo. Attenzione: non da ogni

massimo padalino
Massimo Padalino

individuo, ma solo da certi individui: quelli dotati di tale capacità. L”ungarettiana “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” è quel quid. L’autunno. Gli alberi. Le foglie. E quel filo sottile che lega la natura che appassisce e attende la sua sorte (di momentaneo decadimento) ai soldati che attendono nelle trincee del proprio autunno. Nick Drake fu un poeta di questo genere, nella vita ancor prima che nell’arte. Anche se è l’arte di Nick che gli è sopravvissuta a parlare per lui, per lui poeta; il suo Fruit Tree, pezzo del 1969, ad esempio, recita così: “Fame is but a fruit tree / So very unsound / It can never flourish / Till its stalk is in the ground / So men of fame / Can never find a way / Till time has flown / Far from their dying day”. Questa è poesia, questo è il quid in più dell’animo poetico.

La sua voce pacata e calda porterebbe a pensare a un forte equilibrio interno, una pacificazione tra tutti gli elementi della terra. Mai fermarsi sulla superficie, vero?

La voce di Nick è pacata, è vero. Probabilmente, anche la voce di Cristo durante il Discorso della montagna lo era. Il messaggio veicolato dalla voce è inversamente proporzionale all’apparente calma del suo timbro. La rivoluzione di Nick è soprattutto una rivoluzione interiore, che non necessita necessariamente di un pubblico e di spettatori, se non in un secondo momento, a cose fgbfd(s)fatte, quando la canzone si è cristallizzata e la sensazione poetica che l’ha creata s’è volatilizzata. Nick però non è Cristo. Nick canta se stesso a se stesso. Noi, il pubblico, siamo in fondo dei voyeur. Ci siamo e non ci siamo. E comunque, anche quando ci siamo, è come se non ci fossimo. Si respira sempre, nelle canzoni di Drake, un’aura che sa quasi di misticismo, di monachesimo autoimposto, di processo a se stesso senza processo, persino nelle canzoni più liriche si avverte sempre che l’identità del poeta freme e bypassa quella dell’uomo inteso come everyday man, che puntualmente si eclissa durante la scrittura-composizione della canzone.

Quando lo trovarono morto disteso sul letto di casa sua, si scoprì che, oltre al quaderno coi testi delle sue canzoni, sul giradischi erano posizionati i Concerti brandeburghesi di Johann Sebastian Bach e, accanto a lui, Il mito di Sisifo di Albert Camus. Dietrologia cercare un senso alla scena o gli oggetti parlano per lui?

Il suicida, o chi per tale è classificato, è come pollicino: lascia sempre delle briciole dietro di sé, basta seguirle… In questo caso, Camus; che scrisse questo testo non ancora trentenne, e nel quale possiamo leggere quanto segue: “Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso nick-drake-guitarra-color-webcreato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Così, persuaso dell’origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.

Propendi per il suicidio o per un errore nella quantità di psicofarmaci ingerita?

Nick Drake è un suicidato dalla società, come avrebbe detto Artaud, che lo disse di Van Gogh, in un libello altamente visionario, poetico, illuminante, nel senso di accecante: perché l’illuminazione massima della poesia è sempre oscura e ti priva della vista; proprio come le canzoni di Nick, che quando esplodono nel senso, nonostante l’uso parco e quasi haiku delle parole, ti lasciano sempre l’impressione di essere investito da una luce fortissima che non svela le cose, ma lascia solo intravedere la possibilità deiFive_Leaves_Left mille modi in cui possono svelarsi.

Cosa, dell’intimità e dell’oscurità della sua musica, non piacque al pubblico di allora?

Al pubblico non piace il fatto che sia oscura. Ma anche: al pubblico piace l’oscurità della sua musica e dei suoi testi. Ma soprattutto: l’arte di Nick è sommamente poetica, e in questo senso è destinata a parlare e a dire molto a pochi. Non si dà in natura un poeta che sia anche rockstar, eccezion fatta per i poeti laureati, quelli che scrivono tonnellate di versi, anche eccellenti, e ai quali spesso viene tributata una patente di anfitrioni cultural-civili, eccetera (vedi alla voce Dante, Petrarca, D’Annunzio). I poeti di nugae, delle piccole cose, specie poi quelli che centellinano le parole per parlarne, sono più simili a oracoli, che parlano senza parlare, dicono senza dire, affermano smentendo, insegnano ignorando e viceversa. Nick appartiene a questa categoria qua.

Possibile sia vero, come scrisse qualcuno, che i suoi ripetuti flop discografici si dovessero attribuire alla sua pronuncia? Troppo alta, educata e colta perché potesse arrivare a un pubblico di operai, manovali, gente di studio elementare.

bryter layterSì, è probabile. Gli early Seventies furono anni in cui i discografici inseguivano il sogno di trovare la gallina dalle uova d’oro nelle band o singoli artisti che parlavano straight a un pubblico mediamente o poco istruito e in cerca di emozioni forti, e di un sound altrettanto forte. Siamo lontano dall’epoca dei ristretti circoli folk early o mid Sixties in USA ma anche in UK, e siamo lontani dal percorso che porterà dalla new wave a nuove band arty e intellettuali pronte a lanciare un linguaggio sonoro al contempo cerebrale ma anche di massa. Zero. Nick vive, discograficamente, ma anche fisicamente, in una epoca dove i cantautori ci sono ma non sono il centro dell’interesse dei discografici major. E poi, detto tra noi, Nick è destinato e sempre lo sarà a un successo, per quanto esteso, pur sempre di nicchia, perché la sua musica e i suoi testi occupano uno spettro che va dall’emozione lirica pura alla psicanalisi, dal vortice onirico al vaticinio volutamente polisemantico.

In Parasite si descrive come un parassita umano. Troppo disumana la metropoli, Londra, per lui tanto che tornò alla casa dei suoi genitori a Tanworth-in-Arden, dove poi morì. Eppure dal punto di vista compositivo la capitale non sembrò aver influito in peggio nella capacità di scrivere canzoni, anzi.

Che un poeta finisca per sentirsi, prima o poi, specie nella società odierna, una specie di parassita, non stupisce affatto. In un mondo che è passato attraverso le fasi capitalistiche di etica del lavoro, produzione industriale, consumismo – o meglio ancora, che è passato, nell’arco dell’ultimo cinquantennio, da una società dove le classi povere erano viste come serbatoi di manodopera a basso costo per l’industria a una dove sono visibili e socialmente utili solamente se in grado di consumare – non è poi così difficile immaginare che Nick, un uomo introverso, affascinato dalle parole, e affascinante grazie a musica e parole, si sia potuto sentire pink mooncome il pezzo non necessario di un meccanismo, quello sociale, dove conta solo chi produce denaro o spende denaro in prodotti. Il poeta non ha prodotti da vendere. E nemmeno è un prodotto da vendere. Ergo: in questa stupida società, il poeta è uno scarto, un cascame, qualcosa di strano, qualcuno che non ha una funzione (in seno al sistema produttivo, prima, e a quello consumistico, adesso), pertanto è o meglio si sente un parassita.

È agghiacciante, ma la sua parabola fu un perfetto romanzo di formazione, chiusa come si concludono tutti i più celebri romanzi di formazione. Solo che nel suo caso l’autore coincideva con il protagonista. Che ne pensi?

I romanzi di formazione hanno sempre per protagonisti degli individui dotati del famoso quid di cui sopra, i quali scoprono l’esistenza del suddetto quid attraverso una serie di esperienze più o meno dolorose, illuminanti, e via dicendo. Agli individui meno o nulla dotati di quid, spetta il romanzo picaresco o al massimo il romanzo d’ascesa sociale et similia.

Un articolo di Melody Maker del 1972 lo inquadrò così: persona misteriosa, non si sa dove vive, non c’è possibilità di vederlo su un palco. “Forse Nick Drake non esiste affatto”. C’era tutto per alimentare il mito, invece vendette poco più di 7c8daa98-2fed-41f4-91db-73be24c952bd_large10.000 copie totali di dischi, in un’epoca dove i dischi si vendevano a milioni. Ho l’impressione che gli bastasse alzare un dito per toccare il cielo e invece…

Il cielo di Nick è il cielo di chi conosce l’inferno in terra. L’inferno sono gli altri, disse una volta un famoso filosofo. L’inferno sono io, gli avrebbe replicato Nick. Esistere ed essere famosi, non sono comunque sinonimi, come vorrebbe oggi la nostra sciocca società dei selfie e dell’appaio dunque sono. Nick esisteva lì dove esiste chi non esiste, cioè nello spazio interiore, intellettivo, emozionale, che non è – come molti erroneamente pensano – uno spazio identico per tutti. L’adiaforìa è l’ideale etico dei cinici e degli stoici che consiste nel mantenere immutata la propria serenità d’animo, mostrandosi completamente indifferenti di fronte a qualsiasi evento del mondo esterno. Il poeta Drake è un adiaforico inconsapevole. È un adiaforico senza volerlo, senza saperlo, ma soprattutto senza darlo a vedere, nonostante tutto veda e tutto viva, come testimoniano i versi del Nostro e le musiche delle sue canzoni, che parlano tanto quanto i loro testi.

QUX54MLLHJBAVJAOPOQVHKVS6YPassa in rassegna ciascuno dei suoi tre dischi.

Five Leaves Left, 1969: minimale, anemico, colloquiale, intenso, all’apparenza poco emotivo, in realtà chirurgico con le emozioni.

Bryter Layter, 1970: una specie di incrocio tra il miglior Buckely e il miglior Van Morrison nel segno del less is more, ma anche dotato di una vena triste e sognante che è forse ancora un retaggio dell’adolescenza e dei suoi sogni.

Pink Moon, 1972: il suo testamento spirituale, il suo capolavoro, un’opera a cui non va aggiunta o sottratta un’oncia, un lavoro che cammina con passo svelto e fermo non tre, ma trecento metri sopra il cielo dell’uomo di tutti i giorni, che cerca nel cielo una fuga alle sfighe della quotidianità.

Dopo Pink Moon, le sue condizioni di salute furono talmente precarie da non essere in grado di suonare e cantare contemporaneamente. La depressione lo aveva ormai divorato. Cosa fu, incapacità di crescere, alienazione dal genere umano, delusione perché come artista non veniva capito o altro?

Soffermiamoci sul concetto di crescere. Crescere è un qualcosa che presuppone un progetto. Un organismo, ad esempio una pianta, un animale, un uomo, cresce perché quel progetto è racchiuso nel suo dna. Un artista cresce perché ha programmato una carriera, o magari perché ha interessi intellettuali tali che lo spingono a riformare la propria opera in fieri. Ma un poeta lirico, che quasi sempre si muove nel qui e ora, in forma stringata, quasi un haiku, si diceva, che programma può avere? Non ambisce a una ryhcarriera: o meglio la sogna, ma le sue azioni sul piano del reale fanno di tutto per smentire la programmazione di una carriera nello showbusiness. Farsi una carriera vuol dire avere uno sguardo mercantile sul prodotto che si offre, programmare delle tappe, un punto di arrivo, uno di partenza, un incremento di qualche tipo tra l’inizio e la fine, provvisoria, del progetto. Nick non progettava nulla. Al massimo, sognava di progettare. E il sogno, per sua natura, non ha progetti, è esso stesso uno sprogettarsi nell’immediato, proprio come lo sono le canzoni di Drake.

Come spesso accade per autori come lui i testi si mangiano la musica, quanto a importanza. Ma il suo fu semplicemente un suono folk già ascoltato prima di lui e di nuovo ascoltato dopo di lui?

No, Nick è un musicista eccezionale. Altro che folk prima di lui o dopo di lui. Tecnicamente è un riduzionista, cioè uno che lavora per scarnificare all’osso l’armonia della propria musica, così come faceva con i propri testi.

Un giochino che ovviamente prese subito piede fu la ricerca di un parallelismo con Bob Dylan. Ci partecipo anche io: l’unico vero collante tra i due è che entrambi si sono incatenati unicamente alla loro arte. La tua opinione?

La mia opinione coincide in toto con la tua. Disanima perfetta.

Dove nasce e come si spiega la sua rinascita discografica post mortem? In cosa è più contemporaneo oggi di allora?

Se volessi banalizzare, direi: la sua rinascita post mortem dipende dall’uso di un suo famoso pezzo nella pubblicità di un altrettanto famoso marchio automobilistico, e da qualche antologia piazzata a metà anni Ottanta. In realtà, la popolarità di Nick è dovuta a cd2e2b3e-3a97-44ef-902d-f9bccbefcaaad9db1372dbac4da742_E2933BDF-B192-425F-989B-CB075C236F24una forma tipica di carsismo intellettuale che investe l’opera di coloro che sono fraintesi o ignorati in vita e riscoperti post mortem. Drake è un musicista-poeta della rarefazione, come abbiamo detto; e in musica la rarefazione (e il riduzionismo), a un certo punto, diciamo pure dallo shoegaze e dallo slocore in poi, si è affermata presso un pubblico sempre più attento a questo tipo di operazioni sulla forma della canzone pop (in senso lato). Nick è stato in qualche modo un antecedente generico di questo tipo di sensibilità. La sua fortuna invece come poeta è quella di aver trovato una sua via, sommamente ermetica e quindi simbolica. Questo espediente ha contribuito a porlo al di fuori di qualsivoglia moda. Nick rimane one of a kind, sia come poeta che come musicista.

A passare la lista di musicisti che si sono dichiarati debitori a lui c’è da farsi venire la pelle d’oca per la gemma perduta: Elton John, Paul Weller, Robert Smith, Ian Curtis, Tom Verlaine, Thom Yorke. Dal punto di vista esclusivamente artistico, in quali di questi respira di più Nick Drake?

Red House Painters

Ok, tutta questa brava gente dice di essersi ispirata a Nick Drake, e di sicuro l’ha fatto! Così come l’hanno fatto, per loro stessa ammissione – aggiungiamo altri nomi alla lista – Peter Buck dei R.E.M. o Robert Smith dei Cure. Ciò vuol dire che la musica di lor signori risuoni delle note e della poetica drakeiana? Sì e no. La questione mi ricorda molto i tipi che dicono che Kurt Cobain si sia ispirato ai Pixies per Smells Like Teen Spirit; poi ascolti gli stop and go slowfast del pezzo, e ti accorgi che i Pixies ce li aveva nella testa il buon Kurt ma che il pezzaccio killer summenzionato è una riproposizione, con break psichedelico-esistenzialista, della vecchia formula veloce-lento-veloce dei Replacements di Paul Westerberg, di quell’hardcore una volta angry e in your face e dopo, ai tempi di Nevermind, declinato in salsa ribellione e sgomento post-adolescenziale e meta-esistenzialista. Questo per dire che, i veri eredi, in suoni e poetica di Nick, al massimo sono nomi come il compianto Jason Molina o i Red House Painters, per citare un paio di artisti esemplificativi. A questo punto, se amate Nick Drake e volete sapere chi ha ereditato qualcosa del suo magico quid, vi image-w1280invito a scoprirli o riascoltarli.

E di un collegamento con Bill Fay che dici?

Sì e no: Fay ha iniziato col pop orchestrale (solo sfiorato da Nick qui e lì agli esordi: vedi alla voce Robert Kirby) ed è giunto poi a forme di folk oserei dire quasi apocalittico. In senso stretto, lui ha avuto eccome una evoluzione, anche molto evidente. Per quanto riguarda il famoso quid, entrambi ce l’hanno, e anche molto affine, nel loro modo di essere cantautori e poeti.

nickdrake_1_1353680164Quale, secondo te, la composizione che lo descrisse di più?

Northern Sky, che contiene i seguenti, metaforici, versi: “I never felt magic crazy as this / I never saw moons knew the meaning of the sea / I never held emotion in the palm of my hand / Or felt sweet breezes in the top of a tree / But now you’re here / Brighten my northern sky”.

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