Il silenzio è uno spazio. Una stanza mentale che non preclude la presenza di rumore all’esterno, ma gli impedisce il suo interno. Lo impossibilita a filtrare perché è priva di porte, buchi della serratura e finestre. Le sue pareti sono inarrivabili una volta che essa prende forma. E, prendendo forma, ammette una sola presenza al suo interno.
Il silenzio è l’esilio dalla Terra che permette il ritrovamento della pietas verso se stessi e una nuova forma con cui l’alterità ci appare. Si dissolvono le più pesanti malinconie, sbocciano i fiori del piacere, s’abbandona ogni inclinazione alla prostituzione, evaporano le insofferenze, s’acquieta ogni spina di ribellismo e s’isola l’abituale stampo di pavidità con cui stiamo tracciando la nostra vita.
Il silenzio è ascesi per sentirsi sul volto quel che si è e che ancora non siamo riusciti a diventare. Nel silenzio stabilizziamo il Tempo, sospendendolo per tutta la durata della nostra presenza nella stanza. Possiamo raccogliere schegge del nostro passato, entrare nella visione di immagini che, pur prive di fonte temporale e di radici con la nostra vita, le sentiamo appartenenti a noi quanto un qualunque evento della realtà tattile, sonora e olfattiva.
Nel silenzio rifiutiamo la materialità del quotidiano e, quali portatori di un’identità inedita ma familiare ai sensi, ci troviamo espulsi dall’eterno presente dentro cui la contemporaneità ha pensato di cadere per replicarsi sempre uguale a se stessa negando Dio, il passaggio delle ore, l’invecchiamento degli organi, l’idea dell’universale, l’abbandono della vita. Svilendo la Legge della trasformazione.
Con il silenzio non ci appartiamo nella periferia del mondo ma impariamo a vedere e conoscere quale sia il più intimo e puro centro della nostra esistenza. Quali i veri pregi e quali i difetti che vestono la nostra personalità, quali le scalate che potremmo affrontare e quali i limiti con cui dovremmo farlo. Quali le effettive porte che abbiamo chiuso davanti a noi e quali le vie d’uscita su cui abbiamo preferito non spostarci. Il silenzio ci racconta che cosa è ancora raggiungibile e che cosa invece consegnato all’archivio.
Il silenzio è il mascheramento delle menzogne e lo svelamento della verità. E la verità possiamo lasciarla dove la vediamo palesata nel tanto o poco tempo in cui ci raccogliamo nella stanza. Non c’è obbligo di farne carne viva e sangue caldo con atti e omissioni una volta ricongiunti al mondo sensibile se ciò ci inquieta. Ma, in un modo o nell’altro, ci farà da bastone d’appoggio per segnare il nostro cammino. Perché basta entrare una volta sola nella stanza per sganciare la concatenazione degli eventi dal canovaccio che ci saremmo scritti se mai l’avessimo fatto.
THE ROOM OF SILENCE
Silence is a space. A mental room that doesn’t prevent the presence of noise outside. It just blocks its getting inside. Because it has no doors, keydoors and windows. Its walls are unreachable when it gets its shape made. And the shape allows just one resident.
Silence is the exile from Earth that helps the recovery of the pietas toward ourselves and to who and what lives out of us. The heaviest melancholies fade away, the flowers of pleasure blossom, every talent to prostitution gives up, impatience vanishes, our being rebel calms down, the spinelessness with whom we use to mark our days is closed off.
Silence is the ascesis that gives us the way to become what we are. In the silence, Time is stabilized, suspended throughout our presence in the room. We can pick up splinters of our past, getting into the vision of images we feel close to like each event of the tactile, auditory and olfactory reality, even though they don’t belong to the roots of our life.
In the silence we refuse the materiality of “ordinary everyday” and, as bearer of an unprecedented identity, we end up from the eternal present into which the Contemporary Age has fallen to reply itself forever and ever denying God, the passing of the hours, the concept of an “universal greater”, the passing of life and downplaying the Law of transformation.
The room of silence doesn’t head us to the outskirts of the world, it helps us to see and recognize what the most intimate and purest epicenter of our life are. Which the most sincere virtues and defects of our personality, which the climbings we can take on and which the limits of. Which doors we’ve closed and which the ways we’ve always rejected. Silence tells what’s still reachable and what can never be pulled out from our archive yet.
Silence is the disguising of lies and the unveiling of the truth. We can leave the truth on its own, being not obliged to turn it into living flesh and hot blood if it frightens us once we come back to the sensible reality. But, somehow or other, that truth will be our walking cane to mark the path with. Because it’s enough to go in the room once not to follow then the same plot outline we would have gone after if we hadn’t ever done it.