Si chiude col botto. Questa lunga carrellata dentro la letteratura noir americana attraverso il pensiero di un traduttore e saggista d’eccellenza come Seba Pezzani (che voglio raggiungere con il mio più sincero grazie), ha il suo epilogo con Ragtime di E.L. Doctorow.
Un romanzo gigantesco per la grandezza della narrativa che contiene, uscito circa a metà degli anni Settanta e che, ambientato in una cittadina a un passo a New York, racchiude una decina di anni di vita proprio a ridosso dello scoppio della Grande Guerra. L’età del ragtime, dentro la quale il seme del male si sparge e propaga al ritmo di una musica che, una volta chiuso il conflitto, lascerà il palcoscenico allo swing delle big band. Prima di una guerra mondiale, se possibile, ancora peggiore.
Al di là del collegamento con la musica del periodo in cui la storia è ambientata, perché secondo te Doctorow l’ha intitolato così?
Perché voleva connotare in maniera immediata un tempo e un’atmosfera, sincopati come la musica che andava di moda.
A proposito di questa musica, in epigrafe leggiamo una frase di Scott Joplin: Non suonatelo in fretta questo pezzo. Non va mai bene suonare in fretta il ragtime. Però proprio la vita negli States di allora era un continuo bruciare di emozioni, rabbia, lotte anarco-sindacali, feste a go-go dai benestanti in su. E tutto questo in attesa del jazz delle big band che, terminata ogni paura causata dal primo conflitto mondiale, avrebbe addirittura pigiato al massimo la velocità della vita quotidiana. Come te lo spieghi?

La musica non andrebbe mai suonata “in fretta”, nemmeno quella più veloce e forte. È la natura stessa dello swing, al punto che è entrata nel gergo abituale del musicista dire di questo o quel musicista qualcosa tipo, “non ha il minimo swing” oppure “caspita che swing!”, per indicare l’attitudine con cui si approccia alla musica. Per esempio, un cantante che abbia swing riesce sempre a restare leggermente – ma non troppo e il segreto sta proprio lì – dietro il tempo, per creare pathos. E, guarda caso, lo swing è figlio della cultura afroamericana e, forse – chissà, magari idealmente – al ritmo africano della vita, alla capacità di prendere le cose con maggior filosofia e a farsi scivolare addosso qualche piccolo inciampo.
La storia si compone di una serie di microavvenimenti che, intrecciandosi o sviluppandosi in modo inaspettato, creano questo grande dipinto dell’America di primo Novecento fino alla vigilia dello scoppio della Grande Guerra. Quale la microstoria che più ti coinvolse?
Questo libro l’ho letto tanti anni fa, ma è proprio la vicenda di Coalhouse Walker e la sua sete di giustizia che si trasforma in ossessione vendicativa ad avermi catturato con forza. Trovo in questa scelta di Doctorow un che di biblico, se vogliamo di shakespeariano, quell’ineluttabile sussulto tettonico quando due culture o due visioni contrapposte del mondo si scontrano. Non è nulla di rivoluzionario, ma in questo romanzo funziona a meraviglia.

Perdona il solito e trito ricorso al sogno americano. Ma qui quel totem è più un incubo. Quello che capita alle donne che tentano di liberarsi da unioni che le hanno trasformate in oggetti, a un pianista nero che chiede giustizia per un infamante sopruso, a chiunque non sia nelle grazie della polizia è da film dell’orrore, non trovi?
No: è la vita. Succede quotidianamente, migliaia, forse milioni di volte al giorno. Talvolta non in maniera così brutale, in altri casi anche peggiore. E poi, come dice sempre Joe R. Lansdale per difendere l’essenza stessa della sua patria, “Il sogno americano è un’opportunità, non una promessa”. Gli darei pienamente ragione se il sistema a stelle e strisce stesso non lo promuovesse come un traguardo a portata di tutti.
Certo, poi c’è anche la vicenda di un immigrato ebreo capace di esprimersi solo in yiddish che passa da ritrattista di passanti per strada a mecenate con le tasche gonfie di soldi nella neonata industria cinematografica.

Anche questo è qualcosa di reale. Il romanzo di Doctorow è storico nel senso che non si è realmente inventato nulla: ha semplicemente preso microstorie e personaggi storici e li ha messi magistralmente insieme, con un impagabile senso della suspense.
Nella mescolanza tra personaggi reali e fittizi emerge la figura di Harry Houdini, protagonista delle più improbabili gesta. È una lettura troppo tra le righe vederci una delicata presa in giro degli States di quel tempo che, prima del ritorno alla realtà con il conflitto mondiale, concedevano le proprie vite a ogni sorta di illusione pur di non pensare?
Non credo, onestamente. Te lo dico perché, avendo conosciuto molti autori americani, ho scoperto quanto Houdini sia parte integrante del loro DNA culturale. Non a caso, Jeffery Deaver ha sostanzialmente preso le mosse dalle sue imprese epiche per creare uno dei suoi romanzi di maggior successo, L’uomo scomparso. E poi agli americani non piace tanto fare dell’umorismo sui loro grandi idoli: il pubblico non è detto che possa gradire.
Perché, di fronte alla messe di nomi e cognomi reali o fantasia, l’autore si limita a chiamare i componenti di una delle famiglie cardine del romanzo con Papà, Mamma, il Fratello Minore, il Ragazzo, il Bambino?
Bisognerebbe, naturalmente, chiederlo all’autore che, ahimè, ora non può più rispondere: Doctorow è mancato nel 2015. La mia sensazione è che abbia voluto dare un senso universale o, quantomeno, fortemente pubblico al suo romanzo, come per ricordare ai lettori che certe ingiustizie possono condizionare la vita di ognuno.
Perché, secondo te, l’autore scelse di ambientarlo a New Rochelle, un piccolo borgo nello stato di New York, invece di scegliere la Grande Mela? La metropoli non gli avrebbe consentito di amplificare il rilievo delle varie vicende?
Forse, ma la provincia americana ha un appeal che, talvolta, supera di gran lunga quella delle grandi città, soprattutto in letteratura. E, in fondo, New York City non è lontana.
Che affresco dell’America esce?
Quello di un grande paese alle soglie di un cambiamento epocale, ovvero poco prima dello scoppio della Grande Guerra, quando l’America iniziava un grande processo di modernizzazione, con l’introduzione delle automobili. Non a caso, intorno a un’automobile ruota la vicenda.
Dal punto di vista della tecnica narrativa, quale fu il merito più grande del romanzo verso la letteratura?
Come sempre, un bel libro deve avere un’ottima storia, possibilmente credibile, dialoghi vincenti e un senso di sviluppo – se vogliamo, possiamo chiamarla suspense – che spinga il lettore a voltare le pagine. Mi pare che in Ragtime ci sia tutto.
E come definiresti la scrittura di Doctorow?

Molto classica.
Dentro al libro io ci vedo almeno più romanzi. O almeno, tanto materiale da poter dare al suo autore la possibilità di far uscire almeno tre titoli diversi. Che ne pensi?
Penso che, se avesse voluto scrivere tre romanzi e lo avesse fatto, forse oggi non staremmo a magnificare questo romanzo con lo stesso entusiasmo con cui lo stiamo facendo. La ricchezza del romanzo è un’altra sua arma vincente.
Tra il tempo di Ragtime e quello dei Racconti dell’età del jazz passa proprio solo la Prima guerra mondiale. Che differenza di humus e di America trovi tra quelle storie di F. S. Fitzgerald e il romanzo di Doctorow?

Non penso di dire un’eresia se sostengo che questo romanzo è figlio della lezione di Fitzgerald e, soprattutto, di certe sue ambientazioni. In fondo, l’età del “ragtime” e dello “swing” sono comuni a entrambi.
Che giudizio dai del film di Milos Forman uscito nel 1981?
Mi è piaciuto tantissimo e l’ho trovato molto rispettoso nei confronti del romanzo da cui è stato tratto. Gli attori sono di primo livello e la colonna sonora è stata affidata a Randy Newman, un mio beniamino. Cosa chiedere di più?
Un grande romanzo che la Storia ha sottovalutato. E che continua a fare. A me torna alla mente solo un riconoscimento scritto da Don De Lillo. In attesa del suo riscatto, come ti spieghi che Ragtime non venga quasi mai citato da romanzieri e critici come pietra miliare della letteratura americana?

Ogni tanto mi è capitato di sentir citare non tanto questo romanzo quanto l’intera opera di E.L. Doctorow da qualche autore amico. Doctorow, dunque, non è del tutto dimenticato e c’è chi lo considera a pieno titolo uno dei grandi scrittori ame