Dentro un libro con Seba Pezzani – 4: Il Collezionista di Ossa (Jeffery Deaver)

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Il quarto capitolo di questa serie dedicata alle crime story americane ha come epicentro Il Collezionista di Ossa di Jeffery Deaver, pubblicato nel 1997 (BUR, pagg. 460, euro 11).

Scelto, come d’abitudine da Seba Pezzani, il romanzo è una Formula Uno della suspense. Il primo che dà l’avvio alle avventure di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs.

Jeffery Deaver è un autore che conosci molto bene, anche personalmente. E so che è uno scrittore molto nelle tue corde. Perché hai scelto proprio questo romanzo?

Perché è un caposaldo della letteratura di genere, il romanzo che ha dato il la alla carriera del suo autore e che, in qualche modo, ha creato le basi per una svolta “forense” del thriller internazionale.

La figura di Lincoln Rhyme si erge sopra a tutti, questo mi dice la lettura de Il Collezionista di Ossa. Avevo letto di investigatori che risolvevano il caso da casa, febbricitanti a letto (Maigret, Poirot), di non investigatori che scoprivano il colpevole (Hap & Leonard, Miss Marple), di librai che risolvevano il delitto prima della polizia (Victor Legris), ma un tetraplegico che fa luce su un killer seriale è davvero un crack, come dicono gli anglosassoni, non trovi?

Be’, come dice Jeff stesso, eravamo stanchi del classico investigatore privato o commissario di polizia aitante che sbaraglia il cattivo di turno a suon di schiaffoni. Lincoln Rhyme, parole ancora una volta testuali di Jeff, è “pure mind”, intelletto puro, una sorta di Sherlock Holmes moderno con qualche problema di deambulazione in più, un detective che ha la meglio sui malefici cattivi che incontra grazie alla finezza del ragionamento deduttivo e a una conoscenza minuziosa delle tecniche scientifiche di investigazione.

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Seba Pezzani e Jeffery Deaver

Le sue braccia e le sue gambe sono quelle dell’agente di Amelia Sachs. Lo trovo un ruolo molto drammatico. Pagina dopo pagina diventa la sperimentazione di Rhyme, dovendo in pratica trasformare lei stessa nel collezionista di ossa, un alter ego che permetta a Rhyme di conoscerlo il più possibile nell’intimo. Come consideri questo personaggio?

È quasi un topos classico, almeno per il genere, che un investigatore abbia un collaboratore che ne completi i tratti e ne smussi le asperità. Pensiamo a Poirot con Hastings, a Holmes con Watson, a Nero Wolf (quest’ultimo molto vicino per certi versi a Rhyme) con Archie Goodwin. In più, nel caso di Amelia, fin dalla prima avventura si stabilisce una tensione erotica che prelude a una vera e propria storia d’amore con Lincoln e che dona alla serie una dimensione che ne rafforza la credibilità umana.

A un certo punto, quando ormai la storia è entrata nel vivo, Lincoln Rhyme e Amelia Sachs si abbandonano in una discussione sul suicidio. È un momento molto forte. Come lo inquadri nella cornice del romanzo?

Come dice sempre Jeff, una bella storia noir non è una grande storia se non contiene elementi di vita umana vera. A quale tetraplegico non è mai passata per la testa l’idea del suicidio o, comunque, la disperazione più cupa? Deaver è interessato a creare suspense, ma, in certi casi, la tensione emotiva cresce se alimentata da tematiche complesse.

Nei tuoi incontri con lo scrittore hai mai avuto modo di parlare del romanzo?

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Jeffery Deaver

Jeff e io siamo amici e, solitamente, tra noi non parliamo di lavoro.

Lui che persona è?

Un uomo estremamente generoso e disponibile con tutti, animato da una profonda curiosità per il mondo e da un’inesauribile voglia di vivere. Oltre che persona simpaticissima e dotata di grande cultura.

Sarebbe da chiederlo a lui, ma ci provo con te: da che cosa pensi sia partito per annodare tutti gli elementi della storia? Te lo chiedo perché non mi pare che uno scrittore della sua sensibilità abbia avuto l’elementare intenzione di offrire un assassino talmente brutale.

Nasce tutto dall’intenzione di creare una storia che incolli il lettore alla poltrona finché non ha finito di leggerla. Come spesso succede, si parte da una piccola domanda: che succede se sali a bordo di un taxi e, all’improvviso, le portiere si chiudono e il conducente ti porta in un posto lontanissimo dalla destinazione scelta? Da lì in poi è tutta questione di pianificazione della trama.

A proposito del collezionista. Una tipologia di assassino seriale che ti ha convinto?

Ovviamente, i personaggi finiscono sempre per essere leggermente sopra le righe, ma è pure vero che la realtà supera sempre l’immaginazione. Certo che mi ha convinto.

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E dal punto di vista della scrittura?

Jeff non concede mai nulla alla “poesia”. Non si considera un autore di romanzi “letterari” ma di romanzi di suspense. Tutto ruota intorno a quella parola: “suspense”. È quasi un’ossessione per lui: ogni singola parola di ciò che scrive è orientata a creare suspense, tensione emotiva. Conoscendolo bene, so che non inserirebbe mai una sola parola (figurarsi una scena o un capitolo) che non siano funzionali a quell’obiettivo. Ma so che saprebbe scrivere benissimo molti altri tipi di storie. Ha peraltro anche scritto poesie e canzoni.

Come si colloca Il Collezionista di Ossa nella vasta bibliografia deaveriana?

A mio avviso, resta il suo libro migliore, insieme a La sedia vuota, un altro capitolo della saga di Lincoln Rhyme. È il romanzo che lo ha reso celebre (complice anche il bel film che ne è stato ricavato) ed è quello che ha fatto di Jeff un maestro innovatore nel genere.

Hai notizie su come è stato accolto il romanzo negli States?

È stato accolto benissimo. Gli USA sono il suo primo mercato numericamente, anche se l’Italia è forse il paese che, in proporzione, lo ama maggiormente.


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