Dentro un libro con Seba Pezzani – 1: Una Canzone per Bobby Long (Ronald Everett Capps)

Con questo articolo prende il via una serie di appuntamenti sulla letteratura americana. Nella forma a due voci. La fortuna e il privilegio sono quelli di conversare con un eccellente conoscitore della materia. Autore, musicista, organizzatore di eventi che intrecciano la parola alla musica e soprattutto da tanti anni traduttore di celebri nomi della letteratura dagli States, così come di scrittori meno conosciuti al grande pubblico, Seba Pezzani è quanto di meglio potessi chiedere.

La scelta dei titoli è sua. Si parte con Una Canzone per Bobby Long di Ronald Everett Capps, uscito in Italia per Mattioli 1885 e tradotto appunto da Pezzani.

 Cosa ti ricordi del tempo in cui fosti impegnato a tradurlo?

Be’, ricordo più che altro come sono arrivato a tradurlo. Grayson Capps era impegnato in un concerto nella bassa parmense, nell’ambito del festival Roots & Blues & Food Festival, e io chiesi agli organizzatori, miei amici, di “prestarmi” un musicista per una festa della comunità di recupero presso cui prestavo volontariato. Mi “prestarono” Grayson e

Seba Pezzani

l’indomani mattina lui mi telefonò dalla stazione ferroviaria della mia città, Fidenza, per chiedermi se sapevo come fare per farlo arrivare alla Malpensa, visto che c’era uno sciopero generale dei treni di cui nessuno lo aveva avvisato. Per farla breve, non essendoci altro sistema, lo portai a Malpensa in macchina e, nel tragitto, saltò fuori che era stato suo padre a scrivere il libro da cui era stato tratto il film. Me ne feci mandare una copia, lo lessi e mi piacque un sacco e impiegai pochissimo a convincere Mattioli 1885 della necessità di pubblicarlo.

Che tipo di scrittura ha Capps?

Classicamente sudista. Elegante e informale al tempo stesso, sempre velata di sana ironia.

Io sono rimasto affascinato dalla potenza dei due protagonisti, Byron e Bobby. Se devo ricordare due personaggi così dirompenti nella storia della letteratura io sparo alto e cito Vladimiro ed Estragone del Godot di Beckett.

Ronald Everett Capps

È possibile che nelle letture di Ronald Everett Capps ci sia anche quello. In fondo, lui non fa mistero di essere stato influenzato dal dramma teatrale Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams.

Agiscono un po’ come Mr. Wolf di Pulp Fiction. Risolvono problemi. Non proprio in maniera eccellente i loro, alla grande quelli di Hanna verso la quale dimostrano una generosità assoluta. Può andare?

Sì, certo. Diciamo che la generosità e l’interesse (nel tentativo di far colpo sulla giovane) vanno a braccetto.

Proprio Hanna. È un collante altrettanto perfetto. La vedo come l’ago della bilancia che riesce a mantenere in equilibrio due vite che avevano ormai deciso in silenzio di evitare di dedicarsi a qualunque cosa che toccasse le loro indubbie capacità.

Sono d’accordo. In qualche modo questo è un romanzo di formazione (anche se Hanna è più smaliziata di quanto sembri e non più una bambina) e pure un romanzo sul crepuscolo della vita, con l’aggiunta di una vena di speranza che non guasta.

Hanna non è in grado di trovare il giusto termine per parlare dei due uomini. Quando ne parla con Dede ad

Scarlett Johansson, “Hanna” nel film tratto dal romanzo

esempio non può limitarsi a definirli barboni o alcolizzati. Sono parole che usa, certo, ma ogni volta sente che deve aggiungere sempre qualcosa per esprimere la gratitudine, la compassione, il rispetto e perché no, l’ammirazione vero di loro.

Perché un romanzo per essere convincente non può non contenere elementi di realtà anche nelle storie più fantasiose.

La ragazza mi sembra anche una sorta di offerta di redenzione del destino. I tanti sforzi per convincerla prima e aiutarla poi a prendersi un diploma, il bel numero di libri che le permettono di diventare più consapevole dei suoi mezzi sono le prove di una vita più ricca anche per loro stessi, non trovi?

Assolutamente. I due personaggi scorbutici e un po’ sporcaccioni non risulterebbero altrettanto interessanti. E, comunque, non è raro imbattersi nella vita in persone anziane che si prendono a cuore la sorte di giovani con i quali magari incrociano il cammino per caso.

A me risulta persino gradevole il continuo riferimento al sesso, il linguaggio con cui è espresso, i tentativi dei due di avere un rapporto con Hanna, gli sguardi verso le studentesse dei college. Capps non sbraca mai e non è facile mantenere il livello del tema nel suo alveo di gioco tra due vecchi fuori dai giochi.

Scarlett Johansson e John Travolta in una scena del film

L’equilibrio tra ironia ed esagerazione va sempre preservato, altrimenti il rischio è di scadere nella volgarità. Io credo che sia un tratto che Capps e Lansdale, per esempio, condividono. Forse, è nel DNA di certi scrittori del Dixie.

Tornando a Godot. I goffi tentativi di Byron e Bobby di vedere Hanna non sono una continua attesa di una rivelazione che è e resterà sempre solo nel sogno delle loro teste?

Questo non lo posso sapere, ovviamente. Bisognerebbe chiederlo all’autore.

Le vite di Byron e Bobby. Un bel casino per il lettore. Mi spiego. A volta ho avuto la sensazione che si tratti di una serena accettazione del presente, il piacere esclusivo di far parte della famiglia umana, insomma il godimento della giornata che va come va. Altre volte l’innocenza perduta mi dà la sensazione di essere dentro a una pentola dove bollono la nostalgia, la dimessa frustrazione di non aver combinato niente, la malinconia. Che sensazioni ti hanno lasciato la traduzione e la lettura di questo romanzo?

Quando leggo un romanzo, non mi pongo particolari obiettivi. Mi deve piacere, mi deve divertire, mi deve commuovere e, soprattutto, deve far sì che il tempo scorra senza che io me ne accorga. Credo che questo romanzo sia riuscito in tutto.

Che cosa pensi del titolo? È stato accolto quello del film, ma non mi pare appropriato. Insomma, Bobby Long non è il maestro della scena.

No, però credo che sia stato la scelta inevitabile. Anche perché “Off Magazine Street” per l’italiano medio non avrebbe significato nulla. E, comunque, in qualche modo il romanzo è nato dalla canzone A love song for Bobby Long, se non sbaglio. E dare un senso di continuità con la musica mi pare sensato.

A proposito del film. Io non l’ho ancora visto e appena posso cancello la mancanza. So invece che lo hai visto tu. Che giudizio ne dai?

A me è piaciuto parecchio e, se non ricordo male, ho visto il film prima ancora di aver letto, e tradotto, il romanzo. Il libro, come spesso succede, è di gran lunga superiore, anche perché la prima metà del romanzo praticamente nel film si riduce a un paio di battute, mentre ha un ruolo importante nella vicenda. Io credo che gli attori siano ottimi e che riproducano pure bene l’accento sudista, nella versione originale, si intende). Un libro è un libro, un film è un film. Sono due bestie diverse. Raramente un film eguaglia la bellezza di un romanzo da cui è tratto. Più spesso ne deprime i valori. Però, tutto sommato, mi pare un prodotto ben fatto e godibile.

A proposito della traduzione del titolo, al di là di questo specifico libro, qual è la tua posizione? Il cercare di interessare il pubblico è l’unico criterio da seguire?

Io non ho posizioni al riguardo. Posso suggerire un titolo e solitamente, quando lo faccio, cerco di aderire per quanto possibile all’originale. Ma la scelta finale spetta all’editore che, spesso, ricorre a soluzioni bizzarre. Ricordo solo quando tradussi Waltz of shadows di Joe Lansdale e pregai l’editore di mantenere l’originale, Il valzer delle ombre, che mi pareva molto suggestivo. Non vi fu verso. L’editore fece uscire quel romanzo come Il valzer dell’orrore, un titolo orrido e che nulla ha a che vedere con la sua storia.


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