Non che passò sottotraccia o non venne capito. Semplicemente venne dimenticato. A fine 1990 Joni Mitchell consegnò alla Geffen i nastri delle registrazioni finali del suo nuovo album Night Ride Home. Che uscì il 19 febbraio 1991 negli States e il 5 marzo nel resto del mondo.
Il passaparola tra gli appassionati e i giudizi dei critici (per quanto queste ultime possano valere) furono unanimi. Entusiasmo alle stelle. La raffinata folksinger era tornata con i suoi toni calmi a raccontare storie private, la sua chitarra acustica aveva ripreso il centro della scena, la voce calibrata e cristallina come non mai. Insomma la sua musica aveva ripreso a percorrere i sentieri della terra.
E anche la classifica aveva dato il suo responso. Night Ride Home conquistò ottime posizioni, fatto che di per sé non è sinonimo di qualità artistica ma che in questo caso si dimostrava una bella eccezione alla regola generale. Joni Mitchell non aveva rincorso il gusto degli ascoltatori, fu una buona parte di questi ultimi a rimanere affascinata dalla luce che il disco emanava.
Un disco di cui presto però si persero le tracce. Vero è che nella modernità niente dura tanto, ma nel corso degli anni neanche il tempo riuscì a recuperare la memoria di queste dieci tracce, parti uniche ed elementi di una squadra che raramente sarebbe stata rispolverata quando ci sarebbe stato da citare i due o tre titoli da considerare imperdibili nella carriera della musicista canadese.
Notturno ritorno a casa
Eppure, a distanza di trent’anni l’ascolto di Night Ride Home non manca di ricreare l’eco di una bellezza che non ha eguali. La notte del titolo non suggerisce nulla di nero ma porta alla suggestione del silenzio, la consapevolezza che questa è la parte del giorno in cui la parola si sussurra.
La struttura delle composizioni è ferma, quanto la sostanza degli abbellimenti e la produzione stessa. La scrittura è asciutta, volutamente a levare forse perché la malinconia e l’amarezza richiedono essenzialità e rigore per risultare autentiche.
Girate le spalle a tre quarti all’elettronica degli ultimi album precedenti e alle sperimentazioni, Joni Mitchell si esprime con un suono acustico, intimo e privato in cui gli spruzzi della tecnologia applicata alla musica giocano solo un tenue ruolo di supporto.
Le liriche parlano di abusi sessuali subite da un’amica d’infanzia (Cherokee Louise), di notti al chiaro di luna alle Haway (la titletrack), di affaristi e speculatori (The Windfall – Everything For Nothing), di relazioni a tutte le età (Come In From the Cold), si ascoltano i grilli frinire tanto per sottolineare che qui impera la Natura, si riprende W.B. Yeats (Slouching Towards Bethlehem), di nostalgia (Ray’s Dad’s Cadillac), di memorie in un diario di viaggio (The Only Joy In Town) e per creare il suono solare e caloroso di cui ha bisogno l’autrice gira attraverso variazioni sulla tonalità in Do maggiore avvalendosi di accordature aperte.
Romanticismo rarefatto
Il bilanciamento tra l’investigazione privata e la rabbia sociale è perfetto e così pure quello tra rinnovo della tradizione e le frontiere che la tecnologia musicale è in grado di aprire. Si percepisce un che di romanticismo perduto nelle tracce del disco, ma è talmente rarefatto che sembra che la musicista abbia quasi avuto timore che un passo oltre l’essenzialità la avrebbe potuta condurre a quel minimo sentimentalismo così nefasto all’interno dell’intera opera.
Molto è palleggiato tra il canto da contralto di Joni Mitchell, la sua chitarra jazzy e il fraseggio del basso a cinque corde del marito e produttore Larry Klein. La pedal steel di Bill Dillon o il sax soprano di Wayne Shorter aggiungono colore, la ritmica procede senza alcuna stranezza d’avanguardia. Ecco, la notte colorata e solare è servita. Purtroppo l’uomo moderno, ancorché predigitalizzato, conserva poca memoria.
Night Ride Home
Artista Joni Mitchell
Tipo album Studio
Pubblicazione Usa 19 febbraio 1991
Durata 51:32
Etichetta Geffen Records (GEFD-24302)
Registrazione Bel Air al The Kiva; Hollywood al A&M Studios e One on One Studios
Tracce
Brani scritti e composti da Joni Mitchell, eccetto dove indicato.
- Night Ride Home – 3:21
- Passion Play (When All the Slaves Are Free) – 5:25
- Cherokee Louise – 4:32
- The Windfall (Everything for Nothing) – 5:15
- Slouching Towards Bethlehem – 6:54 (B. Yeats (testo); Joni Mitchell (musica)) – (Da un poema di W.B. Yeats)
- Come in from the Cold – 7:31
- Nothing Can Be Done – 4:53 (Joni Mitchell, Larry Klein)
- The Only Joy in Town – 5:11
- Ray’s Dad’s Cadillac – 4:33
- Two Grey Rooms – 3:57
Musicisti
- Joni Mitchell – chitarra acustica, voce, tastiere, pianoforte
- Larry Klein – basso, percussioni
- Bill Dillon – chitarra pedal steel
- Alex Acuña – percussioni
- Wayne Shorter – sassofono soprano
- Vinnie Colaiuta – batteria
- Karen Peris – accompagnamento vocale, coro
- David Baerwald – voce
- Bill Dillon – chitarra
- Brenda Russell – voce
- Jeremy Lubbock – arrangiamenti strumenti ad arco, conduttore musicale
Note aggiuntive
- Joni Mitchell e Larry Klein – produttori
- Paula Max Garcia – assistente alla produzione
- Registrato e mixato al The Kiva di Bel Air, Los Angeles, California, registrazioni aggiunte effettuate al A&M Studios ed al One on One Studios di Hollywood, California
- Dan Marnien – ingegnere delle registrazioni e del mixaggio
- Tony Phillips – ingegnere aggiunto delle registrazioni
- Steve Churchyard – ingegnere aggiunto delle registrazioni
- Julie Last – ingegnere aggiunto delle registrazioni
- Paula Max Garcia, Julie Last, Kristen Connelly, Jim Hill e Bob Voight – assistenti ingegneri delle registrazioni
- Henry Lewy e Richard Cottrell ingegneri delle registrazioni nel brano Two Grey Rooms
- Mike Shipley – mixaggio
- Julie Last ingegnere del mixaggio nel brano Night Ride Home