Manuel Civitillo: Chi ha paura della digital life?

Copertina Ristampa fase=1Si può nascere a Benevento e mettersi a parlare la stessa lingua di Philip Dick. Stessa grammatica dell’esistente, uguale colore del tono, medesime fobie, identiche visioni di un futuro che abbastanza presto bussano nel cervello per dirti: «Amico, non ci stai capendo niente, ti sto parlando del presente!».

Manuel Civitillo, classe 1982, spostamento di 250 km direzione nord, la Capitale, dove da quasi tre lustri si guadagna il suo tempo come regista e montatore video, con programmi targati Rai e Discovery Channel.

Con scienza, tecnologia, letteratura e cinema al centro dei suoi interessi, ha fatto segnare con Backup §digitalife – fase 1 (EKT-Edikit) il suo esordio narrativo. Un romanzo dall’impostazione sperimentale per come vive sull’intreccio e condivisione esclusivamente di testi digitali che ne fanno la narrazione. Una storia ambientata nell’Italia del 2034 con una prospettiva che, se forse oggi risulta ancora distopica nel suo respiro avanguardistico, è lecito pensare che tra 15 anni non sarà altro che la sintesi di tutto ciò che è come dovrebbe essere e come sarà.

Per niente facile trovare le parole e sapere come metterle per tessere e cucire un romanzo del genere. Il rigore con cui la vicenda è narrata ci induce a pensare che una voce del genere abbia tutte le carte per ricavarsi un bel posto nella fantascienza contemporanea.

La nostra chiacchierata.

Che cosa l’ha spinta a scrivere una storia come Backup §digitalife composta esclusivamente dall’incrocio di e-mail, chat, Whatsapp, articoli digitalizzati, take d’agenzia?

«Erano un paio di anni che avevo in testa di scrivere una storia incentrata sul nostro rapporto con le tecnologie della comunicazione. Dopo un po’ di riflessioni ho capito che il modo migliore per farlo fosse quello di adottare lo stesso linguaggio di queste tecnologie, includendo tutte quelle sfaccettature che, con l’ingresso nelle nostre vite del web e degli smartphone, hanno influenzato anche i contenuti della nostra comunicazione quotidiana. E poi è subentrata la sfida con me stesso: sarà possibile scrivere un romanzo strutturato come un backup di file?»

Come e in quanto lo ha scritto?

Foto profilo quadrata
Manuel Civitillo con la prima edizione del romanzo

«Backup §digitalife non è mai stato un romanzo nel cassetto. Ho avuto la prima idea nel febbraio 2016 e ci ho lavorato nei ritagli di tempo per un anno e mezzo. Dopo aver buttato giù la prima idea, ho passato una prima fase a studiare: intelligenza artificiale, informatica quantistica, trans-umanesimo. Addirittura ho intervistato un esperto di hacking, di cui non divulgherò mai le generalità, per dare più credibilità alla trama. Ad agosto 2017 era pronta una prima stesura che ho mandato subito alle case editrici. Diciamo che ne ha sofferto un po’ la mia vita sociale, ma l’impegno mi ha ripagato.»

Encefalizzazione Collettiva Disfunzionale da Emozioni Sintetiche, più popolarmente conosciuta come “sindrome del mollusco”. Una sua invenzione. Non pensa che manchi poco perché possa essere rubricata come citazione del reale?

«Spero proprio di no! Non lo auguro alla nostra società, ma la strada che stiamo prendendo è quella di vivere le nostre emozioni attraverso uno schermo. La sindrome che ho inventato per il romanzo è fantascienza, eppure oggi filtriamo l’empatia attraverso un dispositivo elettronico. Si potrebbe già affermare che le emozioni stiano diventando sintetiche e in quanto tali più povere. E questo potrebbe avere conseguenze sulla nostra psiche. Dobbiamo stare attenti.»

Ha chiamato Sheldor l’AI più intelligente, il cognitive supercomputer. Il riferimento a Big Bang Theory è chiaro. Quale il suo rapporto con le fiction?

«Ne sono un discreto divoratore, soprattutto se sono storie di fantasia. La possibilità di estremizzare alcuni aspetti della nostra vita, come la tecnologia nel caso della bbtheoryfantascienza, dona agli autori un strumento talmente potente da riuscire a evidenziare caratteristiche della natura umana che nella realtà rimarrebbero nascoste. E questo vale anche per fiction più “realistiche”, come può essere una serie tipo Breaking Bad. Per rievocare vicende realmente accadute, mi viene in mente Romanzo criminale, preferisco guardare un documentario o leggere un saggio. Big Bang Theory è un caso a parte. Avendo come cardine la cultura nerd e quindi serie, film, fumetti e videogiochi, la considero una meta-serie e arriva a farci da specchio.»

Pagina dopo pagina a me è venuta in mente anche The Machine, la divinità tecnologica di Person of Interest. Ma anche lei si raffigura un mondo dove a decidere saranno le macchine in piena coscienza?

«Penso che le macchine debbano essere di supporto alle decisioni prese dall’uomo e non sostituirlo. Nell’ultimo racconto nell’antologia Io, Robot, Asimov ha descritto un super computer che aiuta ad amministrare le nazioni della Terra, lasciando però abbastanza libero arbitrio ad alcuni umani al fine di sbagliare e auto-eliminarsi dalle cariche politiche che ricoprivano. Credo che aver coscienza delle proprie azioni sia l’unico modo per l’umanità di progredire in una società migliore.»

AIAl centro della storia c’è la Dichiarazione dei Diritti della Digitalife, il che presuppone un popolo di artificiali pensanti. Pensa che arriverà un momento in cui si dovrà prendere in considerazione il rapporto tra umani e non umani da una reciproca posizione autonoma?

«Difficile a dirsi, i progressi nel campo delle IA sono ancora ben lontani dalla nascita di entità digitali realmente pensanti. Forse ci arriveremo, ma intanto dovremmo già discutere del rapporto con le attuali IA di cui ci serviamo. Intendo i Big Data di Google e Facebook oppure le self-car, ovvero le auto che si guidano da sole. La domanda centrale su queste ultime è a chi una self-car dovrebbe dare priorità di vita in caso di un incidente imminente, se ai passeggeri del veicolo o all’eventuale pedone. Un auto che si guida da sola è uno strumento e siamo semplicemente noi a decidere che cosa fargli fare, non possiamo delegargli l’atto di scegliere sulla vita degli altri.»

Molta della comunicazione tra i personaggi avviene attraverso l’incrocio di messaggi sui social. Pensa che Twitter e i suoi fratelli condizioneranno il metodo di scrittura degli autori nel futuro?

«Perché, non lo fanno già? Negli ultimi tempi ho letto libri di giovani autori, proprio per entrare in contatto con uno stile diverso, e ho notato una minore lunghezza delle frasi prediligendo uno stile più sintetico e incalzante, certe volte fin troppo asciutto. Che sia il bisogno di tenere alta l’attenzione e la paura di annoiare tipica del web? Oggi ci sono strumenti online di analisi del testo che ti bacchettano se scrivi frasi troppo lunghe o se usi poche parole di transizione come soprattutto, perché, quindi. È un bene che ci siano strumenti che aiutano a scrivere testi più scorrevoli, ma il rischio è quello di uniformarsi nello stile a un solo tipo di comunicazione. D’altro canto il web è una fonte inesauribile di stimoli e possibilità di confronto tra autori. Alla fine arrivo sempre lì, alla coscienza delle proprie azioni.»

 La sua impronta di scrittura non mi porta a pensarla eccessivamente tenero coi nativi digitali. Pensi di poter essere ascoltato: che consigli si sentirebbe di dar loro?

«Più curiosità negli strumenti tra le loro mani. Vedo nativi digitali avere grande cybercompetenza nell’uso delle app ma fermarsi al primo problema che richiede una conoscenza più profonda dell’informatica. Penso che sia dovuto molto dal fatto che gli smartphone tendono a tenere nascoste le loro viscere informatiche, nel senso che rendono difficile l’accesso ai file di sistema in nome della facilità d’uso. Ci sono problemi però che puoi risolvere soltanto curiosando dentro la tecnologia e improvvisando soluzioni di fortuna. E questo si ripercuote anche negli altri aspetti della vita, è fondamentale potersi costruire delle nuove strade. In alternativa mandi il tuo cellulare in assistenza e spendi soldi. Mi sembra di intravedere uno schema commerciale.»

Ipotizzare un universo senza web. Forma mentis rivoluzionaria o reazionaria?

cyber 3«Assolutamente reazionaria. Il web è un traguardo e un punto di partenza per la società: disponibilità di informazioni, confronto, memoria del passato. Tornando indietro si perderebbero troppe cose. Come ogni strumento ha bisogno di un periodo di rodaggio e calibratura. Di lavoro ce ne è ancora tanto da fare.»

Nel romanzo a un certo punto cita Julian Assange. Che giudizio dà del personaggi o e dell’affaire che ne è scaturito attorno?

«Assange è un rivoluzionario molto furbo. Invece di nascondersi dietro nickname o maschere, al fine di inseguire i propri ideali si è sempre messo in gioco in prima persona diventando quasi un martire della libertà di informazione. Ma temo che l’opinione pubblica sia più interessata a seguire la sua vicenda come personaggio che alle informazioni che ha portato alla luce.»

Vedo nella sua distopia narrativa un’empatia con Philip Dick. Vedo male?

philip dick
Philip K. Dick

«Benissimo, direi. A differenza di altri scrittori dello stesso tempo, le storie di Dick sono sempre state incentrate su un approccio critico della società più che sulla spettacolarizzazione di una fantascienza fatta di incredibili astronavi e misteriosi alieni. Rispetto ad Asimov, Dick filtra la sua visione del futuro con la sofferenza dell’animo umano per narrare le morbosità più profonde che lo scuotono. La profondità di papà Dick è per me grande ispirazione. A mamma Asimov devo il fascino della logica.»

Lei non è ancora uno “splendido quarantenne”, per dirla alla Nanni Moretti. È un giovane a tutti gli effetti. Eppure, pensa che di questa giovane realtà tecnologica ci sia già qualcosa che inizia a sfuggire anche alla sua capacità di comprensione?

«C’è un aspetto della frontiera tecnologica che continua a sfuggirmi, vale a dire tutto quello che ruota intorno alle criptovalute come i Bitcoin e alle Blockchain su cui sono costituite. Il valore di queste monete si regge su qualcosa di davvero utile o è solo frutto di una speculazione economica che si scioglierà come neve al sole?»

Quali gli autori e le letture che l’hanno accompagnata in questa sua prima prova narrativa?

world war z«Di Asimov e Dick ho già parlato e per me rappresentano la base adolescenziale su cui sono cresciuto. Due libri più recenti sono stati fondamentali: L’uomo di Marte di Andy Weir, da cui è stato tratto il film The Martian, e World War Z di Max Brooks. Ho apprezzato il primo per aver incentrato la trama su aspetti molto scientifici, il secondo per aver strutturato il racconto come una serie di interviste fatte a posteriori ad alcuni protagonisti della storia. In entrambi i casi ho trovato un tale rigore nella narrazione da spingermi a dare il massimo nella scrittura di Backup §digitalife

In un’ipotetica trasposizione fiction o filmica del romanzo. Quale la colonna sonora più appropriata?

«Tra le pagine accenno a un gruppo che si chiama Collettivo CHIPematiko, legato a centri sociali dove si cerca di portare avanti l’analogico quanto il digitale. Mi immagino una colonna sonora che possa richiamare quell’ambiente underground con sperimentazioni analogico/digitali, gruppi come gli Oneida, The Ex e magari una rivisitazione dei Kraftwerk.»

La copertina riporta l’indicazione “fase 1”. Ci può anticipare qualcosa della fase successiva?

«Nell’anno e mezzo di scrittura ho elaborato tutta la trama di una saga che mi terrà impegnato per un bel po’. Ogni capitolo racconterà circa un mese degli avvenimenti della storia e saranno distanti tra loro alcuni mesi per permettere a eventi e personaggi di chat denielevolversi. Fase = 2 è ambientato nel marzo 2035 e vedrà la storia varcare i confini italiani per diventare sempre più di carattere internazionale. Inoltre personaggi secondari, come la giornalista Sibylle, avranno più spazio andando ad arricchire la trama di nuovi intrecci. Fino all’ultimo volume ci saranno continue evoluzioni, ve lo assicuro.»

Un giorno, e solo per un giorno, la rete improvvisamente non le funziona. Lei cosa fa: a) va al pronto soccorso in preda all’angoscia; b) chiede a una “nocciolina” del suo giro di tirarle su il morale; c) va a farsi una birra.

«Chiedo a una “nocciolina” del mio giro di venire a bere una birra e poi si vedrà.»

 

 

 


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