Andreina Grieco, il fantasy ha il sapore dell’Oriente

thumbnail_aPiù che un genere letterario il fantasy è un modo di essere, un profilo obliquo attraverso il quale uscire dalla realtà materica della contemporaneità per viverla da un lontano punto d’osservazione e di cammino dove tutto è vestito in modo diverso e dove tutto suona in modo antitetico.

Il genere vanta un esercito planetario che, per chi mastica Games of Thrones, è paragonabile alla massa dei non-morti. In Italia la scuderia di autori emergenti si impreziosisce di una nuova penna, Andreina Grieco, 35 anni, (radici a Salerno e stanza a Milano, dove lavora come programmatrice), che per la combattiva Edikit, lo scorso anno diede alle stampe Yohnna e il Baluardo dei Deserti, avvincente storia ambientata in Siria che gira attorno a quattro personaggi sempre in bilico tra bene e male che la arricchisce nella più autentica forma che ci ha tramandato la tradizione fantasy.

Il suo romanzo ci rimanda, non fosse che per la sua ambientazione storico-geografica, a Le Mille e una Notte. Che posto ha nella personale libreria questa mitologica raccolta di novelle?

51121476_2060832530703304_2585258840028213734_n«Le Mille e una Notte? Rimasi folgorata quando lo lessi la prima volta. Per le sue ambientazioni così diverse dalle nostre, per il senso di onore e rispetto degli eroi arabi, per i personaggi femminili molto più forti di quello che possiamo pensare. E soprattutto per la mitologia dei Jinn. Nella narrativa occidentale sono spiriti benevoli che esaudiscono desideri, mentre nel libro tentano continuamente di fregarti o di ammazzarti. Il mio Jinn, Horèb, cerca di fare entrambe le cose.»

Ha scelto di narrare la storia del giovane arrotino Yohnna utilizzando la voce dello stesso protagonista e non l’io-narrante dello scrittore. Una scelta prettamente stilistica, uno strumento narrativo più funzionale per portare il lettore più facilmente sul luogo del romanzo o c’è dell’altro?

«La prima persona è da sempre la mia scelta preferita e questa storia poteva essere scritta solo in questo modo. Solo vedendo le cose dal punto di vista di un ragazzo umile possiamo capire con che genere di creatura si stia rapportando. Soprattutto la differenza di stazza è una cosa che mi diverte molto. Inoltre, quando c’è il cambio di prima persona da Yohnna al Jinn volevo che il lettore rimanesse in qualche modo spiazzato per la presenza di un narratore completamente diverso, dotato di un lessico forbito, attento solo a se stesso e psicopatico. Potrei dire che è stato difficile calarsi nei panni di un personaggio sociopatico, ma no, non lo è stato per niente. La scrittura per me è schizofrenia legalizzata.»

L’ambientazione in terra siriana nasce dal suo interesse per la cultura araba. Cosa conferisce a una storia come quella che ha voluto raccontare questa parte di mondo?

«La prima idea di questa storia è nata in un periodo antecedente al conflitto in Siria. Avevo scelto la Siria per il suo deserto composto anche da rocce e cespugli in cui il protagonista poteva nascondersi e per il suo clima tollerante in epoca medievale anche verso comportamenti lontani dall’Islam. Il mio protagonista ammette di bere, cosa palmiraimpensabile in altri luoghi dell’epoca. Dopo lo scoppio del conflitto, con una delle città distrutte, Palmira, da cui avevo preso ispirazione, l’ambientazione siriana ha assunto per me una nuova valenza, un modo per ricordare la cultura di quella terra nella speranza che ritorni come fu un tempo. Inoltre ritengo di aver inserito nel libro un messaggio anti-razzista in difesa della cultura musulmana troppo spesso equiparata sic et simpliciter al terrorismo.»

Qual è stato il suo metodo per scrivere Yohnna e il Baluardo dei Deserti?

41Rfk4N7V3L«Anni fa buttai giù le bozze sia del primo sia del secondo libro, una buona base che tuttavia non mi soddisfaceva. Poi decisi di affrontare la riscrittura con metodo scientifico, attenta ad affrontare, uno per uno, i problemi che venivano fuori capitolo dopo capitolo. Io non lavoro in ordine cronologico e se la cosa stupisce molti a me stupisce l’ordine con cui procedono molti scrittori. Scrivo ancora tutto a mano perché trovo che la carta sia la miglior fonte di ispirazione. Per progettare una scena uso un metodo cinematografico: scrivo prima i dialoghi, poi tra un dialogo e l’altro butto giù una sorta di storyboard sui movimenti dei personaggi in quella scena e infine do corpo alla scena stando attenta a inserire descrizioni emozionali e a scatenare tutti e cinque i sensi del protagonista.»

Come e quando nasce la sua passione per il fantasy?

«Penso che la metà degli scrittori miei coetanei sia cresciuta con Harry Potter. Creare un mondo da zero in cui perdersi è il sogno di tutti. Non dimentico inoltre i cartoni giapponesi di questo genere tipo Slayers. Di solito gli autori non lo dicono per paura di sminuire le loro opere, ma secondo me dagli Anime giapponesi si può imparare tanto. Ad esempio a rinunciare al manicheismo, visto che i personaggi della narrativa orientale non si dividono in buoni o cattivi. Inoltre il Giappone mette al primo posto il valore della costanza e del lavoro duro, doti imprescindibili per uno scrittore. Per finire, una certa dose di umorismo è ormai nel mio dna, mentre spesso nel fantasy ci presentano solo personaggi tragici.»

Quali gli autori e i titoli di genere che hanno formato il suo gusto?

«Ovviamente la saga di Harry Potter, poi i romanzi di Neil Gaiman col loro mix di fantasy e particolari disturbanti e infine Jonathan Stroud con la sua Trilogia di Bartimeus. Adoro george-martin-999x562anche Game of Thrones e ho studiato alcuni capitoli di Martin per capire i suoi trucchi su descrizioni e personaggi, ma è lontano dal mio tipo di fantasy. Preferisco pochi personaggi e libri brevi ma soprattutto saghe che finiscono.»

Quali, secondo lei, gli elementi fondativi di un buon romanzo fantasy?

«Un buon romanzo fantasy secondo me deve parlare di problemi reali sublimati da particolari fantastici. Restando alla mia storia, ad esempio Yohnna è un ragazzo che deve diventare uomo e il Jinn rappresenta gli ostacoli che un adolescente deve affrontare per maturare. Le difficoltà e le paure però possono essere anche affrontate venendoci a patti in qualche modo. Il percorso di Horèb è quello che tutti devono affrontare per liberarsi da una dipendenza, si parte con l’accettare di avere un problema prima di poter risalire.»

Il cliché è invece ancora l’ostacolo più evidente o ci sono pericoli più subdoli a cui deve sfuggire un autore?

«È difficile dare una risposta che tocchi tutti gli scrittori, ognuno conosce i propri difetti e ci lavora sopra. Per quel che mi riguarda le descrizioni mi fanno dannare.»

Spesso un buon successo conduce a una never ending story composta da un numero corposo di titoli. La serializzazione in una saga è proprio un approdo necessario?

«Yohnna sarà composto da due volumi semplicemente perché è nata così. Fuori da una visione puramente commerciale, è meglio non tagliare una storia se questa deve occupare necessariamente vari libri.»

locandina-italiana-di-harry-potter-e-l-ordine-della-fenice-208542Il fantastico resta ancora impero anglosassone?

«Assolutamente no, anche se gli anglosassoni partono avvantaggiati grazie a un mercato migliore.»

E in Italia come siamo messi?

«Ci sono parecchi autori fantasy in Italia e tante case editrici emergenti che si occupano del genere e sperimentano come Edikit, Plesio, Dark Zone, Astro Edizioni e NPS edizioni. Tra gli emergenti italiani, leggo volentieri autori come Alessia Palumbo e Rob Himmel. Alessia ha scritto a 25 anni una trilogia con migliaia di pagine, battaglie medievali ben studiate e decine di personaggi ben caratterizzati; inoltre si sforza di rispettare la sua tabella di marcia e pubblicare in breve tempo per non deludere i fan. Di Rob Himmel ho letto solo Le Lame Scarlatte, ma per la complessità della trama, il world building e il gran numero di personaggi non ha niente da invidiare agli autori anglosassoni. Le grandi case editrici invece ancora preferiscono affidarsi all’estero o ai soliti nomi.»

In un’epoca come quella contemporanea, appiattita sulla razionalità imposta dalla tecnica, come spiega questa attenzione popolare per un tipo di letteratura le cui carte sono magia, mistero, elfi, draghi, stregonerie, giganti, ippogrifi e spiritualità pagana?

«L’attrattiva del fantastico è osservare i problemi reali sotto un’altra luce, un mezzo per staccarci un po’ dalla quotidianità.»

Cosa ne pensa del fantasy che si cuce attorno alla figura dei vampiri?

«C’è stato un periodo di overdose sulla scia di Twilight, ma non ho niente contro il genere, anzi ne ho uno che leggerò a breve, La Leggenda degli Dei Maledetti di Marianna Malandruccolo, che tratta i vampiri in un modo diverso dal solito, collegandoli ai miti thumbnail_P_20190511_143150greci e romani.»

Fuori da questo mondo, c’è un’altra letteratura che ama frequentare o la sua attenzione è rapita in toto dal fantastico?

«Se dovessi cambiare genere passerei al giallo o al thriller, altri mondi che mi appassionano.»

Le note di copertina dicono che la cultura giapponese è l’altra sua passione. Nel suo prossimo romanzo volerà nella terra del Sol Levante?

«Per ora non credo, in un futuro chissà. Come ho già detto, il mio amore per il Giappone nasce dagli Anime ma anche dallo studio della lingua, che non sono riuscita ad approfondire come avrei voluto ma che comunque mi ha insegnato l’amore per le sfumature.»

9788862561389_0_221_0_75Il libro in assoluto che avrebbe voluto scrivere.

«La trilogia di Bartimeus di Stroud. Quando l’ho letta ho pensato che è proprio il mix tra fantasy, umorismo e azione che vorrei tanto raggiungere.»

A cosa arriverebbe per obliare la memoria del mondo sulla sua paternità ed esserne ricordata come la vera autrice?

«Potrei fare un patto con un Jinn, non con Horèb. A parte gli scherzi, non proverei gusto nel prendere meriti altrui, lo farei solo per sfruttare il successo per i miei libri.»

 


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