Impresentabile. Più maledetto e intollerante di Louis-Ferdinand Céline (di cui fu amico, biografo e polemista senza timore). Imperdonabile. Indifendibile. Antiegalitario e antiborghese. Disprezzatore di Atene ed esaltatore di Sparta. Urticante. Nemico dell’innocenza applicata alla massa e al singolo. Isolato. Insopportabile a ogni esaltazione della giovinezza e dei suoi rappresentanti. Utopistico e reazionario allo stesso tempo. Cinico e antisentimentale quando al centro del suo sguardo si mette a fuoco l’essere umano. Collaborazionista non pentito con condanna a morte sentenziata e poi commutata in esilio.
Robert Poulet, nato a Liegi nel 1893 e morto nel 1989 a un mese dalla caduta del muro di Berlino, fu il fratello maggiore del celebre critico letterario Georges, l’esperimento umano che accolse su di sé tutte le “storture” di pensiero e azione che poi il Caso non avrebbe potuto ripetere nel figlio successivo. Dall’ammirazione verso il fascismo all’adesione alle teorie razziste, dalla vicinanza all’anarchismo alle passeggiate tra dadaismo e cattolicesimo con la frusta. Il tutto, senza mai fare ara celebrativa di nulla e di nessuno.
I suoi libri contro la plebe, i giovani, l’amore, l’automobile bastano a definirlo il cavernicolo per eccellenza in una contemporaneità che si muove monogamba con il respiro del Pensatore Unico uscito dalla Normalissima Scuola del Politicamente Corretto. L’inclemenza verso l’esistente lo portò a sintetizzare l’oggetto del suo vivere, guardare e pensare con l’asciutto adagio «di noi se si conserverà la parola merda sarà una gran cosa».
Sono soprattutto le pagine contenute in Contro la plebe a incorniciare senza il minimo compiacimento il suo pensiero scorretto, inattuale, inconciliabile con la posizione delle belle anime che già avevano iniziato a crescere nella società a furia di slogan con cui riempivano di poesia il presente e di ottimismo il futuro. Questi tempi affrancheranno il popolino da ogni secolare catena, la plebe sarà sostituita da cittadini in tutto e per tutto consapevoli protagonisti nella nuova Era. Pie fantasie, rispose Poulet. L’essere umano, da bambino a vecchio, sarà in primis sempre un costo per le istituzioni. Più spesso un problema.
L’indifendibile pensatore vide in anticipo il conformismo universale verso cui la società in cammino sarebbe approdata, lo schiavismo dell’imposizione dall’alto della cultura civile, l’orrore della nuova vita popolare che si fa beffe dell’usanza moralizzatrice del rispetto dai e verso i propri vicini, la chimera della giustizia sociale e quella dell’egualitarismo tra le genti che compongono la società.
La plebe non scompare, anzi si rinforza perché è cresciuto negli anni post-guerra il materiale umano “che sta al di sotto un certo livello di sensibilità”, così sotto da non percepire “quasi più nulla al di sopra”. È plebe il popolo che dà di gomito per uscire dalla propria stimata condizione senza possedere gli strumenti per occupare il posto successivo (“niente è più volgare di un plebeo arricchito”), è plebe il borghese che abbandona le maniere del proprio status per dedicarsi unicamente a ciò che gli piace, con in pole position l’intellettuale la cui orazione pubblica impone di abbracciare il mito del proletariato (“Se si obbligassero tutti gli ‘intellettuali di sinistra’ a fare, prima di pronunciarsi, un soggiorno di due o tre anni nei campi o in officina, i più ricomparirebbero poi, in forma esasperata, nella condizione di ‘intellettuali di destra’. Che non è detto sia cosa più rispettabile, né più intelligente.”).
E fanno prova di plebe i miliardari, per il cattivo uso dei loro privilegi materiali, le élite che si prendono la “missione” di guidare il popolo (sempre verso grandi sventure) o lo adulano come via di fuga dal senso di colpa collettivo, ipocrisia prima che (vedi gli intellettuali sopra) non si spinge mai a vestirne per cinque minuti i panni. Con loro i contadini che, da veri gentiluomini come sono sempre stati, ora si vergognano di sé e si fanno chiamare coltivatori.
Poulet osserva l’egualitarismo, sociale e razziale, naufragare miseramente proprio quando il loro Zeit Geist è all’apice, la qualità umana incafonirsi zotica in milioni di turisti in ciabatte nell’intera vita quotidiana, l’effetto ultimo della Rivoluzione Francese svilirsi nell’immagine sacra di Brigitte Bardot, l’idealismo apportato dalla fede religiosa semplificato nella credenza esaltata del primo scemo pop ripreso da una telecamera.
Il mito dell’uguaglianza, scrive, “non ha avuto altro risultato fuorché trasformare modestie equilibrate in orgogli sbilanciati” e i grandi complessi urbani che accolgono migliaia di famiglie plasmano un’unica mediocrità umana dove il singolo prova orrore di sé e dei suoi simili. La teoria, chiosa, ci racconta che la vita umana è sacra, la pratica ci dice che invece dalla notte dei tempi non si è mai cessato di sacrificarla. Questa è la natura di chi vive il pianeta Terra. Per non vivere nell’indigenza siamo stati concepiti e ci siamo costruiti nel sangue. Poi, nel corso di questi ultimi secoli, si è via via composto il mantra per cui la plebe deve essere felice per compensarla di essere plebe, senza però mai spingere oltre l’idea di concepire “altra felicità fuorché quella di travestirsi da élite.”
Dopo quasi trent’anni dalla sua morte, oggi la voce della fogna di Robert Poulet da Liegi non smette di circolare nell’aria.
ROBERT POULET, THE CONTEMPORARY MOST STRAY VOICE
Unpresentable. More damned and intolerant than Louis-Ferdinand Céline (his great friend and biographer of him). Unforgivable. Indefensible. Enemy of equality and bourgeoisie. Irritating. Enemy of innocence applied to the mass and the whole mankind. Isolated. Unbearable towards each kind of excitement of youth. Utopistic and reactionary at the same time. Cynical and anti-sentimental. Not repented collaborationist whose death penalty sentence turned into banishment.
Robert Poulet, born in Liege in 1893 and death in 1989 just one month before the fall of Berlin wall, was the eldest brother of the literary critic Georges, the human experiment that came to light with all the kinds of storture the Fate would not reproduced again in the forthcoming son: fascist admirer, supporter of human race differences, anarchist, dadaist, catholic of the origins. Without celebrating none and nothing.
His books against plebs, youth, love and the car are enough to define him the excellent caveman in a Contemporary Age that walks on with the Politically Correct legs. His harshness toward what already exists lead him to summarize the matter of his observation with the dry adagio «if, about us, the word shit survives, it will be a great achievement.»
The book Contre la plèbe (Against plebs) frames in the perfect way his uncorrect thought, enemy of the new revolutionaries of the street who already had begun to shout slogans on the inescapability of their optimistic future. These times will free people from each centuries-old chain and the plebs will be substituted by aware citizens, key players of the New Era. Simple fantasies, Poulet answered. The human being, from childhood to old age, will be always a cost for the istitutions. More often a problem.
The unjustifiable thinker saw in advance the universal conformism the society on its way was leading to, the slavery of the civil culture imposed top-down, the horror of the new popular way of life that degrades the meaning of the respect from and to the others living among us, the chimaera called social justice and the fantasy of equality among people.
The plebs doesn’t vanish, it rather strenghtens itself because its members go on falling from the original point of sensitivity. Belong to the plebs people who fight to leave their condition without knowing what it is necessary to live one point above (“nothing is more vulgar than a pleb made rich”), it’s plebs the bourgeois who forgets the style of his status just to do always what it likes better (in pole position the intellectual who blabbers about the myth of the working class).
The same is for the billionaire men and women on account of the bad use of their material privileges, the èlite which think they have the mission to drive people (always towards ill-fated results) or fawn over the plebs as an escape route from the common guilt conscience, an hypocrisy that never reach the point to dress for five minutes the common people dresses.
Poulet watches the social and racial equality sinking when the zeit geist of this ideal is at its climax, he observes the holy image of Brigitte Bardot becoming the latest effect of the French Revolution, the faith in religion defeated by the words of the last moron of pop culture shooted by a video camera.
Theory, he says, stresses that human life is sacred, experience tells us that from the beginning of Time we never ceased to sacrifice it. This is the real nature of tjose living on planet Earth. Not to live in the misery we have been conceived and we have built ourselves in the blood. Then, during the latest centuries, humankind composed the mantra of the plebs that must be happy to compensate for their members that have the misfortune to belong to it, yet without pushing over the idea to conceive “different happiness than the one that brings about to disguise as èlite.”
After nearly thirty years from his death, today the voice from the cesspool of Robert Poulet from Liege doesn’t quit to spread in the air.
Ho cercato di Poulet. Quante idee terribili, quanti errori. E quante osservazioni giuste sulla gioventù e sulla società.
La sua critica alla società pop la approvo in pieno. Ed è proprio lo sguardo alla modernità giovanile la parte più fresca. I tempi però vanno da un’altra parte.
Le sue idee politiche sono atroci, ma i libri sulla società e il giovanilismo vorrei leggerli, anche e soprattutto perché i tempi sono questi 😀