Qualche anno fa per il sito 16.noni.it pubblicai questo pezzo col titolo “I gesti di Maigret”, successivamente ripreso da Commissariomaigret.com. Lo ripropongo riveduto e corretto.
Jules Maigret-Gino Cervi rapisce quando mangia e beve. C’è tutto un modo di vivere in quel gesto. Corposo, vorace, totale. Diretto a succhiare l’anima stessa dell’esistenza in un croissant pucciato nel caffellatte, in una costata di manzo accompagnata a patatine fritte o dentro un bicchiere di birra.
Jules Maigret-Gino Cervi disegna un autentico mondo antico con il rito delle sue pipe riempite di tabacco dolce che accende a ogni piè sospinto facendole vivere con tirate di gusto. Nella sua casa in boulevard Richard-Lenoir o nel suo ufficio nel Quai des Orfèvres, alla Brasserie Dauphine o convalescente nel letto di una stanza d’albergo a Bergerac, il commissario da quelle pipe estrae benzina perché il suo fisico massiccio continui a far da supporto a una mente agile come un saltatore d’ostacoli.
Jules Maigret-Gino Cervi cattura perché gioca d’azzardo e quando gli interrogatori, i pedinamenti, gli appostamenti, i risultati della scientifica non portano a niente, mette nel cassetto deduzioni logiche e spirito d’osservazione per buttarsi nelle indagini col paracadute della pura e semplice creatività investigativa. Perché annusare l’aria non è incoscienza, ma conoscenza della cucina della strada.
Jules Maigret-Gino Cervi, non ha paura della sua ombra, figuriamoci della zona d’ombra degli altri. Coraggioso con i forti e indulgente con poveri diavoli e donnine del banco e della spesa, rispettoso della gerarchia ma al tempo stesso incapace per sangue di accettarla quando si presenta come burocrazia da scartabello, conservatore dei ruoli ma al tempo stesso geloso della sua libertà d’azione (anche scivolando con un piede poco oltre il confine) e non facilmente incline alla politica dell’ubi maior minor cessat. Soprattutto se la minoranza lo vede tra i suoi commensali.
Jules Maigret-Gino Cervi ci porta dentro casa sua quando dà anima e corpo ai siparietti con la «Signora Maigret» (chiamarla per nome di battesimo, «Louise», è una primizia cui non è abituato concedersi) e ci consegna al suo mestiere quando giostra i suoi fidi Lucas e Torrence.
Jules Maigret-Gino Cervi ha il passepartout per scardinare una criminalità che conserva il senso del limite, ancora in grado di sospettare che c’è del tragico in un gesto criminale, capace di distinguere il bene e il male come il giorno e la notte.
Ma soprattutto Jules Maigret-Gino Cervi restano la stessa persona a oltre quarant’anni dalla morte del “fu anche Peppone”. Perché ormai non riusciamo più a leggere la sterminata collezione delle inchieste del commissario di Georges Simenon senza sentire, nelle parole di Maigret, la voce rotonda di Gino Cervi; senza immaginare, nelle sue pause, l’attimo di sospensione del magnifico attore emiliano; senza vedere nelle strade, vicoli, piazze, bistrot, alberghi, case d’appuntamento della Parigi ancor in odor di romanticismo il chiaroscuro della lente di Mario Landi, senza attendere l’arrivo della signora Maigret che riconosciamo solo perché ha il volto della deliziosa Andreina Pagnani.
E se fu lo stesso Simenon ad affermare che, tra tutti i Maigret portati sullo schermo, quello fatto vivere da Cervi rappresentava la sua creatura in tutto e per tutto forse fu perché il Maestro del romanzo vide in Cervi la perfetta unione delle due energie prime che danno respiro al più grande commissario di polizia giudiziaria di Francia: una vasta gamma fisiognomica capace di rendere, con tutta la sua pesante fisicità, il carattere psicologico di un momento o di una persona e la capacità di illuminare la natura più intima di Maigret e cioè il suo essere, come lo definì Simenon, un «rabberciatore di destini» e non un eroe.
Un poliziotto bonariamente paternalistico che, come scrive Sandro Toni (in un bellissimo profilo sull’attore pubblicato su http://www.cinetecadibologna.it), «non giudica né assolve, ma persegue ostinato una forma di onestà che è puramente morale, al di là della legge e delle convenzioni, quell’onestà che è anche conoscenza profonda delle cose umane», un ricercatore di verità «la cui principale caratteristica risiede nel perfetto equilibrio tra senso della giustizia e comprensione del peccato».
Commissario, si fermi un attimo. Venga a prendere una birra con noi.
LA SCENA
Mattino, in un bar Maigret e l’ispettore Lognon stanno facendo colazione appoggiati al bancone. Maigret mangia un uovo sodo, aggiungendo di volta in volta del sale, e beve un bicchiere di vino. Al momento di andar via propone di pagare il conto, ma Lognon lo ferma, affermando che quella volta tocca a lui. Anzi, gli chiede proprio: «Commissario, allora io ho preso un latte caldo, e lei?». E Maigret, mentre si aggiusta il bavero del cappotto: «Dunque, io ho preso due caffellatti, tre croissant, due bicchieri di vino e quattro uova sode». E lascia l’allibito Lognon alla cassa dirigendosi verso l’uscita con un gesto con la mano come a dire “solo questo, nient’altro”. Tornato a casa per cambiarsi, Maigret incontra la moglie che sta uscendo per la spesa. «Maigret? Già a casa? Ma allora ti preparo la colazione?» E lui, con sagace ingenuità: «Ma no, cara, lo sai che io al mattino non mangio mai nulla!». (Da Maigret e l’ispettore sfortunato)