Confessioni di un presidente di seggio

voto-referendum-5Vi chiamano presidente e qualche volta sentite pure nella loro voce l’iniziale maiuscola. Vigili, agenti di polizia, rappresentanti di lista, personale della scuola, giornalisti. C’è rispetto. Poi, se il vostro ego viaggia veloce e libero sulla Carmelo Bene Avenue ci potete anche vedere della deferenza. Potete essere eroi per un giorno intero con resto mancia.

Alla vostra squadra di ragazzotti scrutatori al secondo «scusi, presidente…» chiedete che, in assenza di elettori al seggio, vi chiamino col vostro nome. Il segretario lo portate voi tra le vostre conoscenze e, visto che spesso è uno di famiglia, non gli passa per la testa di chiamarvi con questo bel titolo appena tirato fuori dal cellophan.

15Poi, una volta organizzata la squadra e conosciuto il campo, è tempo di guerra. Una guerra strana. Doppia. La prima la perdete. Matematico. Qualcuno ha mai sconfitto la burocrazia? Ma c’è modo e modo di soccombere. Se riuscite a far rimbalzare su di voi ogni riga vessatoria del prontuario sul corretto funzionamento del seggio, ogni passaggio sulla riconsegna del materiale che viene fornito alla vostra sezione, ogni inciampo che la legge elettorale vi propone al momento dello scrutinio, ogni fantasioso e misterioso segno lasciato sulla scheda dall’elettore in cabina, la vostra fierezza verrà ricompensata in dose di autostima che nella vita quotidiana vi servirà come il pane per l’affamato.

La seconda guerra è più lunga. Dalle 7.00 del mattino alle 23.00. Una guerra in cui non vi è chiesto di far cadere i nemici. Ma di restare in piedi. Con dignità e altrettanto orgoglio. Affrontando un battaglione ardito e variopinto contro le cui inaspettate e del tutto imprevedibili mosse avete ben pochi margini di manovra. Non le avete studiate, non le avete proprio potute prevedere il giorno prima, la settimana prima, il mese prima per organizzare una difesa da approntare al momento opportuno. Perché non c’è tattica o strategia che vi possa in qualche modo aiutare.17

Un battaglione i cui soldati vi affrontano sempre uno per uno, massimo in coppia. Un esercito che sfianca voi e la vostra squadra. Portatore di un’energia che neanche un drone o un Robocop caricato in modalità full potranno mai risultare efficaci.

Il battaglione degli elettori.

 

Il duellante

14È quello che entra in aula con sguardo di sfida. Lo ha preparato appena uscito da casa. Occhi a palla alimentati da una droga particolare. Se stesso. Chiede per cosa si vota. Il vostro attimo di smarrimento dura una virgola. Glielo spiegate con gentilezza, ma intuite presto che non serve a niente. «Sì, sì, ho capito ma che roba è?» Ecco, ora siete voi che non sapete che roba è. Che roba è la situazione in cui vi sentite catapultati dentro. Fate riferimento al manifesto col testo del referendum oppure alle liste dei partiti e dei candidati appesi alla parete. Lui vi guarda (lui, perché presto capirete che in genere questo tipo di mascalzone è sempre di sesso maschile), magari vi mastica ardentemente una gomma in faccia.

«E lei vuole che io creda a ’sti bifolchi qua?» Non so, lei creda a quello che vuole. «No, dico, lei veramente pensa che io mi beva le palle che ci propinano i politici e li dovrei pure votare?» Ma beva quel che vuole e mi lasci in pace! È lei che si è scomodato a venire qua, cosa vuole dalla mia vita? Mi lasci stare, non le ho fatto niente! Ecco, questi pensieri non li dovete mai e poi mai pronunciare e men che meno far capire che ve li siete vestiti addosso. Altrimenti diventate la sua coppa con medaglia. Lui si rivolge a un vostro scrutatore e gli racconta un aneddoto sulla sua vita in cui ci infila una magagna di qualche istituzione. Oppure vi guarda con pietà. «Okay, leggiamo il testo di ’sto referendum.» Si avvia verso la parete. Cinque secondi e sbotta: «Non ci capisco niente». Lo guardate. Vi limitate a guardarlo. Magari avete già preso la scheda in mano per consegnargliela. «Non ho capito una mazza!» È per abrogare la legge sulle trivelle, dite voi. «Cosa sono le trivelle?», replica.verdone-elezioni1

Vi tira lui stesso fuori dai guai. «Vabbe’ me la dia, lei non c’entra niente, è un poveretto come tutti.» Gli consegnate la scheda. Cabina 1, gli dite. E gli fate la cortesia di scostare la tendina. «Questa qua?» Sì certo, questa qua. Finisce e neanche ve la restituisce in mano. La posa sulla cattedra che vi fa da banco. Ed evapora con un pieno di energia che lo porterebbe senza soste da Palermo ad Aosta.

 

I devoti del cellulare (e gli odiatori)

Per legge non si può entrare in cabina con telefonini o telecamere. Spiegare il motivo è attentare alla vostra intelligenza. L’articolo di legge lo avete fatto appendere proprio al muro accanto alla prima cabina. La copia che vi siete preparati da casa. Corpo 28 così da risultare visibile anche a una talpa.fotografa

Pensate che la cosa sia di ordinaria comprensibilità e che accettarla sia un gesto di ordinaria civiltà? Significa che siete dei grandi fan del genere umano. La prima reazione è quella tipica di colui o colei (eh sì, in questo blocchetto c’è anche il colei) che si accorge di aver perduto l’aereo, lasciato a casa il biglietto del concerto, smarrito le chiavi di casa. E si difende. Attaccando.

«Con tutti i ladri che ci sono in giro, invece di andare ad arrestare quelli volete il mio telefonino. Ma andate a prendere loro!»

Oppure

«E perché scusi? Guardi, lo spengo.» No, mi dispiace non può. «Disattivo la macchina fotografica.» No, mi dispiace non può. Nessuno glielo tocca stia sicura, lo posa sul tavolo e lo riprende. «Tiro via la sim.» No, guardi non è possibile. «Lo metto nella borsa, metto la borsa per terra all’interno della cabina così la vede…»

Oppure

«E chi lo dice che glielo devo lasciare?» Lo dice la legge. Guardi, c’è proprio il testo della norma. L’elettore lo legge. Il possibile arresto e l’ammenda da 300 a 1.000 euro proprio non gli va giù. Declama: «Ai sensi dell’articolo… del comma e del decreto ma andate a quel paese! È da cinquant’anni che non fate una legge per il popolo e guadagnate 20.000 euro al mese, siete dei parassiti». Non lo potete accettare. Se avesse ragione sul primo dato (il grano), magari mandereste giù il secondo (l’essere parassiti). Gli fate notare che un linguaggio del genere è intollerabile. «Sì, sì, mi dia la scheda e non mi faccia parlare perché se parlo io cade il Colosseo.» Perché abbia scelto il Colosseo, non glielo chiedete.ccc

Oppure

«Perché?… Ah… capito…. Vuole il mio numero!»

Oppure

«Guardi non ce l’ho, l’ho lasciato su una pensilina in cucina accanto a una scatola rossa, poi sono uscita per andare a messa senza neanche prenderlo con me, meglio così perché se suona mentre c’è la messa, però mi devo ricordare di averlo messo là, spero che non lo prenda mia marito perché quando prende le cose…»

Oppure

Vi guarda negli occhi. Immaginate di averlo offeso. Anzi, ne siete certi. Ma questa volta sbagliate il motivo. «Io non ne ho mai comprato uno. Li odio.» Ah okay, allora questa è la sche… «il telefonino è il cancro del mondo»… okay va bene, si acc… «se qualcuno osasse regalarmene uno gli toglierei il saluto»… va bene, ecco la scheda, cabina… «non ho mai alzato le mani su una donna, ma se mia moglie me ne fa trovare uno sulla tavola quella è la volta buona che le tiro una sberla» oh caspita poveretta, questa è la matita, la scheda…. «lei non mi crede, ma com’è vero Dio io sono capace di farlo», ci credo, la prego ora dovrebbe votare, sempre che voglia… «lei mi crede?», ora sì, ora le credo, lei è un uomo tutto d’un pezzo. Scovata per caso la parolina giusta. Quando esce quasi vi fa l’inchino marziale nel riconsegnarvi la scheda.

 

Il complottista

dfdfForse la tipologia più sgradevole. Perché alimenta un’atmosfera da apocalisse che, volente o nolente, pervade l’intera sezione.

«Voglio infilarla io la mia scheda nell’urna.» No guardi, la cosa è a discrezione del presidente e nell’urna la infilo io o il segretario o il vicepresidente quando mi sostituiscono. Mica per altro, per evitare la possibilità, pur minima che sia, che l’elettore se ne scappi con la scheda in tasca. «Così può cambiare il mio voto, vero?» Ma come faccio a cambiarlo, signora? Io la infilo nell’urna con lei presente. «E che ne so io dei vostri stratagemmi?»

«Sono uscito dal seggio senza vedere se ha messo la scheda nell’urna.» Mi scusi ma io l’ho chiamata per farla assistere all’operazione. Lei è volato via come neanche Bolt. Ora che vuole? «Non l’ho sentita chiamarmi, ora pretendo di votare di nuovo, è un mio diritto costituzionale.» No, nell’uno e nell’altro. «In che senso?» Nel senso che non è un suo diritto né tantomeno la Costituzione prevede questa possibilità. «Ma io che ne so dove lei ha messo la scheda? Io sono un cittadino che paga le tasse e pretendo che i miei diritti siano rispettati.» Se continua così sarò costretto a chiamare un agente di polizia. «Siete tutti uguali! Appena vi si dà un po’ di potere vi credete di essere il Papa.»

«Io non voglio la matita per votare voglio la penna. Con la matita voi poi cancellate il voto, lo ha detto Piero Pelù.» Cosa ha detto Piero Pelù? «Che cancellate il voto e noi cittadini democratici non possiamo permetterlo.» Mi permetta lei: siamo tutti cittadini democratici qua dentro e non cancelliamo alcun voto, anche perché è una matita copiativa. Vada sereno, il suo voto sarà rispettato. «Sì… rispettato da gente come voi…»

 

Varia umanità

1«Parli a me, non si rivolga a mia moglie che non capisce mai una madonna.»

«La mia tessera elettorale è completa. Posso votare con quella di mio marito? Tanto è morto e non se ne accorge.»

«Mi dispiace per voi che restate qua, ma questa è l’ultima volta che voto, me ne vado in Australia e vi lascio questo paese da schifo. Arrivederci» (Scena ripetuta a ogni tornata elettorale dallo stesso elettore).

Nel caso di referendum sull’autonomia richiesta dalla regione Lombardia. Voto elettronico, prima volta in Italia. A ogni elettore dovete chiedere se ha bisogno che gli si illustri la procedura di votazione: «Sì, ma non mi serve. Questa mattina è venuta mia moglie e non ha capito un accidente».16

Non si preoccupi, è semplicissimo. La procedura elettronica è tutta touchscreen. «Quella parola vuol dire che devo usare i diti?» Sì, sì, i diti. Quelli che vuole.

Verso sera arriva una coppia di sordomuti. Parlano. Vengo invaso da un oceano di suoni gutturali. Ostia, e ora che faccio? Non riesco a tradurre un suono in un’intenzione. Ci guardiamo. Hanno occhi belli. Uno sguardo gentile. Ho addirittura l’impressione che si stiano scusando per la loro condizione. Mi domando: d’accordo, non ho capito un tubo di quello che hanno cercato di dirmi, ma perché diavolo sto pensando che non siano stati in grado di formarsi una loro volontà e siano incapaci di esprimerla? Due secondi ancora e la commozione sarà una brutta bestia da tenere a cuccia. Un presidente di seggio col magone non è cosa. Quasi quasi li accompagno io in cabina. In braccio. Uno per uno.


2 risposte a "Confessioni di un presidente di seggio"

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