Facile quando rispondi Rolling Stones o Beatles. O, anche per far pesare una preparazione più raffinata, optare per Pink Floyd, Genesis, Jethro Tull o EL&P. Ancor più semplice dal dicembre scorso pararsi dietro i versi di Bob Dylan. Sempre un figurone citare David Bowie, Leonard Cohen o Van Morrison.
Quando invece pensi ai Beach Boys quale più grande band della storia della popular music, lo dici da anni dalle colonne delle migliori testate del settore e in più lo spieghi pure in un libro di quasi quattrocento pagine, il caso diventa più ardito. E quindi più interessante.
Il lucido folle è Aldo Pedron, decano tra le firme della cultura rock, da essere stato prima tra i padri fondatori del Mucchio Selvaggio e quindi autore di una carriera tra radio e carta stampata, libri e voci in enciclopedie che neanche Rumenigge (gentile concessione all’intervistato, ndr). Pure lo sfizio del promoter si è tolto. Gli manca di entrare in sala di incisione per un disco con i Beach Boys sostituendo alla voce Brian Wilson, ma non è detto che non si faccia.
WikiPedro, come il suo cerchio magico lo ha ribattezzato tanto per la sua memoria storica quanto per la conoscenza appunto enciclopedica, ha pubblicato da poco, con la supervisione di Roberta Maiorano, Good Vibrations – La storia dei Beach Boys (Arcana, 384 pagg., 23,50 euro), volume che sta portando in giro per librerie, biblioteche e spazi aperti alla cultura con un giro in stile neverending tour di Dylan. Tra uno spostamento e l’altro, questa la nostra chiacchierata.
Molta gente considera la musica dei Beach Boys semplice fonte di spensieratezza, leggerezza, solarità, quasi viverla come colonna sonora di Fonzie e dei suoi Happy Days. Perché le cose non stanno esattamente così?
«È un luogo comune da sfatare. I Beach Boys non sono semplicemente un gruppo surf e non sono solo quelli di Barbara Ann, che tra l’altro è una semplice cover incisa quasi per gioco nel 1965. Certamente dal ’61 al ’64 i Beach Boys furono l’emblema del surf, della spensieratezza, l’immagine della California, di un modo di vivere esuberante nella terra promessa dove i sogni si avverano. Questa cartolina riflette il periodo d’oro dei Sixties, ma i Beach Boys non sono solo questo, anche se in quei primi anni ’60 hanno avuto un successo enorme. È una band che, tenuto il suo primo concerto ufficiale il 23 dicembre 1961, cavalca l’onda ancora nel 2017. Salì sull’Olimpo del rock nel triennio ’65-’67 con Pet sounds da molti ritenuto il più bel disco nella storia della musica rock, capolavoro rivoluzionario per suoni e idee. Certamente non un disco di surf bensì di pop-rock e dalla struttura narrativa fenomenale. Quando Brian Wilson compone Pet sounds siamo a metà del 1965, il ragazzo ha solo 23 anni e già 11 album incisi con i Beach Boys.»
La gioventù del loro leader, Brian Wilson, è stata caratterizzata da un improvviso innamoramento per George Gershwin e in particolare della sua Rapsodia in blu. Cosa legò Wilson al compositore di Brooklyn?
«Brian Wilson è ossessionato dalla Rapsodia in blu. La ascoltò per la prima volta quando aveva soltanto due anni, suonata al piano da sua madre Audree, la quale ricorda di aver visto il pargolo girare la testa estasiato verso l’altoparlante. Il brano ha avuto un effetto profondo per il resto della sua vita. Ogni due settimane mamma Audree portava Brian a casa della nonna che aveva una copia della registrazione e i due la ascoltavano assieme. Brian la ritiene una melodia meravigliosa e ancora oggi la suona sempre. Quando si siede al pianoforte per comporre una nuova composizione come è stato per Surfer girl, California girls, Good Vibrations o Love and Mercy, ad esempio, parte in riscaldamento con la Rapsodia. Aggiungo che Brian ha realizzato uno dei suoi sogni più ricorrenti e cioè incidere un album come Brian Wilson Reimagines Gershwin nel 2010. Per l’occasione ha avuto l’onore di ricevere le chiavi dell’archivio di famiglia dagli eredi di Gershwin che gli hanno messo a disposizione ben 104 canzoni lasciate incompiute dal musicista. Ecco come la musica classica e la popular music s’incontrano e la New York di Gershwin va a braccetto con la California di Brian Wilson. Il risultato sono canzoni e melodie raffinate, colte, perfettamente amalgamate come in un incanto.»
Qual è, dal punto di vista compositivo, la dote più evidente di Wilson?
«Brian è sordo dall’orecchio destro e ha sempre inciso in mono. Come ha detto il più grande session-man di sempre, Hal Blaine, il batterista più richiesto al mondo che ha inciso, tanto per fare i primi nomi che mi vengono, con Frank Sinatra, Count Basie, Elvis Presley, Sam Cooke, Simon & Garfunkel, Barbra Streisand e Diana Ross, “è come se avesse in testa un metronomo tanta è la precisione delle idee di ritmo e di melodie che lui ha già pensato. Nella sua mente c’è già tutto, lui sente cose che gli umani non sentono e quando scrive una partitura che sulle prime appare incomprensibile, quando poi è suonata dagli orchestrali insieme, il risultato è perfetto e strabiliante”. Brian è il primo musicista rock che impone a una major come la Capitol di essere il produttore di se stesso e non usufruire di quello imposto dalla etichetta discografica. Dal 1963 in avanti diventa autore, arrangiatore, musicista, cantante e produttore rivoluzionando il concetto stesso di produttore di un disco essendo anche il compositore delle musiche. Per quanto ossessionato da Phil Spector e dal suo tipico Wall of Sound, ne percepisce i segreti osando molto di più. Brian fa sua questa particolare tecnica di produzione che consiste nell’aggiungere alla consueta strumentazione pop delle sovrapposizioni orchestrali per ottenere anche un effetto di riverbero. La sua è una immensa tavolozza di colori, crea suoni, mescola le voci, scrive le partiture per ogni singolo musicista, utilizza per primo in assoluto strumenti inconsueti nel rock, come il clavicembalo e il theremin, usa gli archi in maniera celestiale. Pet sounds, autentico concept album, stravolge la musica pop che sino ad allora era considerata un genere di puro divertimento. Le doti più evidenti? Un sesto senso, una musicalità fuori dal normale, la ricerca della perfezione, il lavorare con il Wrecking Crew, ossia un gran numero di musicisti e session-men, una vera orchestra, in modo da raddoppiare o triplicare gli strumenti e creare una linea armonica insolita, suntuosa, rivoluzionaria, ottenendo un tappeto sonoro magico.»
Nel suo libro viene dato ampio risalto al legame tra il gruppo e la famiglia criminale di Charles Manson. Quanto ha pesato sulla loro carriera questa pesante contiguità?
«Ha influito soprattutto su Dennis Wilson, che è stato ricattato e minacciato di morte da Manson. A livello artistico il peso è stato minimo. Nel 1965 i Beach Boys addirittura hanno inciso una composizione di Manson intitolata Cease to exist a cui però hanno poi cambiato il titolo e le parole del testo diventando Never learn not to love accreditata a Dennis Wilson, che ha pagato in soldoni Manson per la composizione e pubblicata nell’album 20/20 nel 1969.»
Lei si fa portatore di un assunto piuttosto severo, avendo più volte affermato pubblicamente che i Beach Boys sono la più grande band del pop-rock di tutti i tempi. Si faccia guidare dal dono della sintesi e spieghi il motivo di questa affermazione.
«Difficile spiegarlo in poche righe, non avendo il dono della sintesi. Dico che sono la band più longeva (1961-2017), la più importante per gli intrecci sonori, la più rivoluzionaria grazie a Pet sounds e Smile. Brian è un autentico genio come dichiarato da numerosi musicisti illustri. Tom Petty lo paragona a Beethoven, Neil Young, David Crosby a Bach o Mozart. Definito anche il Mozart del pop, l’Orson Welles del rock, il George Gershwin della sua generazione. Parlano di lui come autentico genio del rock alcuni suoi grandi fan come David Crosby, Pete Townshend, Eric Clapton, Bob Dylan, Elton John, Elvis Costello, Jimmy Webb, Bono, Neil Young, Art Garfunkel, Paul McCartney, George Martin e perfino Leonard Bernstein, che lo ha definito uno dei più grandi compositori del ventesimo secolo. Non saranno tutti pazzi a dire tutto ciò, quindi io mi associo a loro nel considerare Brian Wilson un genio. I Beach Boys, sono stati i primi ad avere una propria etichetta discografica, la Brother records, prima dei Beatles, e i primi ad autoprodursi. Hanno scritto capolavori come God only knows e Good vibrations. Restano il primo gruppo multirazziale con i sudafricani Ricky Fataar e Blondie Chaplin. I primi a parlare di ecologia e a mettere in copertina un nativo americano, come accadde con Surf’s up nel 1971. Brian Wilson è anche il salutista che si occupa di macrobiotica e che per primo nel 1969 apre un negozio Health Food Store a West Hollywood, Los Angeles, dal 1969 al 1971 chiamandolo The Radiant Radish, e cioè “Il ravanello radiante”, anticipando tutte le manie e le mode odierne dei salutisti. I Beach Boys sono la perfetta sintesi tra rock, pop, rock and roll, doo-wop, folk (Sloop John B), country (Cottonfields), rhythm and blues (I can hear music, Darlin’, Wild honey) e altro ancora.»
Un po’ di sana competizione: perché loro più dei Beatles?
Per i motivi appena espressi! Aggiungo che Rubber soul influenza Brian Wilson, che ne rimane stregato nel 1965 ma Pet sounds influenza totalmente i Beatles nel 1967 per concepire Sgt. Pepper. Paul McCartney ne rimane soggiogato. George Martin suona a John Lennon Pet sounds, decine e decine di volte. Nel 1965 con i Beach Boys nasce la più grande epopea pop degli anni ’60 che solo i Beatles possono affermare di aver eguagliato o superato. La complessità delle soluzioni musicali, l’uso di una strumentazione sempre più ardita e l’ossessione della perfezione estetica con i testi ispirati da Brian Wilson e scritti da Tony Asher in Pet sounds in cui si fa riferimento al passaggio dalla linea d’ombra dell’adolescenza all’incertezza della vita adulta sono in un certo senso il poema epico della musica pop per eccellenza. I Beatles non si discutono, si amano ma sono durati meno di 10 anni, i Beach Boys sono la colonna sonora della mia vita, oltre 50 anni di storia e anche i 14 dischi solisti di Brian Wilson ci regalano forti emozioni e sono da scoprire.»
Perché loro più dei Rolling Stones?
«Sarei un folle a non riconoscere la bravura degli Stones che apprezzo moltissimo, ma io sono un innamorato della musica americana e i Beach Boys ne sono la quintessenza.»
Le loro tre canzoni d’oro.
«God only knows, Good vibrations, Heroes and villains.»
Gli album imprescindibili.
«Pet sounds, Surf’s up, Holland e Beach Boys’ Party!»
Senza i Beach Boys non sarebbero esistiti…?
«Sono molti i gruppi e i musicisti che devono pagare debito ai Beach Boys. Eccone alcuni: Beatles, Ramones, Smithereens, McCartney, Elton John, Four Seasons, Who, Big Star, CSN&Young, Eagles, Fleet Foxes, Rasperries, Flower Pot Men, Fleetwood Mac, Pennywise, Cowsills, ELO, Huey Lewis and the News, Andy Partridge, Super Furry Animals, Flamin’ Lips, Katy Perry, Panda Bear, Supertramp, 10 CC, Sufjan Stevens, Teenage Fan Club, Belle & Sebastian, The Explorers Club, Laurie Biagini, Sean McCreavy, gli Splitville di Baltimore nel Maryland, Barracudas… Azzarderò di più. Ecco otto album che non sarebbero mai esistiti senza Pet sounds: Sgt. Pepper’s lonely hearts club band dei Beatles, Hawaii degli High Llamas, Pet soul degli Splitville, The soft bulletin dei Flamin’ Lips, Fleet Foxes dei Fleet Foxes, Merriwheater Post Pavillon, Lonerism dei Tame Impala, A moon shaped pool dei Radiohead. Non ho finito. Questo un mazzolino di canzoni che non avremmo mai avuto senza i Beach Boys: Mr. Wilson di John Cale, Long may you run della Stills-Young Band, Rockaway beach dei Ramones, I love L.A. di Randy Newman, The D.W. Suite di Lindsey Buckingham, dove D.W. sta per Dennis Wilson, il compianto batterista dei Beach Boys., Elton John canta Since God invented girls dall’album Reg strikes back del 1988, chiaro omaggio ai nostri ragazzi di spiaggia, i Barenaked Ladies hanno inciso un brano intitolato Brian Wilson e infine ascoltatevi la canzone Beach Boys blood (in my veins) del gallese Dave Edmunds dal suo album Plugged in del 1994. Il titolo è più che significativo!»
Oggi continuano a girare il mondo proponendo la loro musica. Lei come li trova a questo punto del loro percorso, nobili replicanti della loro sonorità maestra o musicisti ancora in grado di comporre canzoni fresche che danno lustro al pop?
«Sono sincero, i Beach Boys del 2017 sono anacronistici. Un fenomeno di puro revival. Ai loro concerti va un pubblico di giovani e di anziani, diverse generazioni. Dal vivo però propongono i loro pezzi più celebri, nulla di nuovo. Non hanno nemmeno un contratto discografico e inoltre sono nelle mani del brillante cantante Mike Love, il resto della band, compreso Bruce Johnston, membro originale, sono dei semplici comprimari. Brian Wilson invece si esibisce con una propria band e come special guest ha sempre Al Jardine, altro membro originale, e Blondie Chaplin. Brian dal vivo non è particolarmente attivo, non è mai stato un animale da palcoscenico anzi l’esatto contrario inoltre la sua voce non è più quella di 50 anni fa. Ciò nonostante vale la pena di ascoltarlo dal vivo perché la sua band di 10 elementi è eccellente e spettacolare.»
Un vecchio adagio consiglia di non guardare troppo da vicino i nostri eroi perché si scopre che anche loro hanno le rughe. Quando ha incontrato Brian Wilson il consiglio si è rivelato opportuno o non c’è stato bisogno di tenerlo a mente?
«Brian Wilson, che incontrai e intervistai nel 1999 a casa sua e più volte successivamente tra Montecarlo, Ravenna e Roma in città e nei Musei Vaticani e nella Cappella Sistina, a Londra e Strasburgo, è una persona fragile, con cui è difficile relazionarsi. Mi sono sempre limitato a fargli qualche domanda ma nulla più. L’approccio da fan è sempre sbagliato per un giornalista e Brian non è molto socievole.»
Difficile scrivere un libro su un soggetto/oggetto per il quale si prova un così profondo sentimento?
«Non ho mai scritto un libro sui Beach Boys prima perché ho sempre pensato che avrei dovuto scrivere una Bibbia di almeno duemila pagine per cui sarebbe stato impossibile realizzarlo. Lo scorso anno l’Arcana mi fece una proposta e in pochi mesi il libro è stato scritto e pubblicato. Non è stato difficile perché la conoscenza della materia e la passione sono una grande forza trainante che spinge a scrivere e a emozionarti ancora.»
Quali le trappole più evidenti che il narratore deve evitare?
«Io sono un perfezionista, un nozionista, un ricercatore, un collezionista, avrei voluto scrivere il più possibile e di tutto inerente al gruppo. Posseggo oltre cinquanta libri firmati da autori inglesi o americani sul gruppo e ho sempre ritenuto che fosse già stato scritto tutto. Ho deciso di inserire l’essenziale anche perché è di fatto il primo libro sui Beach Boys pubblicato in Italia. Avrei voluto mettere tutti i minimi particolari, ogni aneddoto o spiegazione di ogni singola canzone, i dati precisi, giorno, mese, anno e minuto di ogni avvenimento, nei più piccoli dettagli, però il pericolo di comporre un catalogo quasi illeggibile sarebbe stato dietro la porta. Qui è intervenuta una preziosa partner come Roberta Maiorano che mi ha aiutato a rendere la storia più fruibile e piacevole da leggere.»
Da giornalista musicale con scudetti e coppe in bacheca, come giudica lo stato di salute odierno della popular music?
«Sono un vecchio dinosauro, un po’ presuntuoso e convinto di ascoltare la musica giusta, la musica eletta e seguo per lo più musicisti e gruppi che esistono da decenni anche se scopro artisti più recenti, ma devo ammettere che c’è tanta spazzatura intorno e non è facile districarsi nel marasma generale. Da cultore, appassionato e collezionista trovo che i decenni degli anni ’50, ’60 e ’70 in parte siano irripetibili e che ci sia un impoverimento generale della musica. Pochi i giovani che la seguono attentamente e sempre meno le proposte musicali interessanti. Si dice che sia già stato scritto e suonato tutto, ora si replica e si ripete senza poter inventare quasi nulla.»
E quello dell’editoria legato a questo filone musicale?
«L’Italia è sempre stata arretrata nell’ambito musicale, intendo nel settore squisitamente definito rock e dintorni e l’editoria segue a pari passo. Escono centinaia di libri su artisti deceduti perché così mitizzati, ogni minuto un nuovo libro sui Beatles e ci sono invece molti artisti importanti totalmente ignorati.»
Il pop-rock è nato ed è diventato grande con un’anima e un linguaggio essenzialmente anglosassone. Qual è stata la vera differenza tra la costa inglese e quella americana?
«Importantissimi entrambi allo stesso modo. Il sound inglese e quello americano li riconosco immediatamente, li trovo molto diversi. Personalmente mi piacciono molto di più i gruppi e solisti americani anche se trovo fondamentale il british blues che ha rivalutato e fatto rinascere i bluesmen americani e gli artisti anni ’60 inglesi. L’America, essendo molto più grande, è più variegata e vi si trova tutto ciò di cui uno necessita. I solisti più importanti nel rock sono americani. La musica inglese è più complessa con il suo profilo barocco e progressivo, dai Genesis ai Pink Floyd, anche se i Led Zeppelin sono il rock per eccellenza. Gli statunitensi sono più immediati.»
Esiste un rock italiano? O meglio: la conformazione e struttura della lingua italiana ci può portare a cantare in modo credibile una canzone pop-rock o è partita perduta prima del calcio d’inizio?
«Partita perduta prima del calcio d’inizio. La conformazione e la struttura della lingua italiana non sono adatte alla musica rock come lo è l’idioma anglosassone. Ci sono dei solisti e gruppi italiani molto bravi, ma non competono con quelli d’oltralpe. La lingua ci penalizza e poi il rock è nato altrove. Gli americani e gli inglesi ce l’hanno nel dna noi assolutamente no. Infine, un gruppo o un cantante che canta in inglese lo identifichi subito se è italiano. Purtroppo nella maggior parte dei casi la dizione non è perfetta, anzi spesso davvero imbarazzante.»
Con esclusione della sua band d’elezione, qual è stato il più grande autore di canzoni?
«Non posso fare un solo nome. C’è bisogno di nuovo del pallottoliere: Bob Dylan, Paul Simon, Leonard Cohen, Joni Mitchell, Neil Young, Van Morrison, Tom Waits, Carole King, James Taylor, Woody Guthrie, Burt Bacharach, Lou Reed, Ray Davies, John Fogerty, Randy Newman, Jackson Browne, Neil Diamond, Jimmy Webb, Robbie Robertson, Bob Marley, Hank Williams, Buddy Holly, Sam Cooke, Marvin Gaye, Al Green, Stevie Wonder, James Brown, Smokey Robinson, Chuck Berry, Bruce Springsteen e chissà quanti ne ho dimenticati. E poi ci sono i team: Lennon-McCartney, Jagger-Richards, Holland-Dozier-Holland oppure Berry Gordy, Norman Whitfield, Quincy Jones e molti altri.»
L’ultimo vincitore del Premio Nobel per la Letteratura è stato Bob Dylan, autore che si è servito della parola non per tessere libri ma per creare canzoni. La scelta ha suscitato profonde critiche. Lei da che parte sta?
«Sto dalla parte di Dylan naturalmente. Sottolineo che ora noi rockettari nel senso più ampio del termine possiamo dire che finalmente c’è un riconoscimento all’arte della musica. Quasi a voler significare che forse nel rock non ci sono solo canzonette ma qualcosa di più concreto, di più valido, di più colto e di più poetico.»
Il rock nacque con un fortissimo profilo iconoclasta e un’anima ribelle che lo fece definire “la musica del diavolo”. Da tanti anni i pezzi anche più pesanti vengono scelti dalle più celebri firme della moda mondiale per fare da colonna sonora alle proprie nuove collezioni o si ascoltano negli aeroporti. Cosa è successo nel frattempo?
«Il rock è vecchio come me, ha superato i 60 anni perciò è un classico ed è stato sdoganato. Non è più certo una musica ribelle e i pezzi dei decenni sopracitati, hanno scritto delle pagini importanti. Queste canzoni meravigliose sono rimaste nel tempo e quindi ascoltabili ovunque ai giorni nostri proprio perché la musica attuale è meno dotta, meno artistica, più facilmente dimenticabile per la sua pochezza. La musica del diavolo era quella dei Rolling Stones, anche se il primo a fare i conti con il diavolo è stato Robert Johnson, ma ripeto sono passati 60 anni e anche gli Stones sono cambiati, si sono ammorbiditi e le loro canzoni non hanno più lo stesso impatto di rottura di allora e come disse Bob Dylan, the times they are a-changin’.»
Oggi il rock è in assoluto la musica più cara da ascoltare, staccando classica e lirica. Puro scambio di libero mercato o qualcuno se ne sta approfittando?
«Da sempre i media e le case discografiche ci hanno marciato. Prima esistevano i 45 giri, poi si è passati ai long playing che contenevano più canzoni e costavano naturalmente di più. La stereofonia sembrava avesse risolto tutti i problemi audio. In seguito ci hanno voluto far credere che i compact disc fossero registrati meglio e fonte di un ascolto più qualitativo. Ora si ritorna al vinile, al 180 grammi, al vinile colorato, al vinile 200 grammi e in tiratura limitata e ci sono miliardi di uscite discografiche che ci bombardano. Il vinile è diventato di moda, oggetto da collezione. Si dice che i dischi li comprano soltanto i vecchi collezionisti e che i pochi giovani che li acquistano lo fanno solo perché affascinati dall’oggetto e la sua copertina, senza però poi ascoltarli perché la musica la consumano con i download, su Youtube, sul telefonino e in MP3, anche se la qualità sonora è davvero scadente. In compenso il vinile costa, costa troppo. Ho appena comperato un album, tiratura limitata, doppio LP, confezionato ad arte e con la copertina apribile di un mio beniamino, Taj Mahal per la “modica” cifra di 60 euro. Direi che è una follia! Non vi pare?»
Il discorso si può allargare al costo dei biglietti per assistere a un concerto di uno dei tanti grandi nomi del rock.
«La parola centrale è ingordigia, la riflessione è “solo business”. La responsabilità coinvolge certo il sottobosco di promoter, impresari, agenti, manager e agenzie di tutto il mondo, ma io punto il dito in primis sugli artisti stessi. Prendiamo due dei nomi più celebri in assoluto, che sono pure tra i miei preferiti: Bruce Springsteen e Bob Dylan. Il Boss si ostina a suonare in grandi palazzetti o in stadi, mi piacerebbe vederlo in teatro o comunque location più consone, ma questo è un altro discorso. A Milano, San Siro, negli ultimi due concerti il 3 e 5 luglio dello scorso anno i fatti gli hanno dato ragione: due serate, 69 canzoni di cui 35 esecuzioni uniche, 7 ore e 20 minuti di musica, 60.000 spettatori a concerto e pubblico in visibilio. Concerti straordinari per scaletta, intensità ed energia. Springsteen da sempre con la sua aria da operaio canta il diritto alla libertà, alla ricerca di una condizione migliore, alla ricerca della felicità e attinge alla migliore tradizione della musica popolare. Bruce canta con la sua empatia con il mondo del lavoro. Le sue canzoni hanno sia l’età sia la collocazione sociale del momento storico in cui le scrive, danno voce ai sogni americani, da Born to run a Promised land a Badlands. Nel 1995 pubblicò Youngstown dall’album The ghost of Tom Joad dando voce all’operaio di Youngstown, Ohio, rimasto senza lavoro a causa della globalizzazione e della delocalizzazione delle fabbriche della Rust Belt, ex cuore pulsante dell’industria pesante statunitense. Fin qui tutto perfetto, ma ahimè ora arriviamo alle dolenti note.
A San Siro per il Bruce Springsteen and the E Street Band-The River tour, un biglietto nel prato, il settore che dovrebbe essere il più a buon mercato, costava sui 100 euro tra prezzo biglietto e prevendita. Molti prataioli sono arrivati addirittura a pagare a Ticketone 113,70 euro, considerati altri odiosi balzelli chiamati spese, commissioni di servizio, spese di spedizione o consegna. Bella sommetta, eh? Il sottoscritto, invece di ricorrere al ticket omaggio come giornalista o amico del promoter Claudio Trotta, ne ha acquistati due, per sé e sua moglie, al costo di 130 euro cadauno, primo anello rosso numerato, ingresso 8, settore P, fila 7, posti 9 e 10. Fate un po’ il calcolo del totale. Altra bella cifra, no? Il tutto per godermi un’acustica orrenda, per usare un termine lieve. Le prime due ore inascoltabili poi un po’ meglio ma non troppo. Springsteen canta da Dio non lo discuto, suda parecchio guadagnandosi la pagnotta, ma che dire del fatto che i suoi guadagni sono esplosi in maniera così sproporzionata? Per Bob Dylan a Londra, al London Palladium i prossimi 28, 29 e 30 aprile una front row costa 299 sterline, la prima fila 800 sterline, senza che questo prezzo consenta di incontrare l’artista, mentre per un biglietto tra più bassi bisogna scucire 97 sterline, circa 112 euro. Per non parlare dei biglietti VIP, dei cosiddetti Meet and Greet in cui ti fanno salutare a volte anche l’artista, ripeto, non Dylan che non vuole vedere nessuno neanche a distanza di due chilometri, ma puoi pagare 700 o 800 o 1.000 euro a seconda del package che vuoi comperare. In-gor-di-gia.»
E sul secondary ticketing?
«Altro bel capitolo il mercato di biglietti parallelo a quello autorizzato che offre in vendita biglietti per ogni genere di eventi. Sui siti secondary ticketing, complici talvolta purtroppo anche gli stessi artisti, sono venduti biglietti maggiorati ingiustificatamente per multipli alimentando un mercato a danno dello spettatore. Un fenomeno internazionale e non solo prettamente italiano. Da alcuni anni, le reunion dei gruppi sono un vero business con i Police, Grateful Dead e Guns N’ Roses su tutti. Prendiamo questi ultimi. Il prossimo 10 giugno si esibiranno all’autodromo Enzo e Dino Ferrari a Imola. Slash e compagni portano il Not in this Lifetime tour, cominciato negli States nel 2016. Secondo fonti dell’industria americana, la AG Live, il promoter del tour americano, ipotizzava per questi concerti un giro attorno ai tre milioni di dollari a esibizione con costo dei biglietti sui 250 dollari a unità, con alcuni pacchetti VIP a 2.500 dollari l’uno per i concerti a Las Vegas. In sostanza con 2.500 dollari si aveva la possibilità di assistere al concerto dalle prime dieci file. Prezzi impazziti.»
Ha viaggiato l’intero mondo per ascoltare concerti. Quale la situazione delle strutture dedite alla musica rock nel nostro Paese?
«Ascoltare la musica all’estero è una libidine, i teatri e le Hall per la musica in Inghilterra, negli Stati Uniti ma anche nella vicina Svizzera sono spesso davvero notevoli, ben organizzati, ben strutturati. Acustica eccellente, in poche parole sono assai professionali. Naturalmente non sempre e ovunque. Nel nostro Paese invece spesso i luoghi scelti per i concerti sono inadatti, vedi San Siro a Milano, e le strutture spesso non sufficienti. Purtroppo non abbiamo ancora assimilato la cultura della musica rock e quindi in generale tutti gli addetti non sono all’altezza della situazione.»
Ha davanti a sé un gruppo di adolescenti. Sanno che lei ha dedicato la sua vita alla musica. Loro invece non hanno ancora deciso se concedersi la frequentazione delle sette note o no, ma sono lì per una sua parola. Cosa dice loro?
«Ci sono diverse vie: quella di diventare musicisti, giornalisti musicali o semplicemente cultori e appassionati di musica. A ognuno dico di sentire cosa dice il cuore. Per suonare ci vogliono la passione e il talento e spesso anche i mezzi finanziari per potersi concedere attrezzature varie. La musica è stata la colonna sonora della mia vita. Non ho potuto farne a meno e mai vorrei abbandonarla. Il mio consiglio è positivo, provate a diventare musicisti o a dedicarvi in qualche modo alla musica o a diventare dei giornalisti musicali. Non è facile anzi tutt’altro, ma i problemi e le difficoltà ci sono anche negli altri lavori perciò buttatevi a capofitto! Come hanno cantato i Rolling Stones, it’s only rock and roll, but i like it.»
ALDO PEDRON: MY LIFE BETWEEN BEACH BOYS AND ROCK’N’ROLL DREAMS
It’s easy chosing Rolling Stones or Beatles. Or opting for Pink Floyd, Genesis, Jethro Tull or EL&P also to stress own more refined musical competence. Even easier, since latest October, adorning ourselves behind Bob Dylan’s verses. Always cool mentioning David Bowie, Leonard Cohen and Van Morrison.
But when you think of Beach Boys as the greatest pop-rock band of the History and you’ve been writing it for decades on the best music magazines and, more than this, you explain it in an almost four-hundred paged book, the fact becomes more daring. Ands so, more interesting.
The clear headed fool is Aldo Pedron, doyen among italian music journalists, from being one of Mucchio Selvaggio’s fathers (a memorable italian rock magazine) up to be key player of an enviable career among radio, press, books, entries of encyclopedias. Even playing a role as a promoter. He just needs to sing in the Beach Boys next album substituting Brian Wilson to hit the jackpot, but it’s not sure it won’t happen.
WikiPedro, as his personal magic circle calls him on account of his knowledge and memory, has just published a brand new book, Good Vibrations – La storia dei Beach Boys (Arcana, 384 pagg., 23,50 euros), thanks also the monitoring of Roberta Maiorano, and he’s touring in bookshops, libraries, spaces of culture like Dylan’s neverending tour.
Here’s our talk.
Many people consider Beach Boys music something like a Happy Days original soundtrack. Why they’re wrong in your opinion?
«It’s a cliché to destroy. Beach Boys it’s not only a simple surf band. You can’t confuse their music with Barbara Ann, that was a cover cut for fun in 1965. Of course between 1961 and 1964 they were the symbol of youth carefreeness, the California sun and sea, a dream that comes true in a sort of promised land. But this is just a postcard of a period in the Sixties. They went on writing songs, playing and singing them up to now. They are the longest-lived band of pop-rock music. Their masterpiece, Pet sound, is everything but a surf album.»
Their leader, Brian Wilson, felt in love with George Gershwin music when he was a child, in particular with his Rhapsody in blue. What this devotion came from?
«Brian Wilson is obsessed by Rhapsody in blue. He listened it for the first time when he was just two years old, played by his mother Audree at the piano. She remembers she saw her baby turning his head so enchanted to the loud speaker and that every two weeks they used to go to his grandmother who got a copy of the record so that they could listen to it together. In Brian’s opinion this music includes an astonishing melody and he never stopped playing it. When he sits at his piano, before creating a new composition, he does some warm-up with the Rhapsody. He acted this way for writing Surfer girl, California girls, Good vibrations or Love and Mercy, for example. Not only that. I remind you that Brian made one of his dreams come true by cutting an album called Brian Wilson reimagines Gershwin in 2010. He was given the key of the family archive by Gershwin’s heirs who made him available 104 unfinished songs of the composer. This is one of the ways classic and popular music can walk together. Gershwin’s New York hand in hand with Brian Wilson’s California with a special result: refined and educated songs and melodies, perfectly blended as in a enchantment.»
As far as the role of composer is concerned, which is Wilson’s best skill?
«Brian is deaf in the right ear and he has always recorded in mono. Hal Blaine, the greatest session man drummer ever born said: “It’s like he had a metronome in his brain considered the precision of ideas about rhythm and melodies he’s thinking of. In his mind stands everything, he feels what humans don’t and when he writes a score at the beginning it often seems unintelligible but then, when it’s played by the group and the orchestra alltogether, the result is perfect and amazing”. Brian has been the first rock artist to impose himself as a pruducer to a major such as like Capitol Records. He has turned the role of producer into a brand new one that includes the composition of the music. He took whatever he needed from Phil Spector’s Wall of Sound and then changed it all adding a new technique. He creates the sounds, blends the voices, writes the score for each musician, he first makes use of such unusual instruments for rock music such as harpsichord and theremin, uses strings in a huge ethereal way. He got a musicality gift absolutely out of the common that leads him working easy with the Wrecking Crew, that means a great number of musicians and session-men, a real orchestra, which allows him to double or triplicate the number of instruments and reaching an unusual, revolutionary and lavish harmonic profile and at the some time a magic-sounding ground.»
In the book comes out the figure of Charles Manson. What about this chapter in the band’s life?
«Well, I’d rather say on Dennis Wilson’s life, who was blackmailed and threatened to death by Manson. In 1965 the band cut a Manon’s song, Cease to exist that began Never learn not to love with the lyric changed. No more than this.»
What leads you to declare that Beach Boys are the greatest pop-rock band of all times?
«Difficult to explain in few words. Pet sounds and Smile say they’ve been a revolutionary group, Brian is a genius as a lot of famous and celebrated musicians stress. Tom Petty compares him to Beethoven, while Neil Young and David Crosby say he’s the new Bach or Mozart of pop music or the Orson Welles of rock or the George Gershwin of his generation. He’s been defined a “pure genius of rock” by several great fans of him such as David Crosby, Pete Townshend, Eric Clapton, Bob Dylan, Elton John, Elvis Costello, Jimmy Webb, Bono, Neil Young, Art Garfunkel, Paul McCartney, George Martin, even Leonard Bernstein spoke of him as one of the greatest composers of twentieth-century. Are they all crazy? Are they all wrong?»
Why they more than the Beatles?
«For what I’ve just expressed! For sure Rubber soul influenced Brian Wilson, but Pet sounds totally bewitched the Beatles in 1967 while they’re conceiving Sgt. Pepper. Paul McCartney is completely conquered by it, George Martin plays it to John Lennon numberless times.»
Why they more than the Rolling Stones?
«I’m not a fool and I recognize how the Rolling Stones are great. I like them so much, but I’m an american music lover and the Beach Boys are the quintessence of it.»
Their three golden songs.
«God only knows, Good vibrations, Heroes and villains.»
The unavoidable albums.
«Pet sounds, Surf’s up, Holland e Beach Boys’ Party!»
At the court of them we find…
«Several bands and musicians pay a debt to them. Here some: Beatles, Ramones, Smithereens, McCartney, Elton John, Four Seasons, Who, Big Star, CSN&Young, Eagles, Fleet Foxes, Rasperries, Flower Pot Men, Fleetwood Mac, Pennywise, Cowsills, ELO, Huey Lewis and the News, Andy Partridge, Super Furry Animals, Flamin’ Lips, Katy Perry, Panda Bear, Supertramp, 10 CC, Sufjan Stevens, Teenage Fan Club, Belle & Sebastian, The Explorers Club, Laurie Biagini, Sean McCreavy, gli Splitville di Baltimore nel Maryland, Barracudas… More, this is the list of eight album that would never come to light without Pet sound: Sgt. Pepper’s lonely hearts club band by Beatles, Hawaii by High Llamas, Pet soul by Splitville, The soft bulletin by Flamin’ Lips, Fleet Foxes by Fleet Foxes, Merriwheater Post Pavillon, Lonerism by Tame Impala, A moon shaped pool by Radiohead. I’ve not finished yet. A little bunch of songs we would never have listened without Beach Boys: Mr. Wilson by John Cale, Long may you run by Stills-Young Band, Rockaway beach by Ramones, I love L.A. by Randy Newman, The D.W. Suite by Lindsey Buckingham, where D.W. stands for Dennis Wilson, the Beach Boys’s pitied drummer, Elton John sings Since God invented girls from Reg strikes back, a clear homenage to our beach lads, the Barenaked Ladies cut a track titled Brian Wilson and at the end go listen to Beach Boys blood (in my veins) from the welsh Dave Edmunds from Plugged in. Doesn’t the title say anything?»
What about them now?
«I’m honest: they’re out of date now. A pure revival phenomenon. Brian Wilson plays with a own band made of ten musicians. They’re superb but is voice is not the same of fifty years ago.»
An old adagio suggests not to move too close to our heroes not to see their wrinkles. Did you remember of it when you met Brian Wilson?
«I met hit at his home, then in Montecarlo, Ravenna, Rome, at the Vatican Museums and the Sistine Chapel, in London, Strasbourg. A man difficult to be relate with. I always asked some questions and nothing more. He’s not very friendly.»
Is it difficult to write a book on a subject so close to the author’s heart?
«This is my forst book in them and I let myself be guided by knowledge of the matter and the passion. In my collection you can find more than fifty volumes on them written in english so this is the very first italian book about them. I chose to put in what is essential and not to write a bible of two thousand pages I’ve been helped by a great supervisor, her name is Roberta Maiorano.»
How about the health today of pop-rock?
«I’m an old dinosaur, a little bit full of himself and convinced to listen the right music. I still go on discovering new artists but I have to say that there’s a lot of rubbish all around. In my opinion the period between Fifties and Seventies can’t be repeated, now we face a general impoverishment of pop-rock. It’s said that everything has already been written and that now it’s only possible to replay without any chance of creating from zero.»
And the profile now of music publishing in Italy?
«Backward just like in so many other fields.»
Which is the real difference between english and american shore on pop-rock?
«Let’s start saying they’re important in the same way even though my preference goes to american shore. England scored its best goal in the Sixties with the british blues giving a new chance to the american old artist and letting english new ones to come to light. The United States, so much bigger, is more variegated, the most important rock’n’roll soloists are american. UK music is more complex with its Baroque and Progressive profile, from Genesis up to Pink Floyd even though Led Zeppelin are rock par excellence. The americans are more immediate.»
Apart from your hero, which is the songs best author?
«I can’t mention just a name. You need the abacus once more: Bob Dylan, Paul Simon, Leonard Cohen, Joni Mitchell, Neil Young, Van Morrison, Tom Waits, Carole King, James Taylor, Woody Guthrie, Burt Bacharach, Lou Reed, Ray Davies, John Fogerty, Randy Newman, Jackson Browne, Neil Diamond, Jimmy Webb, Robbie Robertson, Bob Marley, Hank Williams, Buddy Holly, Sam Cooke, Marvin Gaye, Al Green, Stevie Wonder, James Brown, Smokey Robinson, Chuck Berry, Bruce Springsteen and many others forgotten. Then we have the teams: Lennon-McCartney, Jagger-Richards, Holland-Dozier-Holland oppure Berry Gordy, Norman Whitfield, Quincy Jones and many others as well.»
Some moths ago Bob Dylan has been awarded with the Nobel Prize for Literature, an author who uses words not to write books but songs. The Academy has been reached by a lot of polemics and disapprovals. Whose side are you on?
«On Dylan side, of course. This choice means also that rock doesn’t give only light ditties but something more concrete as far as culture is concerned, something high educated and poetical.»
Rock was born to break rules and it was called “the music of the Devil”. At a certain point of its history it began to be used as a sort of muzak by malls, airports, fashion houses. What happened?
«Rock got old, just like me. This music is sixty years old and it has passed the test. Its book is full of marvellous songs that won’t ever died or be forgotten. Just like Bob Dylan wrote and sang, the times they are a-changin’.»
What about the price today fans have to pay to listen to it?
«Always media and major have exploited the situation, starting from 45 rpm to cd, passing through the 33 rpm vinyl album. The vinyl album has come back and its cost is naturally higher than a cd. Often it’s a madness, a rip off. Ok it’s possible to download but the quality is so low for a music lover.»
A thorn on fans side: the price of the tickets to attend live concerts.
«The right word is greediness. By now it’s all only business. The underworld of promoters, managers and agencies has its deep faults but, first of all, I point an accusing finger at the artists. Let’s take two of the most greatest names: Bruce Springsteen and Bob Dylan. The Boss plays above all in the stadiums where his concerts are often sold out. He still plays three hours or even more, sweats a lot, great energy, the fans in ecstasy. Acting like a workman he sings the struggle for freedom, the right to find a better condition, in 1995 he wrote Youngstown cut in The ghost of Tom Joad giving voice to the Youngstown, Ohio, workman left jobless on account of the globalization and the outsourcing of the Rust Belt factories, the former pulsing heart of US heavy industry. Everything ok therefore? I wouldn’t say that. For his latest time in Milan, San Siro Stadium, a pitch cost 100 euros, commissions included. Not really a price for listening to a workman. I went there and paid my two tickets for the first ring 130 euros each, 260 for two. A good sum of money, isn’t it? A ton of money to join an horrible acoustics, just to use a light adjective. First two hours totally inaudible, a little bit better after, but a little. What about the blown up profits the Boss demands for each concert? Greediness.
If you want to listen to Bob Dylan in one of his three forthcoming concerts next April at Palladium, a front row costs 299 pounds, a first row 800 pounds, while the lower price is 97 pounds, nearly 112 euros. Not to talk about Vip ticket, the so-called Meet and Greet that let you know the artists. Not Dylan, obviously, he doesn’t want to meet anyone. A Vip ticket can cost even 700-1.000 euros. Greediness.»
Tell me you opinion about the secondary ticketing.
«Just an example. Next 10th June, Guns N’ Roses is going at Enzo e Dino Ferrari Speedway, Imola for their Not in this Lifetime tour, reunion started in 2016 in US. According to american sources, AG Live, american tour promoter supposed to speculate something close to three billion dollars each concert, with tickets no less than 250 dollars and Vip tickets around 2.500 dollars. Paying 2.500 dollars to have the chance to join the concert in the first ten rows. Madness.»
You travelled all over the world to follow th music. Ehat about the situation of facilities for rock in our country?
«Listening to music abroad is fantastic. Theatres, Halls for music in England, States and also Switzerland are so often terrific, well organized, astounding acoustics, high level of professionalism. In Italy the location are often unfitting, see San Siro Stadium-Milan, the organization embarassing. Unfortunately we don’t consider rock as a culture expression yet, so the operators behave consequently.»
A group of young people is in front of you. These girls and boys haven’t decided if music is something to take care of yet. Which are the words you chose?
«It can sound elemental, but the best thing they can do is following their heart. Music has been the soundtrack of my life, it’s impossible to me can do without it and I never would like to drop out of it. My advice is: try to find your way into music, as a musician, a singer, a simple passionate or a journalist, why not. It’s not easy, but each field hides its problems. So, do dive in headlong. As the Stones sang, it’s only rock and roll, but I like it.»
brian wilson sa benissimo chi sono i migliori…..in un album giudicato imprescindibile beach boys’party ci sono ben 3 pezzi dei beatles …………ad ogni modo complimenti sinceri per il lavoro
Bruno ,sicuramente Brian stimava moltissimo i Beatles, d’altronde Rubber soul influenza tantissimo Brian Wilson e l’album Pet sounds cosi’ come poi Pet Sounds darà molti spunti a Paul Mc Cartney ed a George Martin per Sgt. Pepper..
Bruno… Brian Wilson amava moltissimo i Beatles tanto è che Rubber Soul influenza tantissimo Brian Wilson e l’album Pet Sounds, così come Pet Sounds darà molti spunti a Paul Mc Cartney e a George Martin per creare Sgt. Pepper.
insomma avessero partecipato tutti assieme alle olimpiadi avrebbero vinto la medaglia d’oro nella staffetta….grazie al tuo libro che mi consentira’ di fare un bellissimo viaggio nel mondo di brian wilson……