Il potere di Michael Anderson è di quelli che non sporcano. Nel senso che non bisogna insudiciarsi un centimetro della propria pelle per esercitarlo. Lo si può utilizzare completamente spogliati o col Belstaff da 1395 sterline allacciato (e il prezioso cappotto non si sporca). Non dà nell’occhio. Non crea sospetti. Se siete da Starbucks non se ne accorge nessuno di quel che state facendo. E pure se siete su una panchina al Central Park o al giardino delle Tuileries. Forse qualche sospetto lo producete se vi trovate a Highgate a Londra, ma solo perché nei cimiteri fa strano che qualcuno si segga a scrivere a un computer. In quest’ultimo caso meglio la scrittura a mano, per come si adatta meglio al tempo e allo spirito evocato dal luogo.
Un potere bianco. Che, una volta utilizzato, va diritto al cuore. Infallibile. Così premuroso e tempestivo che per non generare dubbi moltiplica automaticamente il suo raggio d’azione. Un potere nero. Perché li uccide tutti. Omonimi compresi. Dentro anche i quasi omonimi. Così per non deludere mai chi questo potere lo ha fatto scivolare dalle mani.
Il padre è Stephen King. Io seppellisco i vivi lo ha chiamato il racconto, in onore di film horror dall’identico titolo (I Bury the Living) che tanto lo aveva spaventato da ragazzo in tv. Michael “Mike” Anderson scrive necrologi per il Neon Circus, una webzine con sede a New York che sputa sulle celebrità di ogni genere e che vive sulle loro disgrazie, tanto da eleggere come slogan l’inequivocabile “Caga dove mangi”. Carino anche il titolo della sua rubrica: Sparlare dei morti. Che va così alla grande tra il pubblico che a Mike viene naturale chiedere alla direttrice un aumento della miseria con cui viene pagato. Aumento rifiutato dalla boss. Così, più per sfogo che per altro, Mike scrive un nuovo necrologio. Questa volta prima però. Prima che il suo destinatario abbia tirato le cuoia. Lei. Prima che la direttrice sia morta. Lui scrive il necrologio in anticipo e lo lascia nel computer. Duecento parole velenose che riempiono lo spazio del monitor.
Qualche ora dopo la donna schiatta.
Coincidenze. Certo, come si può pensare il contrario. Però succede che Mike lo rifaccia. E che colpisca di nuovo. Secco anche il destinatario del secondo adieu scritto prima dell’arrivo della Gran Signora. Poi il terzo. Non importa che fossero diretti a rappresentanti della feccia dell’umanità. Precisione chirurgica. La magia nera esce da hardware e software e va a beccare il malcapitato. E per non deludere il padrone che l’ha liberata colpisce pure tutti coloro che nell’Unione portano quel nome. Qualche volta addirittura derapa e va a togliere il fiato a chi ha nome e cognome quasi tutto identico salvo una lieve variazione di vocale o consonante. Ma se per l’umano la foglia che cade d’autunno rimbomba perché annuncia la caduta della stagione, perché una semplice, unica e misera lettera deve creare lo stesso frastuono per la Missione Prima scaturita dagli inferi?
Lo trovate ripugnante questo potere? Be’, siete in buona compagnia, perché Mike ne è talmente colpito che a un certo punto, stanco di ansie e angosce, lascia New York e si trasferisce nel Wyoming chiudendo nel cassetto il mondo dell’informazione per fare l’imbianchino, il part timer per una ditta di giardinaggio, l’operatore ecologico invernale, il preparatore di piste da sci di un resort. Un successone.
Ma sul serio lo trovate ripugnante? Non vi piacerebbe proprio far fuori quel tizio che, se se ne andasse al Creatore (e il Creatore lo sbattesse all’inferno) lascerebbe ai restanti un mondo decisamente migliore? Almeno migliore per voi. Farlo fuori semplicemente digitando sul video del vostro pc o smartphone un necrologio che per fantasia e ironia si meriterebbe un Pulitzer? Non avete una vostra personale Fiera dell’Est che, partendo dal pescetto più piccolo, morto dopo morto vi forma quella deliziosa pastosa aquolina in bocca scandita dall’attesa del pesce più grande, quello finale, quello a cui arriverete quando stomaco e papille gustative saranno finalmente pronti a gustarsi il sapore dei sapori?
Io qualche nome nella mia agenda lo avrei. Lo ammetto. Non mi aspetto di vederli riportati sui giornali in un articolo scritto coi verbi al passato remoto o un pallino vergato con quel passato prossimo che di prossimo ha ben poco solo perché non compro e non leggo i giornali.
Gentaglia. Di pochissimo conto sociale per di più. Capace di avvelenare la vita di scaltri e illusi. Voi tenetevi i vostri. Buttate giù una lista. Scommetto che non vi servono più di cinque minuti. Fatto? Bene, saperli cadere uno a uno solo perché voi ne avete scritto in anticipo la dipartita davvero non lo sentite più eccitante di un duplice orgasmo? E non fareste di tutto per essere proprio nel punto in cui il Santo Fatto ha deciso di accadere e godervi la scena? Davvero no? Dai, liberate i gioielli di famiglia dalla pressione delle dita e togliete la mano da quell’oggetto di ferro accanto a voi.
Io, che non mi stupirei se l’Accademia mi premiasse col Nobel per la Pace, pagherei con qualche anno di anticipo sul mio d-day per possedere la capacità di fare un po’ di aria. Molto più della psicocinesi della Carrie che tanto papà Stephen King quanto mamma Sissy Spacek mi hanno permesso di amare.
Ecco, se proprio andassi a ruota libera credo che ne scriverei almeno un centinaio, ma accordiamoci pure per dieci. Non scherziamo prima di sancire il patto, sto parlando di annunci funebri quando il destinatario è ancora ben pasciuto e ignaro che lo sto mandando fuori dalla crosta terrestre, intesi?
Il ventaglio umano è ampio. Io ho quello…
… che vive le sue giornate come amico di chiunque per poi rivelarsi l’infame di tutti.
… che pur con due soldi fatti non è riuscito ad arricchirsi veramente per permettersi di dimenticare di avere sangue contadino, ma non si abbassa più a lavare un’insalata.
… che se solo indirettamente sa che intrecci qualche ora insieme a un direttore (di qualunque entità dirigibile) scoperchia la pietra tombale da cui da dieci anni ti tiene nascosto alla sua esistenza.
… che, con te che dici rosso, sostiene il rosso, ma con lui, che dice verde, dice di preferire il verde.
… che ti promette il mondo «perché credi ammé tu chai ancora mercato lascia fare a me» e poi ti accorgi (ma a quel punto è già troppo tardi) che forse intendeva il mercato rionale e che comunque non ti ha lasciato neanche il sacchetto della spesa (figuriamoci il borsellino).
… che, amico per la pelle, ha utilizzato un tuo silenzio solo un po’ prolungato per eclissarsi.
… che «massimo ti concedo un libro all’anno, di più sei patetico».
… che «carissimo scusa ti richiamo tra pochissimo io ma ci dobbiamo vedere assolutissimamente subitissimo perché ciò voglissima» (e poi tu chiami, richiami, ri-richiami solo perché lo devi, lo devi e lo devi fare).
… che vive di social, coi social, per i social, la sua faccia è diventata un social, si piace coi suoi like, gode coi commenti e coi tweet, ma sente la deificazione farsi strada dentro di sé solo bannando («Questo lo banno tiè/ Guarda che ti banno, eh?/ Scusa ma ti devo bannare/ #banniamolo/ Ciao sai cosa ho fatto oggi? Non ci crederai ma ho bannato… sì, sì, l’ho fatto!»).
… che, molto vicino se non addirittura intimo a te, scopre una passione, una filosofia di vita, una nuova attitudine comportamentale, insomma un nuovo mare e porto esistenziale e, visto che tu non la fai tua, inizia con l’allontanarsi di qualche centimetro senza pronunciare una vera parola. Un vero professionista della fuga, invisibile ma concreta. Perché nel momento in cui te ne accorgi la distanza è già diventata di qualche chilometro.
Insomma, tutta ’sta gente inutile e dannosa non sarebbe piacevole farla evaporare col dono della parola? E questo senza contare i criminali che insanguinano il pianeta. Io ho messo solo il mio piccolo mondo antico. Stephen, fai scrivere anche a me i necrologi in anticipo?
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VIVERE E MORIRE A MILANO (CRONACHE METROPOLITANE)
Un’anziana spogliarellista che non si arrende al tempo che passa, la tragica follia di un ragazzo della comunità cinese, la donna col sedere più profumato della città, i clienti di un ben strano hotel, le performance notturne e i sogni frustrati di un bancario dotato di un membro gigantesco, la guerra dichiarata di due neonazi al telefono, la giornata senza scampo di un povero redattore di un mensile sportivo, il mondo esploso di un’adolescente enorme, il guaio di un giovane a cui ingrassa solo la testa, il terzo grado di un boss della mala.
Questi e altri insoliti personaggi popolano una Milano che vive alla luce del sole ma che più spesso assomiglia a un fantasma. Più che una città che si alza, lavora, mangia, si diverte e poi va a dormire, la fotografia in bianco e nero di un arredo urbano in movimento. Racconti in forma di cronache e cronache che raccontano una modernità priva di tempo. Una città che insegna a vivere. O da cui si impara presto come morire.
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