Quando basta una sola strofa. La prima. Il componimento prosegue (e per tante e tante pagine ancora), ma l’attacco condensa l’intero. L’intera poesia. L’intera esistenza. L’intero pianeta.
Non sono niente/ Non sarò mai niente/ Non posso voler essere niente/ A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.
Questa volta la maschera di Fernando Pessoa prende il nome di Álvaro de Campos e la poesia è conosciuta come Tabaccheria. Tabacaria nell’idioma portoghese. Una fogliolina spuria nella poetica sensazionista e avanguardistica di questo eteronimo elegante, decadente e allucinato che impose la sua ossessione esistenziale al padre che lo creò.
Nei versi di Tabaccheria non prorompe nulla e niente deflagra. Scivola intima la consapevolezza nella nostra inecessarietà al mondo. E, questo sì rivoluzionario, il sentimento di totalità che racchiudiamo in noi per il semplice fatto di esserci su questa Terra.
Il passaggio delle ore ci supera con una facilità disarmante. Guardiamo dalla finestra del retro. Come la donna disegnata da Edward Hopper nella tela Cape Cod Morning, noi possiamo anche solo limitarci a osservare. L’azione è di chi è nato per conquistare il mondo e non si limita a sognare di conquistarlo.
Lui, Álvaro, dice di aver sognato più di quanto Napoleone non abbia realizzato. E di aver creato più filosofie di quante qualunque Kant sia riuscito a scrivere. Ma che resterà sempre quello della mansarda. Quello che viveva del riconoscimento delle sue qualità e che ha atteso invano una vita che gli aprissero la porta in una parete senza porta.
Pensa a tutto questo mentre si trova dirimpetto alla Tabaccheria. In quel momento il proprietario si fa vedere sulla porta con gli occhi, immaginiamo, perduti per la strada. Álvaro lo guarda girando per metà la testa. Sa che un giorno quell’uomo morirà e sa bene che anche lui stesso passerà via. L’uomo lascerà l’insegna e lui dei versi. Poi anche l’insegna morirà e pure i versi scoloreranno. Poi toccherà alla strada dove ora fa bella mostra di sé l’insegna a lasciare il posto a qualche altra cosa. E alla lingua con cui i suoi versi furono scritti toccherà stessa sorte.
Questo anche se in un altrove nell’universo un giorno in un tempo lontanissimo, chiusa l’esperienza anche di questo pianeta, qualcuno simile a gente continuerà a fare cose come versi e a vivere sotto cose come insegne. Si seguirà a fabbricare oggetti inutili, a considerare stupido l’impossibile quanto lo è il reale, a cercare il fondo del mistero senza ancora accorgersi quanto misteriosa è la superficie.
Lui, Álvaro, non smette di portare dentro il cuore, come uno scrigno che fa fatica a chiudersi, tutti i luoghi che ha visitato, tutti i paesaggi che ha guardato da una finestra. La vita non gli prometterà altro che un nuovo giorno dal quale uscirà più vecchio di ore. E anche alla fine di quella giornata rimarrà ciò che è rimasto dal giorno precedente e ciò che rimarrà il giorno successivo e cioè l’ansia insaziabile di essere sempre la stessa persona e un’altra.
E poi, finché il destino glielo concederà, continuerà a fumare. Questa la sua conclusione metafisica. E proprio in quel momento dalla Tabaccheria esce un tizio. Oh, ma certo! Álvaro lo conosce bene. Si chiama Esteves.
Come per un istinto divino Esteves si gira e vede Álvaro. Non solo, gli fa pure un cenno di saluto. Allora Álvaro gli grida: «Ciao Esteves!». È in quel momento che si compie. Si compie il tumulto dell’ultimo verso della prima strofa della poesia.
A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.
Perché quella è la prova che noi siamo l’umanità in ogni momento in cui abbiamo il dono del respiro. Continuiamo a sentire tutto in tutte le maniere e a essere tutte le cose in tutti i modi possibili allo stesso tempo.
L’universo all’improvviso gli si ricostruisce dentro. Senza ideale, senza speranza. L’universo in sé è dentro Álvaro. E Álvaro è noi. E poi non solo. Poi c’è anche che il proprietario della Tabaccheria osserva la scena e sorride.
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VIVERE E MORIRE A MILANO (CRONACHE METROPOLITANE)
Un’anziana spogliarellista che non si arrende al tempo che passa, la tragica follia di un ragazzo della comunità cinese, la donna col sedere più profumato della città, i clienti di un ben strano hotel, le performance notturne e i sogni frustrati di un bancario dotato di un membro gigantesco, la guerra dichiarata di due neonazi al telefono, la giornata senza scampo di un povero redattore di un mensile sportivo, il mondo esploso di un’adolescente enorme, il guaio di un giovane a cui ingrassa solo la testa, il terzo grado di un boss della mala.
Questi e altri insoliti personaggi popolano una Milano che vive alla luce del sole ma che più spesso assomiglia a un fantasma. Più che una città che si alza, lavora, mangia, si diverte e poi va a dormire, la fotografia in bianco e nero di un arredo urbano in movimento. Racconti in forma di cronache e cronache che raccontano una modernità priva di tempo. Una città che insegna a vivere. O da cui si impara presto come morire.
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