Signor Maloin, lei non poteva sapere come sarebbe andata. Ha solo scoperto che il mondo, la sua vita inclusa, poteva anche andare in una direzione opposta. Non c’è niente di male, signor Maloin. Lei ci ha provato. Ha provato a modificare anche di poco la sua giornata metodica e, me lo lasci dire, piuttosto noiosetta, ma poi, cambia oggi e cambia domani, non è più riuscito a far tornare al punto di partenza il ronf ronf costruito in decenni e disfatto in un lampo.
Lei usciva sempre alle otto meno sei, giusto? Giunto al suo gabbiotto di addetto agli scambi della ferrovia portuale si riempiva la prima pipa e posava la borsa del tabacco sul tavolo, accanto a una boccetta di inchiostro viola. Poi si versava il caffè e vi aggiungeva sempre un goccio di acquavite. Col passare della notte si metteva a guardare le figure in movimento guardandole dall’alto della sua torretta. Stessi gesti, alla stessa ora e allo stesso luogo. Ogni tanto parlava pure da solo, tanto per avere un po’ di compagnia. Un modo per ritagliarsi la propria fetta di eternità, nessuno la biasima.
Signor Maloin, io la capisco, nessuno ha mai pensato a lei. E così, quella notte che ha visto un tizio con in mano una valigetta gettare in mare un signore con un violento colpo della mano armata di un tirapugni ha visto anche la vittima attaccarsi alla valigetta e inabissarsi con essa. Ha capito subito che la persona in mare era bella che spacciata. Ecco, cosa le è scattato per andarsi a riprendere la valigia dopo che l’assassino scappò? Era già di cattivo umore e trovare tutti quei soldi non è stata una grande pesca. Perché vede, signor Maloin, una ricchezza in mano a chi ha visto solo povertà è spesso una catastrofe.
Il bello è che lei ha cercato di cambiare il meno possibile la sua vita, ma la sua testa era ormai partita e anche se i suoi gesti sono rimasti quelli di sempre, la sua giornata aveva ormai un peso in più. Non scomodi il senso morale, lei non ne è dotato, non saprebbe neanche che forma dargli. No, il peso è stato proprio quello di quel mucchio di soldi stipato nel suo armadietto e mai toccato.
Signor Maloin, deve sapere che monsieur Simenon è troppo scaltro per poterle concedere una minima possibilità di redenzione. Lei in fondo se la sarebbe meritata, di cosa in effetti la possono accusare? Ma l’uomo è perfetto da solo se c’è bisogno di cadere. Non ha bisogno di spinte. Quei soldi le potevano far comodo eccome, soprattutto a riacquistare la dignità che i parenti di sua moglie non le hanno mai concesso. Ma lei non era allenato a trovare un destino diverso. Lei era uno scambista. Si nasce scambisti. E si muore.
Quindi non incolpi Simenon. Certo, lui ha pietà solo quando chiama sulla pagina Jules Maigret, ma non è stato lui il braccio armato della legge. È stato lei. È stato lei a non essere capace di lasciarsi il passato alle spalle e godere dell’improvvisa nuova ricchezza. È stato lei a cercare come un’ossessione di vedere da vicino che razza di uomo fosse l’assassino. È stato lei ad avvicinarsi all’autorità di polizia senza che alla polizia fosse mai (e con ogni probabilità sarebbe) venuto in mente che lei esisteva e che la sua esistenza avesse un qualche valore. È stato lei a chiudere la nuova possibilità fuori dalla porta. E a sussurrarci all’orecchio una manciata di verità che non vorremmo mai e poi mai sapere.
Che se si è qualcosa, qualunque cosa, lo si è per tutta la vita. Che quando conta, siamo i peggiori giudici di noi stessi. Che non basta creare una vita una vita immobile per riuscire a passare inosservati dentro le vene del Tempo. Che l’essere umano è più fesso del mondo che non sa come fare fesso pur essendo bruciato dentro da una voglia scatenata di meritare la fortuna che con un tuffo fa marcire in un armadietto. Che la tragedia accorre sempre sulle macerie della commedia.
Buona sera a lei, signor Maloine. I gendarmi la accompagnano. Tra poco inzieranno i cinque anni che ha pensato bene di meritare. Moglie e figlia per lo meno non la hanno abbandonata. Centellini bene i gesti. E non alzi mai lo sguardo.
VIVERE E MORIRE A MILANO (CRONACHE METROPOLITANE)
Un’anziana spogliarellista che non si arrende al tempo che passa, la tragica follia di un ragazzo della comunità cinese, la donna col sedere più profumato della città, i clienti di un ben strano hotel, le performance notturne e i sogni frustrati di un bancario dotato di un membro gigantesco, la guerra dichiarata di due neonazi al telefono, la giornata senza scampo di un povero redattore di un mensile sportivo, il mondo esploso di un’adolescente enorme, il guaio di un giovane a cui ingrassa solo la testa, il terzo grado di un boss della mala.
Questi e altri insoliti personaggi popolano una Milano che vive alla luce del sole ma che più spesso assomiglia a un fantasma. Più che una città che si alza, lavora, mangia, si diverte e poi va a dormire, la fotografia in bianco e nero di un arredo urbano in movimento. Racconti in forma di cronache e cronache che raccontano una modernità priva di tempo. Una città che insegna a vivere. O da cui si impara presto come morire.
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